Silenzio assenso: il no del Consiglio di Stato all'annullamento in autotutela
È illegittimo e inefficace il tardivo diniego emesso sulla base dell'annullamento retroattivo di un titolo, ad esempio il diverso accatastamento di un immobile
Anche se le attività relative a un provvedimento di cui si chiede l'adozione non sono conformi alle norme è possibile la formazione del silenzio assenso, tanto più se esso si forma sulla base non di autodichiarazioni del privato, ma di uno status derivante da un altro atto della Pubblica Amministrazione.
Silenzio assenso: la PA può annullare il provvedimento?
A confermarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 30 novembre 2023, n. 10383, con la quale ha accolto l’appello di un’imprenditrice agricola che si era vista negare un cerificato di connessione con l’attività agricola per la realizzazione di attività agrituristica da parte di un’Amministrazione regionale.
Secondo la legge regionale, la richiesta del certificato prevedeva la formazione del silenzio assenso dopo 60 giorni dalla presentazione dalla domanda. Nelle more del procedimento, la Regione ha effettuato un sopralluogo a seguito del quale:
- ha inviato all’Agenzia delle Entrate una nota con la quale comunicava l’avvio di opere di ristrutturazione che potevano compromettere il requisito di ruralità del bene;
- una lettera al Comune per la verifica del titolo edilizio sotteso alle opere di ristrutturazione che stavano interessando il fabbricato.
Il Fisco ha quindi annullato in autotutela l’accatastamento precedente, con il risultato che era venuta meno meno la qualifica di ruralità del bene ai fini fiscali; da qui il rigetto della Regione della richiesta del certificato di connessione con l’attività agricola in quanto non era sussistente la destinazione agricola del fabbricato.
La sentenza del Consiglio di Stato
La proprietaria del fabbricato ha quindi presentato ricorso al Tar, specificando che sull’istanza si era formato il silenzio assenso, e che i provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate e della Regione erano successivi al termine previsto.
Mentre il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso, Palazzo Spada ha invece dato ragione alla ricorrente, confutando la tesi per cui la formazione del silenzio-assenso non sarebbe avvenuto perché il provvedimento avrebbe avuto origine da false rappresentazioni da parte dell’istante e che l’amministrazione (il Fisco) poteva comunque agire in autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies, comma 2-bis, della legge n. 241/1990.
Sulla questione, il Consiglio ha ricordato che il silenzio assenso è un principio generale posto a presidio della celerità dell’azione ammnistrativa, nonché della semplificazione e della certezza dei rapporti con i cittadini, principio che in ultima analisi risponde a quello di buon andamento previsto dall’art. 97 della Costituzione. Una volta acclarato detto principio la questione verte sul valore del silenzio.
Ok al silenzio assenso anche in mancanza di elementi conformi
Per questo motivo, anche ove l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l'adozione non sia conforme alle norme, si rende comunque configurabile la formazione del silenzio assenso. Il legislatore ha infatti chiaramente sconfessato la tesi secondo cui la possibilità di conseguire il silenzio-assenso sarebbe legata, non solo al decorso del termine, ma anche alla ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo.
Non si tratta quindi di valutare se la domanda, in astratto sia assentibile in quanto in possesso di tutti i requisiti ma piuttosto se la domanda possiede quel minimum di elementi essenziali per il suo esame e non rappresenti erroneamente i fatti. In tali condizioni è l’amministrazione che deve svolgere il procedimento nei tempi prefissati dalla legge pena la formazione del silenzio.
Diversamente opinando, la mancata applicazione della disciplina sul silenzio in considerazione della frapposizione per tale via di un “filtro” – non legislativamente previsto – comporterebbe la neutralizzazione della forza della disposizione sul silenzio, posta a garanzia dei cittadini, ed il conseguente spostamento in sede giurisdizionale della valutazione circa la congruità dell’istanza. Né – in una ottica di bilanciamento degli interessi in gioco – l’amministrazione rimane priva di possibilità di agire stante il potere di annullamento d’ufficio a fronte del formarsi del silenzio a causa dell’inadempimento a provvedere nei termini.
Non sarebbe quindi logico ritenere in questo caso che il silenzio assenso non si sarebbe formato in base alla dichiarazione “falsa”, rivelatasi per effetto di un successivo annullamento retroattivo di un provvedimento favorevole da parte di un’amministrazione (l’Agenzia delle entrate) diversa da quella procedente.
Qui non è in discussione se la ruralità ed il relativo accatastamento del fabbricato fossero presenti sia al momento della presentazione della domanda, ma anche, spirati i 60 giorni, successivamente. Qui è in discussione il fatto che il TAR abbia ritenuto superabile il silenzio assenso già formato perché si era verificato un fatto ostativo alla sua formazione in modo retroattivo.
Il limite delle dichiarazioni mendaci
Sul punto i giudici ricordano che l’art. 21-nonies, comma 2-bis prevede che “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.” In questo caso la ruralità ed il relativo accatastamento non sono il risultato di rappresentazioni o autocertificazioni, ma di un precedente provvedimento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Solo la radicale esorbitanza della domanda dal modello legale impedisce la formazione del silenzio assenso, ma nel caso di specie è stato dimostrato che: i) l’istante era coltivatrice diretta; ii) possedeva i requisiti dell’imprenditore agricolo; iii) l’immobile ricade in zona agricola; iv) lo strumento urbanistico consentiva sia l’attività agricola che quella agrituristica.
Il TAR non ha quindi considerato che l’accatastamento in contestazione era frutto di un avviso di accertamento e non di un’autodichiarazione; non rientra nella cornice tipizzata dal procedimento amministrativo la facoltà di chiedere, una volta siano trascorsi i termini, il riesame della conferma della ruralità del fabbricato, ai fini del superamento del silenzio assenso: l’amministrazione avrebbe potuto accertare prima tale criticità dell’accatastamento o agire, dopo lo spirare dei termini, in autotutela.
Fino alla data di chiusura del procedimento, il requisito richiesto dalla norma (la ruralità del fabbricato) è senz’altro da accertarsi, motivo per cui è evidente il perfezionamento dell’istanza presentata per silenzio assenso e l’illegittimità e inefficacia del tardivo diniego emesso ed in mancanza di esercizio dei poteri di autotutela.
Documenti Allegati
Sentenza