Sanatoria edilizia: no al frazionamento degli abusi
La considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione, motivo per cui le opere abusive vanno valutate nel loro complesso
Nel vaglio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, va fatta necessariamente una valutazione globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione.
Abusi edilizi: la valutazione globale degli interventi
Un principio fondamentale in giurisprudenza amministrativa, che il Consiglio di Stato, ha ribadito con la sentenza del 2 novembre 2023, n. 9473, con la quale ha respinto il ricorso contro un ordine di ripristino dello stato dei luoghi, alterato da opere di sbancamento e sradicamento alberi di alto fusto e di demolizione di opere abusive realizzate in assenza del permesso di costruire e su area sottoposta a vincolo paesaggistico. Il provvedimento dirigenziale le ha qualificate come interventi di nuova costruzione, vietati in zona classificata come agricola e sismica e per di più lesivi dei valori paesaggistici tutelati.
Secondo il ricorrente, non avrebbe potuto essere ordinata la demolizione dato che alcune opere sarebbero state sanate ed altre suscettibili di accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia). Quelle che ha confermato essere abusive, sarebbero consistite in una “piccola modifica delle mura perimetrali”, in un “leggero aumento dell’altezza di due locali” e nella “apertura delle 3 feritoie”. Si sarebbe trattato di mere pertinenze, non apprezzandosene alcuna autonomia edilizia e commerciale, e, come tali, non avrebbero avuto bisogno di essere assentite come invece accade per le nuove costruzioni.
Da qui il ricorso per una sanzione sproporzionata, con impossibilità tecnica di eseguire la demolizione senza recare pregiudizio della parte eseguita in conformità, motivo per cui ha invocato l’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 34, d.P.R. n. 380/2001.
Repressione abusi edilizi: attività doverosa e vincolata
Nel giudicare la questione il Consiglio ha preliminarmente sottolineato la natura doverosa e vincolata del potere repressivo degli abusi edilizi, e dunque la superfluità della comunicazione prevista dall’art. 7, l. n. 7 agosto 1990, n. 241.: “Per giurisprudenza assolutamente pacifica di questo Consiglio di Stato (da ultimo Sez. VI, sentenza n. 348/2023) "considerato che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce, notoriamente, manifestazione di attività amministrativa doverosa, non risultano rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un'effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, dovendosi ribadire anche a questo proposito che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione, con la conseguenza che, ai fini dell'adozione dell'ordinanza di demolizione, non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all'annullamento dell'atto alla stregua dell'art. 21-octies l. 7 agosto 1990, n. 241”.
No a scomposizione atomistica degli abusi
Altro punto fondamentale della giurisprudenza il fatto che il regime dell’opera abusiva va parametrato non alla sua artificiosa scomposizione atomistica, ma alla considerazione globale dell’intervento, motivo per cui la sanzione demolitoria ben si attaglia al complesso intervento descritto nel provvedimento gravato in primo grado.
Secondo il Consiglio di Stato, risulta pertanto condivisibile l’affermazione del primo giudice per cui “per consolidata e condivisibile giurisprudenza anche di questo Tribunale, nel vagliare un'operazione edilizia consistente in una pluralità di interventi, come qui accade, se ne deve effettuare una valutazione globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere il nesso funzionale che li lega e, in definitiva, l'effettiva portata dell'operazione”.
Un canone interpretativo, continuano i giudici, che va considerato a maggior ragione applicabile laddove, come nel caso in esame, le opere abusive contestate ricadono in area assoggettata a vincolo paesaggistico e, pertanto, alla tutela di natura squisitamente edilizia si aggiunge anche la tutela del bene paesaggistico, indubbiamente inciso dalle consistenti opere di sbancamento, di sradicamento di alberi ad alto fusto e di realizzazione di pareti e massetto di notevoli dimensioni.
Inoltre, dalla semplice descrizione delle opere , si evince come esse non possano essere considerate, per la maggior parte, accessorie ad opere legittimamente realizzate.
Infine, è improprio il richiamo alla nozione di pertinenza in materia urbanistica (che presupporrebbe un nesso funzionale e strumentale che non aumenti il carico urbanistico) in quanto, ferma restando la già segnalata inscindibilità del complessivo intervento, correttamente il T.A.R. ha sul punto rilevato che “a differenza di quanto affermato da parte ricorrente, sono state effettivamente realizzato ulteriori opere contestate che non hanno formato oggetto di alcuna domanda di sanatoria.
Concludono i giudici di Palazzio Spada sottolineando che, proprio alla luce del costante orientamento della giurisprudenza secondo il quale nel vaglio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere deve necessariamente effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione, “non è consentito dedurre l’irrilevanza né delle pareti che fungerebbero da parapetto della scala, né della tettoia, né del massetto, quali elementi distintamente apprezzabili", facendo essi parte di un intervento ben più ampio, comprendente anche la creazione di un nuovo volume.
Documenti Allegati
Sentenza