Reati contro la PA: legittima l’esclusione dell’operatore
Nel giudizio di affidabilità rilevano anche fatti commessi dall'amministratore nell'ambito di un'altra società, quando si tratta di reati gravi contro la PA
È legittima l’esclusione dell’operatore giudicato inaffidabile dalla SA per fatti penalmente rilevanti, anche se l’amministratore li ha commessi nell’ambito di attività di un'altra azienda.
Cause da esclusione: gravi illeciti professionali e inaffidabilità dell'operatore
Si conferma così, con la sentenza del TAR Campania del 19 marzo 2024, n. 672, la decisione di un’Amministrazione che aveva revocato in autotutela l’aggiudicazione in favore di un operatore per la ritenuta sussistenza di un grave illecito professionale che aveva portato a formulare un giudizio di inaffidabilità.
La società aveva quindi presentato ricorso, specificando che l'illecito professionale non era ascrivibile, atteso che le vicende contestate ai consiglieri si riferivano a condotte poste in essere nella qualità di legale rappresentante o amministratore unico di altre persone giuridiche; inoltre le vicende di rilievo penale erano in fase embrionale, non essendo sfociate in alcuna condanna né nell’adozione di misure cautelari o provvedimenti interdittivi, anzi, in riferimento a un soggetto, esitate nella assoluzione piena.
Nel valutare la questione, il TAR ha evidenziato come le vicende sulle quali la SA ha formultao il giudizio di inaffidabilità riguardassero:
- il reato di alterazione del paesaggio a mezzo di lavori abusivi (ex art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 e artt. 142, lett. c) e 182 d.lgs. n. 42/2004), commesso dal legale rappresentante della ditta;
- i reati di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali commessi dall’amministratore unico.
Illeciti professionali commessi in altre aziende: la teoria del contagio
Il fatto che queste condotte penalmente rilevanti siano state poste in essere nell'esercizio di funzioni imprenditoriali afferenti ad altre società non conduce, spiega il giudice, ad eliderne la rilevanza ai fini del giudizio di affidabilità dell’operatore economico.
Laddove infatti la persona fisica che nella compagine sociale riveste un ruolo influente per le scelte della società sia giudicata inaffidabile per aver commesso un illecito nella pregressa attività professionale, inaffidabile può essere considerata - in virtù appunto del suo potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione - anche la società che dirige o è in grado di orientare con le sue indicazioni; ciò in quanto “non è corretta la pretesa … di distinguere concettualmente l'impresa (in quanto tale, un'entità puramente giuridica) dai soggetti - di cui all'art. 80 comma 3 - per il tramite dei quali, in ragione delle loro funzioni di amministrazione e controllo, la medesima impresa concretamente opera sul mercato”.
La giurisprudenza ha infatti a più riprese ribadito che “allorché una persona fisica, titolare di carica rilevante, sia coinvolta in procedimenti penali ma per condotte tenute nella qualità di organo di un operatore economico diverso da quello che partecipa alla gara o addirittura per conto proprio, la giurisprudenza risulta propensa ad adottare, a tale specifico riguardo, la teoria c.d. del "contagio". In pratica la presenza stessa, in determinate cariche, di una persona fisica non dotata in sé della necessaria affidabilità/integrità, trasmetterebbe tale caratteristica all'operatore economico "per contagio", ossia de facto e dunque prescindendo dalla tematica dell'imputazione degli atti".
Si dà in questo modo seguito a quanto affermato dall'Adunanza Plenaria 6 novembre 2013, n. 24, secondo cui la finalità della normativa sui requisiti di idoneità morale è quella di "assicurare che non partecipino alle gare, né stipulino contratti con le amministrazioni pubbliche, società ... per le quali non siano attestati i previsti requisiti di idoneità morale in capo ai soci aventi un potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione della società”.
Non rende irrilevanti le vicende il fatto che gli accertamenti in sede penale siano in fase embrionale (non essendo sfociati in alcuna condanna né nell’adozione di misure cautelari o provvedimenti interdittivi), e anzi si siano conclusi con l’assoluzione piena dagli addebiti contestati.
Come già rilevato in fattispecie analoghe, infatti, “secondo l'art. 80, comma 5, lett. c, del d.lgs n. 50/2016, la Stazione appaltante può procedere all'esclusione del concorrente qualora riesca a dimostrare, mediante "mezzi adeguati", che allo stesso sia imputabile un grave illecito professionale; la disposizione riserva all'Amministrazione un ampio potere discrezionale anche nell'individuazione degli strumenti probatori della specifica causa di esclusione. La Stazione appaltante può di conseguenza fondare le proprie valutazioni su qualunque atto da cui emergano, con ragionevole attendibilità, elementi apprezzabili ai fini della verifica della sussistenza di un grave illecito professionale. Tali possono essere anche gli atti da cui emergano le risultanze di un'indagine penale e da cui siano ricavabili specifici, circostanziati e gravi indizi, senza necessità di attendere un provvedimento di rinvio a giudizio o un provvedimento, anche non definitivo, di condanna. Gli atti di indagine infatti rilevano in quanto veicolo di informazioni rilevanti e utili per la Stazione appaltante ai fini dell'autonoma verifica della sussistenza della causa di esclusione”.
Sul punto, evidenziano i giudici, l'illecito professionale costituisce fattispecie del tutto distinta, la quale non presuppone la configurabilità di un reato, né l'accertamento definitivo di una condotta (essendo sufficiente la dimostrazione "con mezzi adeguati" in sede evidenziale), né un grado di certezza nella valutazione (essendo necessario, ma anche sufficiente che la stazione appaltante "dubiti" dell'affidabilità dell'impresa): “l'illecito professionale, quindi, configura strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell'operatore, ed opera, quindi, a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale (che può anche non sussistere)”.
Gravi illeciti professionali: l'esclusione legittima anche in caso di assoluzione
Non rileva nemmeno l’assoluzione, non solo in applicazione del noto principio tempus regit actum, in omaggio al quale la legittimità del provvedimento amministrativo va valutata con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, ma anche in quanto la stessa lascia inalterata la posizione dell’altro consigliere, attinto da procedimenti penali per vicende incluse dalla stazione appaltante fra “i profili che maggiormente incrinano il giudizio di affidabilità morale”.
Per altro l’amministrazione, infatti, individuati possibili motivi di esclusione, ha avviato il procedimento teso a garantire il contraddittorio con l’operatore economico, specificando successivamente nel dettaglio i contenuti dei fatti contestati, valutando rilevanti le vicende penali ai fini dello scrutinio di affidabilità in ragione del fatto che trattasi di “reati gravi contro la pubblica amministrazione”, ed in particolare di reati tributari, in materia previdenziale e assistenziale ed urbanistici, annoverati fra quelli inclusi in via esemplificativa dalle linee guida ANAC nelle n. 6, “autonomamente valutabili dall’amministrazione, stante l’assunto che, secondo giurisprudenza costante….spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di ampia discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, anche se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna in sede penale o civile”.
A giudizio del Collegio l'amministrazione ha pertanto puntualmente esposto le ragioni in base alle quali si è determinata, anche alla luce dei chiarimenti forniti, a esitare negativamente il giudizio di affidabilità professionale.
Rilevanza dei fatti: il dies a quo per il termine triennale
Infine, spiega il TAR, respingendo definitivamente il ricorso, laddove la fattispecie escludente sia rappresentata da un fatto penalmente rilevante, il dies a quo del termine triennale di rilevanza dei fatti va ancorato alla sua contestazione in giudizio in sede penale.
Come chiarito infatti dalla giurisprudenza amministrativa, va considerata la data dell’accertamento del fatto “idoneo a conferire a quest’ultimo una qualificazione giuridica rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d’appalto” e dunque, laddove venga in rilievo una condotta penalmente rilevante, all’atto di esercizio dell’azione penale, che reca in sé la qualificazione della condotta quale “criminosa” e in quanto tale “rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d'appalto”.
Questa impostazione peraltro è stata recepita anche dal nuovo Codice dei Contrattid.lgs. 31 marzo 2023 n. 36 che all’art. 96, comma 10, precisa che le cause di esclusione di cui all’art. 95, comma 1, lett. e rilevano per tre anni decorrenti “dalla data di emissione di uno degli atti di cui all’articolo 407-bis, comma 1, del codice di procedura penale oppure di eventuali provvedimenti cautelari personali o reali del giudice penale, se antecedenti all’esercizio dell’azione penale ove la situazione escludente consista in un illecito penale rientrante tra quelli valutabili ai sensi del comma 1 dell’articolo 94 oppure ai sensi del comma 3, lettera h), dell’articolo 98”.
Documenti Allegati
Sentenza