Superbonus e Bonus barriere architettoniche: quando lo Stato diventa un nemico
Con la conferma del Decreto Superbonus, si spengono le speranze del comparto edile per una soluzione agli annosi problemi derivanti dal blocco della cessione del credito
“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Lo prevede espressamente il primo periodo dell’art. 1 della Costituzione Italiana che mette al primo posto il lavoro come motore non solo dell’economia ma anche come forma di contribuzione all'organizzazione della vita politica e sociale del Paese. Eppure, il principio del lavoro come fulcro della società, è andato via via sbiadendo, perdendosi nei meandri di una legiferazione instabile, priva di contenuti, di progettualità se non addirittura di logica e buonsenso.
Superbonus, bonus barriere architettoniche e opzioni alternative: è un disastro
Di esempi se ne potrebbero citare parecchi e riguarderebbero i diversi ambiti della società. Dovendone scegliere uno, non avrei alcun dubbio e mi concentrerei sul disastro che il Paese sta vivendo a causa del parossismo dello Stato nei confronti delle disposizioni messe a punto con gli articoli 119, 119-ter e 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), che regolano rispettivamente:
- il superbonus;
- il bonus 75% per l’eliminazione delle barriere architettoniche;
- il meccanismo delle opzioni alternative alla detrazione fiscale (sconto in fattura e cessione del credito).
Una esasperazione normativa che ha condotto verso 30 provvedimenti di modifica (a breve arriverà il trentunesimo!) che hanno stravolto e travolto la vita di chi aveva deciso di puntare proprio sull’art. 1 della Costituzione italiana: il lavoro.
Sia chiaro, questo scritto non si propone di difendere questa o quella forza politica tra quelle intervenute in questo percorso ad ostacoli che a breve compirà 4 anni. Piuttosto, vuole solo evidenziare le storture di una politica sempre più priva di “concetti” ed ancorata a spot elettorali di breve periodo che con il lavoro hanno davvero poco da dividere.
Decreto Rilancio: la prima fase
Chi dimentica è complice. L’ormai noto “Decreto Rilancio” approda in Gazzetta Ufficiale il 19 maggio 2020 in pieno periodo pandemico. Il particolare momento di crisi economica, sanitaria e sociale può giustificare i parecchi errori di formulazione delle regole stabilite per il superbonus e per il meccanismo di cessione?
Diamine, assolutamente no!
Tralasciamo le incongruenze, mancanze e imprecisioni riguardanti proprio la detrazione fiscale del 110% e tralasciamo pure che questa misura è stata prevista con un Decreto Legge che ha costretto il comparto delle costruzioni ad una estenuante attesa di 139 giorni prima di vedere completato il quadro normativo (con i due Decreti del MiSE arrivati in Gazzetta Ufficiale il 5 ottobre 2020).
L’errore più grande ed imperdonabile del Governo Conte II (e del relativo Parlamento) è stato commesso sul meccanismo delle opzioni alternative, disegnato senza aver minimamente idea del contesto in cui sarebbe stato applicato. Sconto in fattura e cessione del credito sono stati previsti senza neanche aver definito i controlli dell’Agenzia delle Entrate, arrivati solo a novembre 2021 con il Decreto-Legge 11 novembre 2021, n. 157 (Decreto anti-frode), in cui contenuti sono stati poi abrogati e rimessi nella Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di Bilancio 2022).
Con un anno e mezzo di ritardo, il legislatore (siamo già al Governo Draghi) si è reso conto che andavano previste delle misure di contrasto alle frodi in materia di cessioni dei crediti e rafforzati i controlli preventivi dell’Agenzia delle Entrate.
Ma non solo.
L’aspetto più devastante era contenuto nell’art. 121, comma 2 del Decreto Rilancio che in prima battuta, fino al Decreto Antifrode, ha consentito la circolazione dei crediti anche per le detrazioni fiscali senza alcun controllo (come il bonus facciate). Questo è stato certamente l’errore più grande del primo legislatore che ha messo a punto il meccanismo delle opzioni alternative.
Decreto Rilancio: la seconda fase
Prima del Decreto Antifrode e subito dopo i primi 6 correttivi che hanno provato a colmare alcune inesattezze e imprecisioni, è arrivato uno dei provvedimenti principali da cui probabilmente deriva l’eccessiva spesa in superbonus: il Decreto-Legge 31 maggio 2021, n. 77 (Decreto Semplificazioni-bis) convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108.
Stiamo parlando di un provvedimento predisposto dal Governo Draghi, a seguito del quale (dati Enea alla mano) si è assistito alla vera esplosione degli interventi di superbonus. La CILAS e la deroga all’art. 49 del Testo Unico Edilizia hanno dato il via a tanti interventi che, senza queste misure, non avrebbero mai potuto essere realizzati perché privi dello stato legittimo. Ma anche qui si è generato un grosso misunderstanding (su cui ho già scritto) che nei prossimi anni sarà fonte di cause che impegneranno i tribunali (come già sta succedendo).
Decreto Rilancio: la terza fase
Non entriamo nel merito dei tanti correttivi arrivati e che hanno via via modificato l’orizzonte temporale per l’utilizzo del superbonus (che nella sua formulazione originaria doveva terminare il 31 dicembre 2021). Ma anche in questo caso si potrebbe dire che tutte le forze politiche (anche quelle che oggi siedono sui banchi del Governo) hanno sempre votato a favore di un allungamento dei termini senza aver minimamente cura delle risorse necessarie.
Ciò che colpisce maggiormente della terza fase del superbonus (avviata dal Governo Draghi e su cui il Governo Meloni sta continuando l’inerzia) è la totale assenza di prospettiva. Dal Decreto-Legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Decreto Sostegni-ter), convertito con modificazioni dalla Legge 28 marzo 2022, n. 25, con lo scopo di bloccare il superbonus si è pensato di intervenire sul meccanismo di cessione (il vero motore dell’edilizia).
Sostanzialmente, strada facendo, si è:
- smantellato il primo meccanismo di cessione (i cui motivi sono tutt’ora oscuri);
- instillato il dubbio delle frodi;
- disincentivato le banche al loro ruolo fino a quel momento giocato nel binomio superbonus-cessione del credito.
Una modalità che non ha disincentivato affatto gli interventi di superbonus (che nel 2023 hanno cubato 40 miliardi di euro di investimenti, contro i 46 dell’anno precedente), ma hanno lasciato contribuenti, imprese e professionisti fermi al palo, in attesa che qualcuno acquistasse i crediti maturati che, lo ricordiamo, in assenza di capienza fiscale sono solo carta straccia (a prescindere dallo loro classificazione, concetto su cui tornerò a breve).
Decreto Rilancio: la quarta fase
Prima di entrare nel dettaglio dell’ultimo colpo di spugna deciso da questo Governo sul bonus 75% previsto per l’abbattimento delle barriere architettoniche, è opportuno definire quella che può essere considerata l’ultima fase relativa alla classificazione contabile del superbonus. Aspetto questo poco conosciuto dai non addetti ai lavori ma che fornisce certamente argomenti utili alla discussione.
Chi ha seguito la storia sulla classificazione e riclassificazione dei bonus edilizi, sa che le detrazioni fiscali previste per gli interventi di manutenzione e ristrutturazione degli edifici sono sempre state direttamente vincolate alla capienza fiscale di chi ne beneficia.
Chi avvia un intervento utilizzando una detrazione ha sempre dovuto far bene i conti, per verificare se la detrazione spettante nell’anno potesse essere coperta dalla contribuzione in termini di tasse.
Facendo un esempio pratico. Se per un intervento un contribuente spendeva 100.000 euro utilizzando un bonus del 50% con orizzonte temporale di 10 anni (come il bonus casa ai sensi dell’art. 16 del D.L. n. 63/2013, che scadrà il 31 dicembre 2024), i 50.000 euro di detrazione potevano essere utilizzati a partire dall’anno successivo all’intervento con una quota di 5.000 euro/anno. Chiaramente, per utilizzare questa detrazione di 5.000 euro, il contribuente avrebbe dovuto pagare almeno 5.000 euro di tasse (capienza fiscale), andando così al pari con l’erario.
Nel caso in cui il contribuente era privo di questa “capienza fiscale” o pagava tasse per un importo inferiore, la quota parte di detrazione non utilizzata nell’anno andava persa perché lo Stato non doveva rimborsarla.
Questo sistema era valido per il bonus casa così come per tutte le altre detrazioni in edilizia (superbonus compreso).
Dal punto di vista contabile, questi crediti, ai sensi del SEC 2010 (il sistema europeo dei conti nazionali e regionali), venivano contabilizzati nel Bilancio dello Stato solo quando venivano utilizzati. Riprendendo l’esempio precedente, lo Stato avrebbe contabilizzato 5.000 euro di minori entrate nell’anno di riferimento e solo per la quota effettivamente utilizzata dal contribuente (che come scritto poteva essere inferiore).
Questa tipologia di credito veniva definita “non pagabile”, perché lo Stato non avrebbe dovuto rimborsare la quota non utilizzata dal contribuente (che andava persa). Il credito “non pagabile”, quindi, veniva spalmato nel Bilancio dello Stato con la stessa cadenza del suo utilizzo (quindi nel caso in esame, fino ad un massimo di 5.000 euro/anno per 10 anni).
A inizio 2022, con l'aggiornamento del Manual on Government Deficit and Debt (MGDD), di fatto un manuale operativo e applicativo delle regole fissate dal SEC2010, è stato deciso che sulla classificazione del credito avrebbe dovuto essere presa in considerazione la “probabilità” che lo stessi non vada perso.
Una probabilità che dipenderebbe da 3 caratteristiche:
- la trasferibilità a terzi;
- l'utilizzo differito nel tempo;
- l'utilizzo in compensazione con altri debiti fiscali e contributivi.
Nel caso in cui la probabilità che il credito non vada perso sia alta, lo stesso avrebbe dovuto essere classificato come “pagabile”. Dal punto di vista contabile questo ha degli effetti diretti sul Bilancio dello Stato perché un credito “pagabile”, anche se con utilizzo pluriennale (come i bonus edilizi), va imputato tutto nell’anno in cui viene creato.
Ritornando all’esempio precedente, i 50.000 euro di detrazione avrebbero dovuto essere contabilizzati sul Bilancio dello Stato nell’anno in cui il credito veniva creato (anche se poi negli anni qualche importo poteva andar perso).
Dopo l’aggiornamento del MGDD, arriva a marzo 2022 la decisione di ISTAT per un nuovo trattamento contabile del “Superbonus 110%” e del “Bonus facciate” già a partire dall’anno di stima 2020 (retroattivamente). Dal 2020 (ovvero dal primo anno del meccanismo di cessione di cui all’art. 121 del Decreto Rilancio) questi crediti sono stati classificati come pagabili.
Alla luce della riclassificazione retroattiva dei due bonus, è cambiato anche il rapporto deficit/PIL per gli anni 2020 e 2021, diminuito rispettivamente a -0,2 e -1,8 punti percentuali.
Peccato, però, che contestualmente alla riclassificazione del superbonus siamo già nel pieno del blocco dei crediti edilizi (problema mai affrontato decentemente dal Governo o dal Parlamento).
La conseguenza è, quindi, che da una parte i crediti vengono inseriti subito al Bilancio dello Stato, dall’altra nonostante il meccanismo di cessione gran parte dei crediti restano bloccati nei cassetti fiscali dei contribuenti o delle imprese/professionisti che, non potendo più cederli, ne perderanno quota parte (o tutti in caso di fallimento).
Cosa cambia per il Governo?
Semplicemente si creerà un bel tesoretto (sulle spalle degli italiani) da utilizzare per diversi scopi (come rilevato recentemente dal deputato Del Barba durante la discussione e approvazione del ddl di conversione del D.L. n. 212/2023). Modalità questa che potrebbe condurre verso un intervento dell’OLAF, l’ufficio europeo che indaga sui casi di frode ai danni del bilancio dell'UE e sui casi di corruzione e grave inadempimento degli obblighi professionali all'interno delle istituzioni europee.
Il bonus barriere architettoniche
Senza aggiungere altro sul superbonus e sul meccanismo di cessione, a questo punto possiamo passare all’ultima grande problematica, divenuta tale a seguito della scelta (che io considero scellerata) di intervenire in corsa sul bonus 75% previsto per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Sulle modifiche apportate dal D.L. n. 212/2023 (Decreto Superbonus) ne abbiamo già sufficientemente scritto.
Senza entrare nuovamente nel merito della correttezza delle disposizioni volute dal Governo con il Decreto Superbonus (approvato senza modifiche dalla Camera e, quindi, sostanzialmente definitivo nei contenuti), occorre evidenziare un aspetto determinante.
Il bonus 75% barriere architettoniche è stato disciplinato dalla Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di Bilancio 2022) approvata nella scorsa legislatura (Governo Draghi). Questa detrazione è stata utilizzata tutto il 2022 e 2023, per poi essere prorogata fino al 31 dicembre 2025 (l’iniziale scadenza era fissata al 2024) dalla Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023), approvata da questo Parlamento (Governo Meloni).
A seguito della proroga al 2025 e dopo un biennio di “start-up”, il comparto delle costruzioni (che, ricordiamo, si compone anche dei produttori) ha cominciato a riorganizzare i sistemi di produzione per rispondere alla domanda crescente di sistemi edilizi e impiantisti conformi ai requisiti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236.
Con il D.L. n. 212/2023, arrivato come un pugno nello stomaco, il Governo ha deciso di limitare il bonus 75% per l’abbattimento della barriere architettoniche di tipo “verticale” (scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici), eliminando la possibilità di utilizzarlo per quelle “orizzontali” (infissi, vasca da bagno,…).
Una scelta dettata (indubbiamente) da un bonus molto “ampio” (utilizzato per tutti i lavori correlati e collegati) sul quale era stata “dimenticata” persino l’asseverazione di un tecnico ma che, ancora una volta, punisce i giusti per i peccatori (quanto hanno speso i produttori, ad esempio, di infissi per riorganizzare i sistemi di produzione? domanda questa che i nostri Governanti avrebbero potuto/dovuto porsi).
Conclusioni
Alla luce di questo racconto (che mi perdonerete per l’eccessiva lunghezza), è evidente che l’art. 1 della Costituzione risulta essere sempre più distante da una realtà in cui chi produce lavoro è ormai messo ad un angolo da uno Stato che ormai viene considerato “nemico”.
E a nulla servono i (pochi a dir vero) cortei in Piazza, le denunce alla Corte dei Conti o al Parlamento Europeo. Il dato di fatto è solo uno: mai fidarsi di una legge dello Stato, meglio basarsi unicamente sulle proprie forze ricordando di avere a fianco un socio occulto a cui versare parte dei guadagni generati con fatica, sudore e abnegazione.
Certo, se questi guadagni fossero utilizzati per migliore le infrastrutture, la sanità, la scuola,…forse saremmo tutti anche più contenti.