Cessione bonus facciate ed ecobonus a Poste Italiane: la Cassazione sul sequestro preventivo

La Corte di Cassazione si esprime sul sequestro dei crediti fiscali maturati a seguito di interventi di bonus facciate ed ecobonus prima del Decreto Antifrode

di Gianluca Oreto - 11/12/2023

Come ricordato tante volte su queste pagine, la problematica più rilevante che ha riguardato il meccanismo della cessione dei crediti edilizi è stata la sua iniziale estensione senza controllo ai bonus "minori".

La cessione del credito prima e dopo il Decreto Antifrode

Senza le modifiche arrivate solo a partire dal Decreto-Legge 11 novembre 2021, n. 157 (Decreto Antifrode), in vigore solo dal 12 novembre 2021, la cessione dei bonus edilizi indicati all'art. 121, comma 2, del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio) poteva essere effettuata:

  • senza il visto di conformità;
  • senza asseverazione di congruità delle spese;
  • senza alcun controllo preventivo dell'Agenzia delle Entrate;
  • senza alcun codice identificativo univoco;
  • un numero illimitato di volte.

Un vuoto normativo all'interno del quale sono state registrate le principali frodi e che ha fatto perdere il controllo al Legislatore che, resosi conto dell'errore, ha avviato una serie di modifiche al meccanismo di cessione (limitandone nel numero) che ha sfiduciato i principali operatori del settore che fino a quel momento avevano operato (in alcuni casi) con estrema "leggerezza".

Il sequestro preventivo

Tra le problematiche connesse agli scarsi controlli iniziali sono arrivate le prime sentenze della Corte di Cassazione che ha evidenziato l'applicazione del sequestro preventivo del credito anche nei confronti del cessionario incolpevole. Una misura che ha generato il panico e che solo successivamente ad una campagna mediatica senza precedenti contro il superbonus (la cui "colpa" nelle frodi è assolutamente marginale), ha portato il Legislatore ad intervenuto sul concetto di responsabilità solidale dei cessionari, limitata ai soli casi di dolo, colpa grave e da escludere in presenza di una copiosa documentazione indicata nell'art. 1, comma 1, lettera b) del Decreto-Legge 16 febbraio 2023, n. 11 (Decreto Cessioni), convertito con modificazioni dalla Legge 11 aprile 2023, n. 38.

L'effetto sul sequestro preventivo di cui all'art. 321 del c.p.p. è rimasto intatto e ha generato una serie di sentenze che ne hanno evidenziato la portata che ha acuito la sfiducia degli operatori verso il meccanismo di cessione che si è quasi definitivamente bloccato (su cui ha contribuito in parte la riduzione della capienza fiscale del sistema).

La nuova sentenza della Corte di Cassazione

Sul sequestro preventivo è intervenuta una nuova sentenza della Corte di Cassazione (n. 47346 del 24 novembre 2023) resa in riferimento ad un sistema considerato fraudolento di cessioni a catena di crediti fiscali maturati da interventi di bonus facciate ed ecobonus, monetizzati in ultima istanza a Poste Italiane.

Nel caso oggetto del nuovo intervento degli ermellini, il Tribunale aveva convalidato il sequestro preventivo di urgenza disposto dal PM e contestualmente adottato un provvedimento di cautela reale avente ad oggetto la somma di euro quasi 9 milioni di euro derivanti dal meccanismo di cessione dei crediti di imposta legati al bonus facciate e all'ecobonus.

Secondo i ricorrenti, il Tribunale non avrebbe preso in considerazione gli elementi addotti dalla difesa e avrebbe ritenuto il fumus facendo leva sugli oneri imposti dal Decreto Antifrode e sulla ritenuta antieconomicità della operazione. I ricorrenti hanno, inoltre, sottolineato che nel caso oggetto della sentenza la legge non imponeva acquisizione della documentazione attestante la genuinità dei crediti di imposta già presenti nel cassetto fiscale del cedente poiché alla vicenda era precedente il Decreto Antifrode stesso. Viene, infine, evidenziato che all'epoca dei fatti non sussistesse alcun limite alla cessione dei crediti di imposta ed il cessionario non aveva alcun obbligo di verifica della genuinità del credito del cedente per cui, tuttavia, anche la normativa vigente collega la responsabilità soltanto alla ipotesi del dolo e non alla mera assenza di documentazione.

La Cassazione, ricostruendo i fatti, ha dedotto che il provvedimento di sequestro era stato adottato sulla scorta della provvisoria ipotesi di accusa formulata nei confronti dei ricorrenti, i quali avrebbero ricevuto crediti inesistenti (in quanto frutto di lavori astrattamente rientranti nel superbonus o bonus facciate ma, in realtà, mai eseguiti), a loro convogliati da quattro primi cessionari per un ammontare di quasi tredici milioni di euro e, poi, attraverso altri intermediari, definitivamente ceduti a Poste Italiane.

Il sistema ricostruito dal Tribunale prevedeva il pagamento dei cessionari soltanto nel momento in cui Poste Italiane aveva provveduto a regolare finanziariamente l'ultima operazione. In altri termini, la parte ricorrente avrebbe raccolto i crediti in capo ai primi cessionari man mano che venivano creati e, successivamente, li avrebbe ceduti a società interposte che, a loro volta, li avrebbero poi ceduti a Poste Italiane e "...solo quando Poste versa il corrispettivo vengono man mano pagati tutti i concorrenti nella filiera".

Secondo gli ermellini, al di là del carattere (secondo l'accusa) "antieconomico" per il ricorrente, della catena di cessioni, quel che il Tribunale (e, prima ancora, il GIP) ha giudicato rilevante è proprio la circostanza che l'unico soggetto effettivamente "pagante" era stato soltanto l'ultimo della catena delle cessioni ed in capo al quale finisce con il ricadere il pregiudizio patrimoniale derivante dalla natura artificiosa dei crediti fiscali che erano stati creati sulla falsa rappresentazione di lavori in realtà mai eseguiti.

Ulteriori indici della illiceità delle operazioni era stato individuato nel fatto che una delle società si atteggiasse a "cartiera" e che, come pure emerso nel corso delle indagini, il corrispettivo delle cessioni a Poste Italiane veniva spesso girato prontamente su conti esteri.

In conclusione, la Cassazione ha ricordato il consolidato l'orientamento secondo cui il giudice del riesame, nella valutazione del fumus, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile o meno l'impostazione accusatoria, ma non può sindacare la fondatezza dell'accusa.

Viene, dunque, ribadito che il ricorso per Cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in siffatta nozione dovendosi peraltro comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che risultino così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.

Il Tribunale ha dato conto degli elementi su cui ha potuto fondare la propria diagnosi relativamente al fumus laddove le circostanze evidenziate dalla difesa e di cui si lamenta la omessa considerazione, attengono a profili che la difesa avrebbe dovuto chiarire in quale misura avrebbero potuto dar conto della inesistenza dell'elemento soggettivo con quel grado di autoevidenza tale da poter essere rilevato nell'ambito dell'incidente cautelare reale.

In definitiva il ricorso è stato respinto e il sequestro confermato.

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