Accertamento di conformità e silenzio diniego: nuove indicazioni dal TAR
Il silenzio di un'Amministrazione su un'istanza di accertamento di conformità è significativo ed equivale a un silenzio rifiuto, che può comunque essere impugnato
Il silenzio diniego opposto da un'Amministrazione contro un'istanza di accertamento di conformità può essere impugnato, ma è comunque legittimo.
Lo specifica il TAR Lombardia, con la sentenza del 24 novembre 2023, n. 2801, con cui ha respinto il ricorso contro il silenzio rigetto su un’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 3802001 per il recupero di un sottotetto a fini abitativi.
L'accertamento di conformità nel Testo Unico Edilizia
Nel valutare il caso, il giudice amministrativo ha preliminarmente ricordato che, come chiarito di recente dalla Corte Costituzionale, “L’art. 36 t.u. edilizia disciplina l’«accertamento di conformità», vale a dire il permesso in sanatoria ottenibile per interventi realizzati in difetto del, o in difformità dal, titolo edilizio, alla condizione che le opere siano rispondenti alla disciplina urbanistico-edilizia vigente tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza."
Il legislatore, dunque, consente in via generale la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico. L’istituto si distingue nettamente dalle ipotesi del condono edilizio in cui la legge, in via straordinaria e con regole ad hoc, consente di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia.
Sempre la Corte Costituzionale ha specificato che il legislatore prevede un procedimento a iniziativa di parte in cui l’onere di dimostrare la cosiddetta doppia conformità delle opere è a carico del richiedente. L’amministrazione è tenuta a pronunciarsi con adeguata motivazione entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta «si intende rifiutata».
Il silenzio rigetto dopo 60 giorni dall'istanza
La formula normativa è interpretata dalla giurisprudenza amministrativa come previsione di una fattispecie di silenzio con valore legale di diniego della proposta istanza (cosiddetto silenzio-rigetto) e non come mera inerzia nel provvedere (cosiddetto silenzio-inadempimento)
La ratio del silenzio rigetto risiede in plurimi elementi:
- la necessità della difesa del corretto assetto del territorio dagli abusi edilizi, la cui repressione costituisce attività doverosa per l’amministrazione (artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001).
- Il legislatore impone all’autorità comunale di ordinare la demolizione delle opere abusive, senza gravarla della previa verifica della loro sanabilità e, piuttosto, pone in capo al privato – che, violando la legge, ha omesso di chiedere preventivamente il necessario titolo edilizio e si è, così, sottratto al previo controllo di conformità alla pianificazione urbanistica – l’onere di proporre l’istanza di sanatoria e quello di impugnare il suo eventuale diniego, anche tacito;
- il coordinamento con la disposizione dell’art. 45 t.u. edilizia relativa alla persecuzione penale degli abusi edilizi: questa prevede la sospensione del procedimento penale sino alla decisione amministrativa sull’istanza di titolo in sanatoria, in ragione dell’effetto estintivo dei reati contravvenzionali derivante dal suo accoglimento; ma, al contempo, tale sospensione richiede un contenimento temporale non potendo il processo penale arrestarsi sine die;
- l’interesse del privato, cui è in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale.
In sostanza, con il delineato sistema di tutela è traslato in fase processuale l’onere incombente sul privato in fase procedimentale.
Doppia conformità edilizia: l'onere probatorio
Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’onere probatorio del privato è diversamente modulato a seconda che si qualifichi il potere di sanatoria in termini vincolati o tecnico-discrezionali:
- dalla prima, prevalente impostazione viene chiesto al ricorrente di fornire prova piena della doppia conformità;
- dal secondo indirizzo è richiesto al ricorrente di fornire la prova della non implausibilità della doppia conformità, in termini idonei a sconfessare la negativa definizione del procedimento.
Dall’assolvimento del richiesto onere probatorio, discende l’annullamento del silenzio-rigetto, con il conseguente obbligo dell’amministrazione a provvedere espressamente sull’istanza in termini conformati a seconda all’accertamento compiuto in sentenza.
Nella riedizione del potere, l’amministrazione sarà, quindi, o totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale della doppia conformità o fortemente condizionata dalle indicazioni giudiziali sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuerà a vantare margini di valutazione tecnico-discrezionali.
Il ricorso
Analizzando lil caso in esame, pur nel sistema introdotto dagli artt. 2 e 3, della legge n. 241/1990, il silenzio serbato dall'Amministrazione Comunale sull'istanza di accertamento di conformità di cui all'art. 36, d.P.R. n. 380/2001, ha natura di atto tacito di reiezione dell'istanza e, quindi, di silenzio significativo e non di silenzio rifiuto. Ne discende che, una volta decorso il termine di 60 giorni, si forma il silenzio diniego (o silenzio rigetto), che può essere impugnato dall'interessato in sede giurisdizionale nel prescritto termine decadenziale di sessanta giorni, alla stessa stregua di un comune provvedimento.
La carenza di motivazione non inficia il rigetto silenzioso della domanda di sanatoria edilizia, essendo l'obbligo di motivazione imposto solo per il caso in cui il Comune intenda accogliere la domanda di conservazione, e ciò allo scopo di tutelare la collettività e gli eventuali controinteressati rispetto alla determinazione di sanare un abuso edilizio. L'obbligo di 'adeguata motivazione' non può che riguardare, nella formulazione della norma, l'ipotesi in cui l'Amministrazione ritenga di accogliere la richiesta di accertamento di conformità, trattandosi di sanare ex post un abuso edilizio.
La P.A. non può infatti sottrarsi di specifica e puntuale esposizione delle ragioni, in fatto e in diritto, che consentono di legittimare l'opera realizzata sine titulo; il privato, peraltro, non vede diminuito il proprio diritto di difesa per il fatto di non potere dedurre il vizio di difetto di motivazione dell'impugnato silenzio-diniego, ben potendo allegare che l'istanza di sanatoria sia meritevole di accoglimento, per la sussistenza della prescritta doppia conformità delle opere abusive realizzate, adducendo un valido principio di prova.
In riferimento alla sanabilitò degli abusi “è onere del soggetto interessato alla sanatoria dell'abuso edilizio dare prova della c.d. doppia conformità urbanistica dell'opera da sanare, sia con riferimento al momento della realizzazione della stessa, che al momento della presentazione della relativa istanza di sanatoria, così come previsto dall'art. 36, d.P.R. n. 380/2001; ciò in quanto la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell'interessato e non della P.A., dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'addotta sanabilità del manufatto, dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova”:
Prova che nel caso in esame non è stata fornita, e che interessava i seguenti interventi:
- il recupero del sottotetto ai fini abitativi;
- l’apertura di n. 2 nuove portefinestre;
- la rimozione del riempimento/supporto a soffitto (escluso bagno già autorizzato e cabina armadio);
- lo spostamento di n. 1 porta interna.
Per pacifica giurisprudenza, infatti, la modifica dei prospetti mediante l'apertura di finestra e di porta comporta la necessità del previo permesso di costruire e, in questa sede, manca la prova della doppia conformità di tale modifica del prospetto in base allo strumento urbanistico comunale vigente.
Senza dire che se rimane la possibilità che gli interventi di recupero dei sottotetti comportino "l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi" (art. 64) “ciò, si badi, non è previsto che avvenga in deroga alle prescrizioni di piano”.
Quanto, poi, al recupero del sottotetto ai fini abitativi, non è stata dimostrata dal ricorrente la doppia conformità alla luce della disciplina urbanistica vigente e, quindi, non provano il rispetto degli indici di edificabilità e dei parametri stabiliti dagli strumenti urbanistici comunali.
Documenti Allegati
Sentenza