La guerra e il Piano Fanfani, il Virus e il Superbonus: 2 modelli a confronto

Valutazioni tecniche e considerazioni politiche sull’attuazione del Superbonus e sulle ripercussioni economiche e sociali

di Pietro Francesco Nicolai - 13/02/2024

Noi italiani, “Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove andiamo?” Prendendo spunto dal testamento spirituale del pittore Francese Paul Gauguin, rappresentato dal suo celebre dipinto (D’où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?), cercheremo di analizzare il nostro “Giardino dell’Eden”, l’Italia, la “crisi d’identità” del suo popolo e la funzione della propria esistenza, ripercorrendo il ciclo della nostra storia recente, per essere pronti alle nuove sfide globali e a ciò che verrà. L’analisi viene sviluppata comparando due epoche, quella immediatamente successiva al secondo conflitto mondiale, con le proprie necessità di ricostruzione fisica e morale del Paese, con l’epoca contemporanea, nella quale tali necessità tornano ad essere nuovamente gli elementi principali di discussione politica. L’ampiezza cronologica delle tematiche trattate, nonché l’esigenza di non trascurare gli elementi salienti e di comparazione tra le due diverse epoche, ha comportato un’espansione del testo oltre la “misura” comunemente tollerabile dagli attuali modelli di comunicazione. Si consiglia comunque di leggere fino in fondo queste poche pagine, a mo’ di “libro”, per cogliere pienamente il senso di tali riflessioni.

Da dove veniamo?

Correva l’anno 1949, il nostro Paese usciva flagellato dal secondo conflitto mondiale; un uomo illuminato cercò una via d’uscita dalle condizioni di sofferenza e di povertà che imperversavano ovunque, nei luoghi remoti della speranza tradita, nelle aree urbane ridotte a ruderi della memoria. Quell’uomo si chiamava Amintore Fanfani; Amintore, un nome singolare, non certo comune, come singolare e originale fu il suo lucido pensiero, nel ruolo che gli era stato affidato nella politica dell’epoca. Dal pensiero si giunse subito all’azione; senza indugio e con determinazione pensò al suo popolo, a quegli uomini che lo avevano eletto ai vertici della politica per cercare una via d’uscita da un comune destino di sofferenza e di miseria.

Già dal 1942 Fanfani - che allora era un giovane trentenne, professore di economia - cominciò ad interessarsi alle questioni sociali; in un suo scritto, “Colloqui su poveri”, analizzò attentamente gli aspetti socio-economici che caratterizzavano il degrado e la povertà, imputandone la causa primaria alle condizioni abitative. Fanfani analizzò il tutto anche in chiave di solidarietà e di carità cristiana, quali componenti essenziali di una società moderna. Dalla teoria, Fanfani, passò ai fatti; elaborò un Piano attuativo ispirato alle teorie keynesiane e ai principi di solidarietà sociale. Il progetto di legge, “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori”, già chiaro nella sintesi del titolo e nel suo contenuto, fu approvato dal Parlamento italiano con la Legge 28 febbraio 1949 n. 43; il progetto di legge fu avviato, per iniziativa di Fanfani, allora ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale, nel luglio 1948, a pochi anni dalla fine del secondo conflitto mondiale.  L’intento principale di Fanfani fu quello di promuovere lo sviluppo del settore edilizio, da sempre ritenuto l’ambito principale per ridurre la disoccupazione e per favorire la crescita economica.

Il “Piano Fanfani”, denominato anche “Piano INA-Casa”, prevedeva la realizzazione di alloggi economici mediante un sistema misto di finanziamento, da parte dello Stato, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti. In particolare, anche i lavoratori partecipavano virtuosamente al finanziamento mediante una trattenuta al salario mensile, l’equivalente di “Una sigaretta al giorno”, come recitava la propaganda dell’epoca. I contributi di finanziamento venivano versati all’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), che fu l’Ente prescelto per l’attuazione del Piano, in quanto presente in tutto il territorio nazionale e in possesso delle necessarie attrezzature e competenze. La struttura tecnica ed amministrativa era snella ed essenziale, concepita ad hoc per coordinare le attività di progettazione e di costruzione, ed era rappresentata da personale altamente qualificato.

L’emergenza abitativa era stata già affrontata precedentemente all’attuazione del Piano Fanfani, mediante i finanziamenti dell’European Recovery Program (ERP), comunemente definito “Piano Marshall”; si trattava di fondi, messi a disposizione dal governo americano per motivazioni di ordine geo-politico, che furono impiegati anche per la costruzione degli alloggi nelle zone del nostro Paese maggiormente colpite dagli eventi bellici e dalla povertà. Una parte dei fondi del Piano Marshall, per deliberata scelta del governo italiano, e senza un’esplicita autorizzazione del governo americano, furono successivamente impiegati anche per l’attuazione del Piano Fanfani. Infatti, il 5 febbraio 1949 venne pubblicato il cosiddetto “Rapporto Hoffman”, che riguardava l’impiego delle risorse del Piano Marshall; in tale rapporto, in particolare, vennero espresse dure critiche sull’impiego degli aiuti americani a sostegno del Piano Fanfani; malgrado queste critiche, il governo italiano andò avanti nell’impiego dei fondi americani, ritenendo corretta la sua politica di ricostruzione e di rilancio della nostra economia.

Osservando la nostra attuale compagine politica e dirigenziale, ancora oggi sembra un miracolo quello ideato e messo in atto da Fanfani: finanziamento delle opere, elaborazione di linee guida specifiche per le attività di pianificazione urbanistica e di progettazione, redazione ed approvazione dei progetti, indizione delle gare di appalto, direzione e liquidazione dei lavori, collaudi e assegnazione degli alloggi, tutto questo con il controllo passo-passo, con un apparato tecnico-amministrativo snello ed efficiente, senza troppi “accartocciamenti burocratici”.

Il Piano Fanfani, nella prima fase di attuazione, dal 1949 al 1956, prevedeva la realizzazione di 1.200.000 vani in sette anni. Successivamente la legge fu rinnovata, e ne seguì un secondo periodo di attuazione di ulteriori sette anni, dal 1956 al 1963. L’architetto e urbanista Giuseppe Samonà (1898-1983) definì il piano Fanfani come una «grandiosa macchina per l’abitazione». La “macchina” arrivò a produrre 2.800 vani a settimana, fornendo settimanalmente una casa a circa 560 famiglie. Dal 1949 fino al 1962 erano stati gestiti circa 20.000 cantieri in tutto il Paese, fornendo un posto di lavoro ogni anno a circa 40.000 lavoratori del comparto edilizio. Nei quattordici anni di attuazione del Piano furono migliorate le condizioni abitative di oltre 350.000 famiglie, molte delle quali si spostarono da alloggi di fortuna (cantine, baracche, sottoscala, ecc.) nelle moderne e confortevoli case.

Il Piano ha dato origine alla cosiddetta “città pubblica”, riconoscibile oggi in quelle che erano le periferie di allora, ex periferie che rappresentano realtà oramai consolidate ed inglobate nel tessuto urbano delle nostre città; sono, per taluni aspetti, ancora oggi i quartieri maggiormente vivibili, con abitazioni concepite per ottenere una bassa densità di popolazione, aree verdi e visuali libere, tutto ciò a salvaguardia della “salute fisica e morale” degli abitanti. A tale scopo furono impiegati i migliori pensatori ed architetti dell’epoca, tra i quali il celebre architetto Adalberto Libera, che diresse l’Ufficio di progettazione INA-Casa ed elaborò i primi piani del Programma. Furono impiegati architetti, urbanisti, ingegneri, geometri ed altre figure professionali, oltre ai migliori professionisti dell’epoca, come per esempio Mario Ridolfi, Carlo Aymonino, Franco Albini, Ignazio Gardella e molti altri.

Cosa siamo?

Correva l’anno 2020, il nostro Paese, già flagellato dalla crisi politica ed economica, veniva attaccato da un Virus biologico particolarmente aggressivo e pericoloso. Il Virus, partito dalla Cina, contagiò l’intero pianeta, senza sconti per nessuno. Subito scattò l’allarme globale: un pipistrello infetto ha generato il contagio umano con un’ospite indesiderato che può essere mortale! Il governo lanciò i suoi appelli: Rimanete chiusi in casa, respirate il meno possibile, tossite con la faccia sul gomito, non toccate nulla e nessuno, mettetevi le mascherine, disinfettatevi sempre, fate i tamponi! La formula “insetticida” fu ricercata nei vaccini: una, due, tre, fino a quattro dosi, inoculate nel corpo con sterili siringhe.

La storia è recente, e la ricordiamo tutti. Molti di noi, della specie umana pensante, non ha comunque riflettuto, o non ha avuto alcun modo, voglia o motivo per farlo, sulle attenzioni che la nostra politica ha riservato al suo popolo, sulla difesa dei nostri diritti, a fronte dei rispettivi doveri. Mi riferisco, in particolar modo, alla gestione scellerata delle nostre risorse e delle nostre tasse, per la difesa della nostra economia e del nostro benessere dalle minacce del terribile Virus. I nostri politici e i nostri dirigenti pubblici hanno compiuto le scelte giuste, ponderando accuratamente le necessita del momento e salvaguardando la nostra “salute fisica e morale”? Hanno analizzato la realtà prima di agire, hanno studiato il paziente prima dell’operazione? Non bastava una vaccinazione di massa, ci voleva ben altro! Esigo, come dovrebbero fare tutti, che il politico e l’amministratore pubblico facciano i miei, e i nostri, interessi, quelli per i quali tutti noi gli paghiamo mensilmente un lauto stipendio, gli rimborsiamo anche l’acqua minerale, gli permettiamo una vita agiata, una pensione e persino una buona automobile per spostarsi, affinché non abbiano alcun alibi nel rivendicare il loro “diritto” all’inerzia e al riposo, nei momenti in cui vengono chiamati a lavorare per noi. La specie umana, si sa, è debole per sua natura; queste medesime riflessioni le troviamo riportate anche nei trattati di antropologia, di storia e di archeologia. Tuttavia, quello che io rivendico con forza non è così scontato come può sembrare, come dicono sempre i nostri pigri politici, mentendo consapevolmente e liquidando il tutto con i soliti termini “scacciapensieri”: “demagogia” e “populismo” sono le parole più utilizzate in qualsiasi discorso politico, così come alcuni slogan, come la “salvaguardia del nostro territorio”, il “fare squadra” e, ultimamente, lo “stare sul pezzo”.

In risposta alla minaccia del Virus, con in rischio di infezione del nostro sangue e della nostra coscienza, il politico di turno, quello che avrebbe dovuto lavorare per noi, per risolvere i nostri problemi, è tornato ai pensieri della sua infanzia, di quando era bambino. Il nostro politico ha scelto la favola di Pinocchio, quella del famoso burattino e della fata turchina, quella del gatto e della volpe, che convincono Pinocchio a sotterrare le sue monete in attesa della crescita di un albero pieno di zecchini d’oro. Così ha fatto il nostro politico per salvaguardare le nostre risorse, e per “favorire” la ripresa economica; è bastato dire al popolo che le loro abitazioni sarebbero tornate come nuove, piene di accessori e di comfort, calde o fredde a seconda delle stagioni, tutto questo gratis! Per il nome della manovra, il nostro politico si è ispirato a Superman: Superbonus 110%!

Ci hanno raccontato per mesi, per anni, che avremmo esaudito tutti i nostri desideri per avere una casa al Top, moderna e sicura, senza spendere un centesimo di euro, e con un gruzzolo residuo del 10% che serviva come “ristoro”, per favorire gli accordi economici con le imprese, con le banche e con i tecnici professionisti.  Secondo questa rovinosa utopia, il sistema di “autofinanziamento” si poteva ripetere all’infinito, senza alcun limite. È stata scoperta una moneta più agevole ed efficace dell’Euro e del moderno Bitcoin, che non ha bisogno del controllo della Banca Centrale, tantomeno del controllo di una Commissione Nazionale all’uopo istituita; insomma una trovata geniale! L’uovo di Colombo che ristabilisce l’equilibrio e che risolve i tutti i nostri problemi. Questa commistione di fantasia, mutuata anche dai modelli teorici e accademici, è stata sperimentata nel nostro Paese “alla cieca”, senza alcuna ricognizione del suo tessuto fisico, economico e sociale, senza tener conto che ci troviamo in Italia, un crocevia di antichi popoli e di culture millenarie, un amalgama di fantasia ed anarchia, un territorio relativamente contenuto come estensione e con molteplici diversità. Mi riferisco soprattutto al tessuto urbanistico, al concetto di casa, alle motivazioni antropologiche e alla storia che hanno generato questo poliedrico equilibrio. Per esempio, non possiamo pensare, come è stato fatto, di introdurre un limite di legge sulle variazioni dimensionali tra “stato attuale” e “stato di progetto” - di una finestra, di un tramezzo o di qualsiasi altro elemento che compone un’abitazione - imponendo una tolleranza massima del 2%; questa scelta, anch’essa politica (se il politico fosse stato preparato, o se avesse studiato, avrebbe dovuto rimproverare il funzionario tecnico che ha proposto questo limite), dà la misura della distanza siderale che esiste tra il pensiero di coloro che sono preposti a gestire le nostre risorse economiche (tasse) e le nostre reali necessità. Tornando all’esempio, che rappresenta un’inezia rispetto alle corbellerie della “grassa normativa” del Superbonus, una finestra larga 100 cm, costruita cinquant’anni fa, e rappresentata graficamente nei disegni fatti a mano dell’epoca, non può essere più larga di 102 cm o più stretta di 98 cm, altrimenti viene considerata abusiva per legge.  Senza avere alcuna cognizione sull’evoluzione delle rappresentazioni grafiche nelle varie epoche, sulle relative consuetudini e sulla libertà lasciata al muratore per riquadrare la finestra, sia arriva all’assurdo, a scrivere e a pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica prescrizioni di questo tipo. Da considerare, inoltre, che tutte le prescrizioni del Superbonus sono altrettanto assurde, proporzionalmente alla loro rilevanza applicativa. In corsa, qualcuno del governo si è accorto che, così com’era concepito, il Superbonus sarebbe stato accessibile solamente a pochi, solamente a quei proprietari che si erano costruiti la casa recentemente o che avevano fatto ricorso a muratori svizzeri; è stata così introdotta la CILA Superbonus (CILAS), una “semplificazione” che costituisce, nella realtà di fatti, un ulteriore fardello burocratico, che contribuirà ad alimentare i possibili elementi di contenzioso legale. Gli strumenti urbanistici abilitativi, necessari per una ristrutturazione o per una semplice manutenzione, si sono così moltiplicati per consentire l’armonizzazione della CILAS con la vigente normativa urbanistica.

Facciamo un altro esempio: se qualcuno dei nostri politici e amministratori pubblici si fosse accorto che l’Italia è costituita anche da borghi di pianura e di collina, con case isolate più o meno datate, avremmo evitato di chiamare tali abitazioni, nelle varie discussioni parlamentari, “villette”; o ancora, se i nostri politici e i nostri amministratori pubblici avessero capito che un condominio, per il fatto di essere composto da più alloggi, è gestito da altrettante teste pensanti, e che basta un solo litigio tra moglie e marito per mandare a monte i comuni accordi, con spese da sostenere ed avvocati al seguito, se tutto questo fosse stato adeguatamente pensato e prefigurato, lo scenario successivo sarebbe stato diverso.

Dal 2020, anno del Virus e del Superbonus, siamo arrivati ad oggi. In un periodo di crisi economica e sanitaria, con i rispettivi problemi, si è scelto di superare il tutto volendo trasformare le favole in realtà. Strada facendo, i nostri politici e i nostri amministratori pubblici hanno rincarato la dose; anziché destare il popolo italiano dal torpore della favola, hanno continuato nel loro racconto fantastico: i sistemi di cessione del credito d’imposta e dello sconto in fattura, che consentivano ai proprietari delle abitazioni o agli aventi diritto di cedere i relativi crediti fiscali, a fronte delle spese sostenute per i lavori di efficientamento energetico e/o di riduzione del rischio sismico, sono stati bruscamente interrotti, motivando tale necessità per le numerose frodi che via via si stavano scoprendo. Per dovere di cronaca, occorre comunque ricordare che già le banche, essendo soggetti privati autonomi, avevano intrapreso la scelta di rifiutare l’acquisto dei crediti d’imposta, sia per limiti di capienza fiscale, sia per egoistici motivi di tutela dei propri interessi, tutto questo in deroga alla vigente normativa. Lo scenario attuale è rappresentato da una miriade di imprese e di tecnici professionisti appesi ad un “cappio”, per l’impossibilità di poter deliberatamente disporre dei crediti di imposta, maturati a seguito delle spese realmente sostenute, per poter pagare le tasse, comunque richieste dallo stato entro le canoniche scadenze fiscali, e per le normali esigenze di sopravvivenza. Tutto questo era facilmente prevedibile, bastava non credere alla favola del governo e ai dirigenti pubblici che hanno scritto il copione di questa commedia drammatica.  D’altra parte, pensare oggi di risolvere il problema, senza una seria posizione politica e senza alcuna soluzione di buon senso, non costituisce un assolvimento dei doveri richiesti a gran voce ai nostri governanti. Mi viene da pensare, per analogia e come famosa metafora, al tragico affondamento del transatlantico “Titanic”; mentre la nave affondava, dopo la collisione con un iceberg, gli orchestrali continuarono a suonare tutti insieme fino a pochi istanti prima del definitivo anabissamento.

In questi ultimi anni abbiamo visto di tutto e, ahimè, vissuto con angoscia lo spegnersi di una utopia annunciata: cantieri fantasma di interi condomini, con lavori mai eseguiti e con crediti fiscali elargiti a favore di pseudo imprese gestite dalla malavita, distorsioni della realtà, con bizzarre interpretazioni della legge, anch’essa schizofrenicamente concepita ed applicata; per contro, si continuava ad accusare le “villette”, le case dei nostri paesi, costruite con sacrificio dai nostri nonni, che venivano rappresentate come ville di lusso occupate da pochi ricchi. Nella realtà dei fatti, sono state proprio le persone ricche che, in questi tre anni di Superbonus, si sono potute permettere di eseguire i lavori gratis o quasi gratis, sono proprio loro che, con le banche poco propense ad accettare le cessioni di credito da “persone qualsiasi”, hanno avuto un occhio di riguardo per i conti correnti e gli investimenti che detenevano nelle medesime banche, sono le persone ricche che hanno potuto anticipare le spese trasformandole in crediti d’imposta a loro favore. E così, strada facendo, le case dei nostri paesi sono state escluse dai futuri benefici economici, con molti cantieri ancora aperti di cui non si conoscono le sorti future, mentre le vere ville questi benefici se li godono tutti, per aver eseguito i lavori nei tempi previsti e per aver saputo approfittare dei sogni e delle illusioni di un popolo di inerti creduloni. Per i condomini si è scelta la strada della lenta eutanasia: la possibilità di completare i lavori e di accedere ai relativi benefici economici è oggi legata al reddito di riferimento dei singoli nuclei familiari; tale scelta comporta la necessità di una rimodulazione tecnico-gestionale, in corso di esecuzione dei lavori, difficilmente gestibile, al fine di stabilire, nell’ambito di ciascun condominio, chi può accedere e chi non può accedere più ai benefici economici, e come dovranno essere riformulate e finanziate le spese non coperte da tali benefici.

Continuando di questo passo, già dal corrente anno, e per gli anni a venire, assisteremo ad un’ecatombe del comparto dell’edilizia, generata dall’inerzia temporale per il riallineamento dei costi dei materiali e delle attrezzature e dalla necessità di alimentare anche il settore dei lavori pubblici, quasi del tutto abbandonato e destrutturato per inseguire il miraggio del Superbonus. Le imprese e i tecnici professionisti, se vogliono e/o se possono andare avanti, si dovranno necessariamente riconfigurare, con risorse proprie e con il “ronzio” continuo delle liti di contenzioso legale a cui saranno necessariamente trascinati.

In questo momento di austerità economica, con una guerra alle porte, con l’aumento dei prezzi dovuto alla mancanza di materie prime e anche al cartello di mercato stabilito per legge con l’adozione dei prezzari senza alcuna possibilità di ribasso e senza negoziazione contrattuale, in questo momento, particolarmente vulnerabile dal punto di vista economico e sociale, abbiamo assistito alla nascita estemporanea di imprese del comparto edile, con persone che svolgevano tutt’altra attività - non certamente specializzate, ancorché autorizzate ad operare in base alla vigente legislazione -  e che hanno generato molteplici problemi di natura tecnica, problemi che hanno indotto, a loro volta, i tecnici professionisti a dover comunque digerire, nei limiti del possibile e nel rispetto della legge, lavori eseguiti con “sufficienza” e realizzati con materiali e componenti di scarsa qualità in relazione all’esorbitante prezzo di mercato.

Per quanto riguarda i crediti d’imposta – che per deliberata scelta, e non per legge, non sono stati accettati dalle banche – la situazione attuale è molto critica: la maggior parte dei crediti d’imposta risulta essere ibernata nei cassetti fiscali delle imprese e dei tecnici professionisti; in particolare, tale condizione risulta alquanto delicata per i tecnici professionisti, i quali, essendo assoggettati ad un diverso criterio economico rispetto alle imprese, se non riescono a cedere i loro crediti - o meglio la loro quota parte del credito (un quarto all’anno) che, se non viene ceduta o compensata con i propri redditi decade alla fine di ciascun anno - devono pagare in anticipo tutte le tasse relative a tali entrate fittizie. Per esempio: se un tecnico professionista decide, per fiducia o perché il committente non vuole anticipare alcuna spesa, di praticare lo sconto in fattura per la totalità del suo onorario, deve emettere la fattura con uno sconto pari al 100%. Tale fattura, per il fisco italiano, viene paradossalmente considerata (circolare dell’Agenzia delle Entrate) come totalmente incassata alla data della sua emissione, anche se al professionista non viene erogato neanche un centesimo di euro. A fronte di tale “incasso”, senza un effettivo accredito di valuta, il professionista deve pagare integralmente le tasse (si consideri un’incidenza media del 30%), versare l’IVA del relativo trimestre (incidenza del 22%) e i contributi previdenziali (incidenza di circa 20%) sull’intero importo della fattura emessa e non incassata. L’importo della fattura non incassata costituisce inoltre l’imponibile per il calcolo degli ulteriori acconti (anticipazioni) sulle tasse e sull’IVA, per il calcolo delle addizionali locali e di altre voci di tassazione. Per contro, il professionista può recuperare parzialmente le spese versate in anticipo al fisco disponendo solamente della relativa quota annuale, pari ad un quarto dell’importo fatturato e non integralmente “rimborsato”. Con la prima annualità si riesce a stento a compensare solamente l’IVA da versare subito e, mediamente, si ammortizza l’intera anticipazione delle tasse in circa tre anni, sempre se il professionista non si scoraggi o non muoia, prima di recuperare il bottino dallo stato debitore. Inoltre, i crediti di imposta decadono (reset a zero) al 31 dicembre di ciascun anno, pertanto, se il tecnico professionista non riesce a compensarli o a cederli, entro la fine dell’anno fiscale, perde la disponibilità della relativa quota e, in definitiva, regala allo stato italiano i proventi del suo lavoro.

Da dire, inoltre, che in questi anni, di gestione dei lavori del Superbonus, i tecnici professionisti hanno svolto gratuitamente anche le attività proprie dei commercialisti, per stare dietro alle assurde e vessatorie richieste delle banche, oltre alle funzioni proprie dei pisicologi, per cercare di far comprendere alla gente il senso logico del loro operare, per cercare di fargli capire che molte norme sono spesso inapplicabili, che il “tutto gratis” non esiste, e che nessun uomo riesce a campare di sola aria. Ci sarebbe molto altro da dire; per brevità mi fermo qui.

Dove andiamo?

Il nostro Paese è stato interessato da profonde trasformazioni; dal Piano Fanfani abbiamo vissuto un momento di crescita, fino ad arrivare, negli anni ‘50-‘60 del secolo scorso, al cosiddetto “Miracolo Economico Italiano”, al rinnovamento e alla costruzione ex novo delle infrastrutture viarie e ferroviarie, alla modernizzazione dell’industria e dell’agricoltura.

L’Italia di oggi deve essere necessariamente competitiva, deve affrontare ancora molte sfide. Mai come in questo momento sentiamo la necessità di ristabilire un equilibrio perduto o dimenticato. La nostra storia è la nostra guida per il presente e per il futuro, una guida necessaria per ristabilire pacificamente un corretto ed equilibrato rapporto tra cittadini e istituzioni. Per fare questo occorre che anche il singolo cittadino faccia la sua parte e non sia solamente lo sperimentatore passivo delle altrui volontà. Molte imprese e, ahimè, anche molti tecnici professionisti, si sono lanciati dogmaticamente, “alla cieca”, nel finto e pericoloso “business” del Superbonus, senza riflettere più di tanto sul fatto che loro suo “guadagno” derivava principalmente da un rimborso parziale delle proprie tasse. Anche questo atteggiamento, di passività dell’uomo nei confronti del “potere” che lo gestisce, ha origini antiche; il fenomeno fu affrontato, per esempio, da Étienne de La Boétie nel suo famoso trattato “Discours de la servitude volontaire o Contr'un” (Discorso sulla servitù volontaria), scritto alla metà del XVI secolo. Il giovane scrittore e uomo politico francese, allora quasi ventenne, si pose delle domande ed elaborò un importante concetto:

«Com'è possibile che tanti uomini sopportino un tiranno che non ha forza se non quella che essi gli danno. Da dove prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia se voi non glieli forniste?

Siate risoluti a non servire più, ed eccovi liberi».

[…]

«Vedendo questa gente che striscia ai piedi del tiranno talvolta ho pietà della loro stupidità.
Non basta che obbediscano, devono compiacerlo, devono ammazzarsi per i suoi affari».

Il concetto sopra espresso è mutuato dall’analisi del comportamento umano: l’uomo, per sua natura, tende a rimanere legato alle sue abitudini, a servire il potere alimentando le volontà dei suoi “padroni”, senza cercare di spezzare le sue catene per paura di esplorare spazi di libertà a lui ignoti.

Prendo spunto dalle idee di Étienne de La Boétie, non certamente per un invito alla sommossa e alla rivoluzione; queste semplici e naturali considerazioni ci fanno oggi riflettere sull’urgente necessità di operare una selezione della nostra classe politica e dirigenziale, per far sì che essa non risulti ostile alle nostre  legittime e naturali volontà di crescita e di sviluppo, per far sì che essa non si distacchi più di tanto dalla realtà, che non sia percepita come uno “stupido tiranno” da compiacere o da abbattere con forza. Ciascuno di noi dovrebbe tirar fuori il suo senso critico, non necessariamente in vena polemica, per fornire un contributo politico-sociale mediante i suoi residui spazi di pensiero e di libertà.

La nostra storia politica ed economica, Fanfani con il Piano INA-Casa e il Miracolo Economico Italiano, è la nostra linea guida; occorre rimboccarsi le maniche, ricercare e valorizzare nuove risorse umane, lavorare duramente - tutti, nessuno escluso - per non sentirsi raccontare solamente favole, per un serio rilancio economico e sociale del nostro meraviglioso “Giardino”.

Nella favola di Pinocchio, a conclusione del racconto, il burattino di legno viene trasformato in un bambino in carne ed ossa, viene premiato per la sua tenacia e per la sua crescita morale. L’Italia non è il Paese dei Balocchi! Non siamo dei burattini di legno! La “crisi d’identità” sarà superata, e un nuovo Miracolo dovrà avvenire.

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