Permesso di costruire e annullamento in autotutela: il no del Consiglio di Stato
Anche se rilasciato illegittimamente, il titolo può essere annullato d’ufficio solo ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 ratione temporis vigente
L’esercizio del potere di autotutela della P.A., con l’annullamento d’ufficio di un atto come un permesso di costruire, è soggetto a dei limiti ben precisi, olterpassati i quali il comportamento dell’amministrazione è illegittimo.
Permesso di costruire annullato: l'esercizio illegittimo dell'autotutela
Sull'applicazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, come novellato dalla legge n. 124/2015 è tornato a parlare il Consiglio di Stato con la sentenza del 27 febbraio 2024, n, 1926, con la quale ha accolto il ricorso contro l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire rilasciato per la realizzazione di un sottotetto e del conseguente ordine di demolizione.
Il ricorrente ha specificato che la norma ha completamente eliminato l’indeterminato ed elastico limite temporale del “termine ragionevole”, fissando un termine espresso e rigido, sicché l’annullamento d’ufficio dovrebbe sempre intervenire entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti”.
I presupposti per l'annullamento in autotutela
La norma di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 prevede che, al fine di procedere all’annullamento d’ufficio di un atto amministrativo, l’Amministrazione necessita di un triplice ordine di presupposti:
- che l’atto sia illegittimo;
- che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino l’annullamento;
- che il tutto avvenga nei termini di legge.
Nel caso in esame, non si può condividere la tesi del TAR, secondo cui vi sarebbe stata “una parziale se non erronea rappresentazione dei presupposti necessari al conseguimento del riconosciuto vantaggio”, circostanza che condurrebbe al superamento del limite temporale per l’esercizio dell’autotutela; oltretutto il Comune non avrebbe posto in essere alcuna comparazione dell’interesse pubblico con quello del privato.
Atti amministrativi: le previsioni normative sull'annullamento
Ricordiamo che l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, nel testo in vigore dal 28 agosto 2015 al 31 maggio 2021 e, quindi, ratione temporis vigente, ha previsto che:
“1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.”.
Di talché, i presupposti affinché possa disporsi l’annullamento d’ufficio di un provvedimento illegittimo sono i seguenti:
- a) sussistenza di ragioni di interesse pubblico;
- b) termine non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dell’atto;
- c) bilanciamento con l’interesse dei destinatari e dei controinteressati.
Nel caso in esame, Palazzo Spada ha dato ragione al ricorrente. L’Amministrazione ha evidenziato nel corpo motivazionale del provvedimento di autotutela che, a seguito di una più attenta verifica degli atti, è stata realizzata un’altezza massima netta del sottotetto di fatto superiore al citato valore stabilito dalle NTA.
L’atto di annullamento è stato adottato ben oltre il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore, in data 28 agosto 2015, dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 come novellato dalla c.d. legge Madia (legge n. 124 del 2015).
Il regime temporale di diciotto mesi introdotto dalla legge n. 124 del 2015, così come non può decorrere dall’adozione dell’atto di prime cure, se antecedente al 28 agosto 2015, decorre senz’altro, per tali atti, dall’indicato giorno di entrata in vigore della novella legislativa; per cui, nella fattispecie, il provvedimento di ritiro è stato adottato oltre il termine perentorio di legge, essendo decorsi oltre trentuno mesi dal dies a quo.
Annullamento d'ufficio: casi in cui si può superrare il limite dei 18 mesi
Il termine di diciotto mesi, peraltro, può essere legittimamente superato nelle ipotesi di cui al comma 2-bis dell’art. 21-nonies, vale a dire di provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato.
La giurisprudenza ha chiarito in proposito come non possa sostenersi che le “false attestazioni”, ai fini dell’operatività del comma 2-bis dell’art. 21 nonies e, quindi, per poter consentire di superare il termine dei 18 mesi nell’esercizio dell’autotutela, debbano essere state accertate con sentenza penale passata in giudicato.
In particolare la giurisprudenza ha evidenziato che il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi per l'esercizio del potere di autotutela di cui all'art. 21-nonies, legge n. 241/1990, deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà.
Tale contrasto, può essere determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, dovrà scontare l'accertamento definitivo in sede penale, ovvero da una falsa rappresentazione dei fatti, che può essere rilevante al fine di superamento del termine di diciotto mesi anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa sia accertata inequivocabilmente dall'Amministrazione con i propri mezzi.
L'articolo 21-nonies, in definitiva, contempla due categorie di provvedimenti che consentono all'Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d'ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false.
Il differimento del termine iniziale per l’esercizio dell’autotutela deve essere determinato dall’impossibilità per l’Amministrazione, a causa del comportamento dell’istante, di svolgere un compiuto accertamento sulla spettanza del bene della vita nell’ambito della fase istruttoria del procedimento di primo grado.
No all'annullamento del provvedimento se già la PA aveva in mano gli strumenti per non rilasciarlo
Nel caso in esame, l’Amministrazione comunale non solo non ha rappresentato l’esistenza di dichiarazioni false accertate con sentenza penale passata in giudicato, ma nemmeno ha dimostrato l’esistenza di una falsa rappresentazione dei fatti, tanto che le ragioni poste a base dell’annullamento sono state rilevate a seguito di una più attenta verifica degli atti, vale a dire che il Comune avrebbe potuto e dovuto accertare “lo stato progettuale non conforme allo strumento urbanistico”, per il quale il permesso di costruire non poteva essere attribuito, nel corso della fase istruttoria del procedimento avviato su istanza della parte, senza dover attendere le segnalazioni da parte di cittadini per avviare le attività di verifica a considerevole distanza di tempo dal rilascio del permesso di costruire.
L’Amministrazione, cioè, aveva la possibilità di conoscere tutti i fatti e le circostanze necessarie all’assunzione di una corretta decisione sull’istanza di parte volta a conseguimento del titolo abilitativo edilizio.
La stessa considerazione che negli elaborati progettuali non era stata riportata l’altezza dell’intero edificio, prima e dopo l’intervento, non costituiva una preclusione alla doverosa attività istruttoria che l’Amministrazione avrebbe dovuto compiere per rilasciare o negare a suo tempo il permesso di costruire.
Diversamente, una volta rilasciato, sia pure illegittimamente, il permesso di costruire, il potere di annullamento d’ufficio deve essere esercitato nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ratione temporis vigente.
D’altra parte, i diversi presupposti in presenza dei quali possono essere esercitati il potere di negare il permesso di costruire (così come di ordinare la demolizione di un immobile abusivo), provvedimento di primo grado, ed il potere di annullamento d’ufficio di un permesso di costruire già rilasciato, provvedimento di secondo grado, sono diretta conseguenza della natura vincolata del primo potere e della natura discrezionale del secondo potere.
Il presupposto sub c) è parimenti carente, in quanto, ribadito che l’interesse pubblico alla rimozione di un’opera edilizia abusiva potrebbe ritenersi in re ipsa, il Comune non ha svolto alcuna considerazione in ordine al bilanciamento degli interessi del destinatario dell’atto, pur prevista dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ratione temporis vigente.
Documenti Allegati
Sentenza