Abusi edilizi: senza sanatoria niente CILAS Superbonus
Pericoloso intervento del TAR Lazio che entra nel merito della presentazione della CILAS in presenza di abusi edilizi e del silenzio sulla SCIA in sanatoria
In questi 3 anni e mezzo di superbonus sono tanti gli spunti arrivati sia dalla normativa (modificata 29 volte) che dalla giurisprudenza che in alcuni casi è riuscita a far esplodere alcune "bolle" speculative nate da (chiamiamoli) "fraintendimenti".
CILAS e abusi edilizi: "questo matrimonio non s'ha da fare"
Chi ha seguito le mie analisi normative e giurisprudenziali sa anche cosa io pensi dell'attuale versione del comma 13-ter, art. 119, del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio). Un comma con una formulazione normativa al limite del "falso ideologico" che è stato utilizzato come grimaldello per far avviare interventi di superbonus 110% su immobili con difformità edilizie più o meno grandi.
Vale la pena ricordare i contenuti del comma 13-ter e del successivo 13-quater:
13-ter. Gli interventi di cui al
presente articolo, anche qualora riguardino le parti strutturali
degli edifici o i prospetti, con esclusione di quelli comportanti
la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono
manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante
comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Nella CILA sono
attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la
costruzione dell'immobile oggetto d'intervento o del provvedimento
che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la
costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre
1967. La presentazione della CILA non richiede l'attestazione dello
stato legittimo di cui all' articolo 9-bis, comma 1-bis, del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Per
gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio
fiscale previsto dall'articolo 49 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti
casi:
a) mancata presentazione della CILA;
b) interventi realizzati in difformità dalla CILA;
c) assenza dell'attestazione dei dati di cui al secondo
periodo;
d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma
14.
13-quater. Fermo restando quanto previsto al comma 13-ter, resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento.
Da una parte il secondo periodo del comma 13-ter sembra che consentire l'avvio degli interventi di superbonus senza lo stato legittimo dell'edificio (ma in realtà ne consente l'avvio solo in assenza di "attestazione", cosa ben diversa). Dall'altra il successivo terzo periodo prevede la "famosa" deroga all'art. 49 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) a mente la quale la presenza di eventuali difformità edilizie il superbonus non decade. Decadenza che opera solo nei casi indicati nelle lettere da a) a d).
Tale disposizione ha generato la malsana idea che un intervento di superbonus non solo non decade ma può anche essere avviato in presenza di difformità edilizie che, però, come indicato nel successivo comma 13-quater restano oggetto di "ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento".
Indice degli argomenti trattati nell'articolo
- CILAS e abusi edilizi: "questo matrimonio non s'ha da fare"
- CILAS e abusi edilizi: interviene il TAR
- Il ricorso, il potere inibitorio, il giusto procedimento e la natura della CILAS
- SCIA in sanatoria, CILAS e conclusioni
CILAS e abusi edilizi: interviene il TAR
Sull'argomento era già intervenuta una copiosa giurisprudenza di Cassazione che aveva già chiarito come " "Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce una ripresa dell'attività criminosa originaria, che integra un nuovo reato, anche se consista in un intervento di manutenzione ordinaria" (sentenza n. 11788/2021).
Entrando ancor più nel dettaglio del tema legato al superbonus, registriamo il nuovo intervento del TAR Lazio che con la recentissima sentenza n. 18386 del 7 dicembre 2023 ha chiarito l'aspetto relativo alla presentazione di una CILAS (CILA per il Superbonus) in presenza di abusi edilizi per la quale è stata contemporaneamente presentata una SCIA in sanatoria ai sensi dell'art. 37 del Testo Unico Edilizia.
Nel caso di specie, il Comune ha dichiarato "inammissibile" e "improcedibile" la CILAS presentata da un Condominio per l’esecuzione di lavori di riqualificazione energetica e di riduzione del rischio sismico, oltre che dichiarare inefficace, e quindi archiviare, la SCIA in sanatoria presentata al fine di regolarizzare alcune precedenti opere realizzate in difformità dalla licenza edilizia sul fabbricato su cui intendeva eseguire i lavori di riqualificazione.
Secondo il Comune il provvedimento di inammissibilità e improcedibilità della CILAS è motivato in relazione:
- alla sussistenza sul fabbricato delle predette opere in difformità rispetto a quanto autorizzato con la licenza edilizia (per sanare le quali il Condominio ha presentato SCIA in sanatoria);
- ad alcune irregolarità e carenze documentali proprie della CILAS.
Indice degli argomenti trattati nell'articolo
Il ricorso
In sede di ricorso viene contestato:
- che in caso di CILA la legge non attribuisce all’amministrazione alcun potere di valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento, né alcun potere di natura inibitoria, sicché il Comune avrebbe esercitato un potere non tipizzato;
- la violazione dei principi del giusto procedimento e dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990;
- che il provvedimento impugnato con cui il Comune rileva l’esistenza sull’immobile oggetto dei lavori di cui alla CILAS di opere realizzate in difformità dall’originario titolo edilizio e fa dipendere le sorti della CILAS medesima dal buon esito della SCIA in sanatoria.
Il potere inibitorio sulla CILAS
Relativamente alla prima contestazione, il TAR conferma il fatto che in regime di CILA ordinaria, l'art. 6-bis del TUE, diversamente dalla SCIA, non disciplina uno specifico e sistematico procedimento di controllo successivo ancorato a schemi e tempistiche predeterminate.
Ciò premesso, secondo il TAR:
- restano fermi in capo al Comune, e devono essere doverosamente esercitati, i generali poteri di vigilanza e repressione in materia urbanistico-edilizia di cui all’art. 27, commi 1 e 2, del Testo Unico Edilizia;
- è a tali poteri che, in un’ottica sostanzialistica, deve essere ricondotto il provvedimento adottato dal Comune nel caso di specie, con il quale, in sostanza, l’ente locale, rilevato che i lavori per i quali era stata presentata la CILAS riguardavano un fabbricato interessato da difformità edilizie rispetto all’originario titolo abilitativo (fatto confermato dalla presentazione contestuale della SCIA in sanatoria) ha inteso agire tempestivamente affinché non si consolidasse, sul piano degli effetti materiali, un’ulteriore situazione di abuso, disponendo “il divieto di prosecuzione dei lavori e il ripristino di quanto già eventualmente realizzato”.
Secondo i giudici del TAR, pur non ignorando l’esistenza di pronunce che si sono espresse nel senso della nullità dell’atto recante un “diniego di CILA”, in quanto espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché di pronunce che, proprio valorizzando l’elemento della non rispondenza ad alcun potere normativamente tipizzato, concludono per la natura non provvedimentale dell’atto con conseguente inammissibilità del ricorso, hanno confermato un diverso orientamento secondo cui l’esercizio del potere di vigilanza contro gli abusi edilizi ben può consistere “nel semplice rilievo, non soggetto a termini o procedure particolari e comunque non rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, dell’inefficacia della CILA in vista della sospensione dei lavori e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi”.
Il giusto procedimento e la natura della CILAS
In quando alla presunta violazione dei principi del giusto procedimento e dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, il TAR ha rilevato che la natura della CILA, qualificabile in termini di comunicazione privata e non di istanza di parte che dà avvio ad un procedimento destinato a concludersi per silentium, induce ad escludere che il Comune, in sede di esercizio dei poteri di controllo sull’attività edilizia posta in essere sulla base della comunicazione, debba attivare le garanzie procedimentali di cui alla legge n. 241 del 1990 e adottare il preavviso di provvedimento negativo ex art. 10-bis della medesima legge.
Indice degli argomenti trattati nell'articolo
SCIA in sanatoria e CILAS
Per quanto concerne il terzo motivo del ricorso, secondo il TAR la decisione di vietare la prosecuzione dei lavori sino alla definizione della SCIA in sanatoria va ritenuta coerente con il principio secondo cui gli interventi edilizi per essere lecitamente realizzati devono afferire a immobili non abusivi, verificandosi altrimenti un effetto di propagazione dell’illecito per cui le opere aggiuntive partecipano delle caratteristiche di abusività dell’opera principale.
I giudici di primo grado hanno esteso tale principio generale, che comporta il divieto di prosecuzione di lavori su opere abusive, non potendo gli stessi essere legittimamente realizzati in pendenza di una sanatoria, non può che valere, anche per la speciale ipotesi di CILA disciplinata nell’ambito della normativa relativa al c.d. “superbonus 110%”.
Viene, infatti, confermato il principio (che ho sempre evidenziato su queste pagine) per cui pur non richiedendo la CILAS l'attestazione dello stato legittimo, questo non significa assolutamente che non rilevino gli eventuali precedenti illeciti edilizi commessi sull’immobile.
L’esigenza di semplificazione degli adempimenti a carico del privato perseguita dalla norma non può infatti risolversi, pena un’inammissibile incoerenza del sistema, in una limitazione o addirittura in un’esclusione del potere-dovere del Comune di reprimere gli abusi edilizi, il che, del resto, è confermato dalla clausola di salvezza di cui al successivo comma 13-quater dello stesso art. 119, ai sensi del quale “resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento”.
Conclusioni
Il TAR ha concluso per la correttezza dell'operato del Comune che, nel caso di specie, accertata la presenza sull’immobile oggetto dei lavori di cui alla CILAS di abusi edilizi ed appurato che tale istanza presentava plurime carenze tali da giustificare l’adozione di un invito a conformarsi, ha disposto che “l’eventuale nuova pratica, concernente l’oggetto, potrà essere valutata solo successivamente l’eventuale definizione della SCIA in sanatoria”.
Ciò premesso, nella CILAS erano comunque presenti delle irregolarità e carenze che hanno portato al provvedimento del Comune.
SCIA in sanatoria: ribadito un concetto "pericoloso"
Altro punto "pericoloso" evidenziato dal TAR riguarda la procedura da seguire nel caso di SCIA in sanatoria (anche questo un argomento sufficientemente sviscerato su queste pagine).
Tralasciando i difetti contenutistici della pratica presentata nel caso di specie, con riferimento all’istituto di sanatoria edilizia contemplato dall’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, avente ad oggetto la regolarizzazione di interventi eseguiti in mancanza di SCIA o in difformità da essa, il TAR condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la presentazione della relativa istanza esige una definizione in forma espressa da parte dell’amministrazione comunale, in assenza della quale il relativo procedimento di sanatoria non può dirsi perfezionato né in senso sfavorevole né, tanto meno, in senso favorevole all’istante.
Tale ricostruzione, se per un verso esclude che nel caso dell’art. 37 in questione il silenzio dell’amministrazione assuma valore significativo (come invece accade nel caso di richiesta di sanatoria di cui al precedente art. 36 dello stesso decreto, per la quale il Legislatore espressamente attribuisce al silenzio il valore di diniego), per altro verso, nega altresì la riconducibilità della SCIA in sanatoria al modello delineato in termini generali per la SCIA dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, con conseguente inapplicabilità dei relativi termini per l’esercizio da parte dell’amministrazione del potere inibitorio.
Secondo il TAR, va rimarcato che, ove pure si accedesse alla diversa ricostruzione che fa leva sull’applicazione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 anche in relazione alle segnalazioni inoltrate a sanatoria, seguendo la prospettiva adottata dal Comune nel caso di specie, si giungerebbe comunque a ritenere infondata la censura di tardività del provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti. Ciò in quanto, la SCIA in sanatoria presentata dal Condominio ricorrente era incompleta perché priva del necessario parere di compatibilità paesaggistica e, come tale, inidonea al decorso dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 4, della legge n. 241 del 1990.
Nel disciplinare la sanatoria delle opere eseguite in assenza di SCIA o in difformità da essa, il Legislatore, all’art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, pone la condizione che gli interventi risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione della relativa domanda, secondo il principio della c.d. doppia conformità che regola anche la sanatoria di cui al precedente art. 36 dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001, relativa, quest’ultima ad interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso.
Quanto al profilo paesaggistico, il vincolo sopravvenuto all’intervento abusivo deve ritenersi senz’altro rilevante ai fini della sanatoria edilizia di cui all’art. 37 in discorso, dovendo essere comunque acquisito, ex art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, il parere dell’autorità tutoria in ordine all’assentibilità della sanatoria e ciò a prescindere dall’epoca di introduzione del vincolo medesimo.
Secondo il TAR, tale impostazione, che è ampiamente affermata dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento all’accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, deve essere senz’altro seguita, stante la sostanziale identità di ratio dei due istituti, anche ove l’istanza di sanatoria sia presentata, come nel caso di specie, ai sensi dell’art. 37 dello stesso decreto, in modo da assicurare che sia accertata la compatibilità - al momento della sanatoria - dei manufatti realizzati abusivamente con i valori paesaggistici sottesi all’apposizione del vincolo.
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Documenti Allegati
Sentenza TAR Lazio 7 dicembre 2023, n. 18386