Superbonus: analisi costi e benefici tra passato, presente e futuro
Uno studio dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore evidenzia costi ed effetti del Superbonus 110%
Analizzare gli effetti del superbonus 110% non è assolutamente semplice. Il rischio è cadere nel tranello delle banalità frutto di preconcetti e considerazioni di parte. Molte delle analisi su questa misura sono state realizzate, infatti, partendo dal punto di arrivo e, quindi, per dimostrare “scientificamente” se questa misura possa aprioristicamente essere considerata positiva oppure no.
Le analisi sul Superbonus
Abbiamo già letto le relazioni di Nomisma, Censis, Ance, Centro Studi CNI, Federcepicostruzioni, Fondazione Nazionale dei Commercialisti e Cresme, tutte sostanzialmente allineate verso un effetto benefico della misura messa a punto con l’art. 119 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio).
Vale la pena leggere anche l’analisi dal titolo “Post mortem per il Superbonus: extra deficit, extra debito e rallentamento in atto nel settore delle costruzioni”, pubblicata sul sito dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e realizzata da alcuni componenti dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani:
- Rossana Arcano, Junior Economist;
- Alessio Capacci, Junior Economist;
- Giampaolo Galli, vice direttore.
Già il titolo dell’analisi, pubblicata il 21 marzo 2024 (dunque, recentissima), parla chiaro ed evidenzia le distorsioni di una misura definita “sproporzionata” rispetto ai benefici economici oltre che per la transizione energetica.
Lo studio dell'Università Cattolica del Sacro Cuore prova a ragionare su alcune delle considerazioni contenute nella bozza di relazione conclusiva dell’indagine della Commissione Bilancio della Camera sugli incentivi edilizi, che si fu avviata il 28 febbraio dello scorso anno:
- il superbonus 110% ha eliminato la fase di contrattazione tra domanda e offerta;
- secondo le stime della Commissione, per ogni 100 euro di spesa ne rientrano circa 20 sotto forma di maggiori imposte e contributi sociali, quindi, considerata il costo di 114,4 miliardi registrato da Enea a febbraio 2024, il costo netto per lo Stato si aggira sui 91 miliardi;
- alcuni investimento in ristrutturazione si sarebbero fatti comunque;
- una proiezione basata sui dati forniti da Enea indica che la spesa necessaria per coprire l’intero patrimonio immobiliare italiano si aggirerebbe attorno ai 2 mila miliardi di euro, circa il 100 per cento del Pil;
- la misura ha avuto un impatto su poco più del 10 per cento del totale degli edifici condominiali italiani e del 4 per cento del totale degli edifici residenziali censiti in Italia;
- la misura è incoerente con un’agenda sociale che voglia redistribuire le risorse (gli incentivi per le ristrutturazioni favoriscono i più ricchi, con una concentrazione degli interventi finanziati con il Superbonus nelle categorie catastali più elevate).
L’analisi dell’Università del Sacro Cuore prova ad aggiornare questi dati prendendo in considerazione due fatti definiti “decisivi”:
- lo straordinario extra deficit del 2023 rispetto alla previsione delle Nadef;
- gli effetti recessivi sull’economia dell’abolizione del Superbonus.
Extra deficit 2023
L’analisi mette a confronto la previsione del Governo sul deficit 2023 formulata a fine settembre con il consuntivo ISTAT reso noto a inizio marzo 2024. Secondo ISTAT le previsioni del Governo sarebbero errate di 39 miliardi di euro (1,8% del Pil). Un errore che gli estensori dell’analisi definiscono “di proporzioni gigantesche in una previsione fatta tre mesi prima della chiusura dell’esercizio, in assenza di fattori esterni eccezionali (Covid, crisi internazionale ecc.), che probabilmente non ha precedenti e che getta un’ombra sinistra su tutte le proiezioni formulate dal governo per i prossimi anni. Occorre quindi che il Governo spieghi analiticamente e in modo convincente cosa è successo, in modo da riuscire a convincere che si sia trattato di un fattore assolutamente eccezionale e destinato non a ripetersi”.
L’analisi evidenzia e conferma le indicazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ovvero che la causa di questa differenza sarebbe da attribuire proprio al superbonus 110%, ammettendo che “non sono pubblici i dati di base dell’Agenzia delle Entrate che consentirebbero di capire in cifre l’esatta entità del problema e la tempistica con la quale si è manifestato, nonché gli effetti che questi crediti avranno sul debito pubblico dei prossimi anni. Si ricorda tra l’altro che il Superbonus 110% comprende anche il Sismabonus, che ha natura e finalità molto diverse dall’Ecobonus. Sarebbe quindi auspicabile che il Governo rendesse pubblici questi dati, in modo da favorire un’analisi oggettiva del problema”.
Il disallineamento fra i dati di finanza pubblica
Altro punto dolente riguarda il forte disallineamento fra i dati di finanza pubblica. A fronte del boom del superbonus registrato negli ultimi mesi dell’anno, non vi sarebbe il “contraltare” sull’economia reale dell’ISTAT rappresentato dagli investimenti in abitazioni e occupazione in costruzione. Secondo l’analisi dell’Università del Sacro Cuore “A meno, dunque, di possibili revisioni dei dati Istat, è facile ipotizzare che negli ultimi mesi dell’anno molti soggetti si siano affrettati a fare i pagamenti per lavori non finiti, o addirittura fittizi, per usufruire del sussidio al 110 per cento. Infatti, in base alla normativa allora vigente, le detrazioni al 110 per cento spettanti per gli interventi di Superbonus per i quali era stata esercitata l’opzione di sconto o cessione erano valide se i lavori erano portati a termine entro il 31 dicembre 2023. Successivamente, valeva un credito d’imposta al 70 per cento. Solo con un decreto del 29 dicembre si stabilì che in caso di lavori non terminanti entro fine anno le somme già erogate dallo Stato in base all’avanzamento dei lavori non sarebbero state oggetto di recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate, anche nel caso in cui fosse stato raggiunto l’obiettivo di migliorare di due classi l’efficienza energetica dello stabile”.
Probabilmente, però, gli autori dell’analisi non sono a conoscenza del funzionamento dei “pagamenti” a SAL nel superbonus. Chi ha avuto a che fare con questa misura sa bene che, soprattutto nei contratti con sconto in fattura, il pagamento delle prestazioni non c’è e la fattura viene staccata a SAL minimi del 30%, fatto questo che accelera la spesa proprio negli ultimi mesi dell’anno (affermare che siano “pagamenti per lavori non finiti, o addirittura fittizi” lo trovo pretestuoso e privo di alcun fondamento reale).
Gli effetti del Decreto Cessioni
A questo punto lo studio si “perde” in alcune considerazioni circa gli effetti del Decreto Legge n. 11/2023 (Decreto Cessioni), emanato per mettere la parola “fine” al meccanismo delle opzioni alternative (sconto in fattura e cessione del credito) e, di conseguenza, restringere la platea di possibili utilizzatori del superbonus (limitato ormai solo ai contribuenti con contemporanea capacità economica e capienza fiscale”.
Secondo gli autori “specialmente in sede di conversione in legge del decreto, furono introdotte deroghe molto significative. Come è spiegato in una nota dell’Istat del 26 settembre 2023, le deroghe rispetto al decreto di febbraio erano tutt’altro che marginali e anzi rappresentavano “la parte prevalente delle spese sostenute nel 2023, poiché riferibili soprattutto alla deroga prevista per le spese già avviate e/o comunque già approvate prima del blocco”. Le deroghe riguardavano infatti, oltre agli interventi in zone danneggiate da eventi naturali, gli interventi già avviati o da avviare per cui era stata presentata la “Comunicazione inizio lavori asseverata” (CILA) prima del 16 febbraio 2023 e per i lavori condominiali approvati dall’assemblea condominiale prima del 16 febbraio 2023, per i quali era ancora possibile trasferire il credito anche in assenza della CILA. Proprio il fatto che le deroghe risultavano essere prevalenti rispetto al totale degli interventi ha indotto l’Istat, d’accordo con Eurostat, a riclassificare il Superbonus come credito “pagabile” e dunque come spesa di competenza del 2023. E si ricorderà che proprio per questo motivo l’indebitamento netto della PA lievitò dal 4,5 per cento previsto nel Def di aprile al 5,3 per cento della Nadef”.
Gli autori dello studio, però, non si confrontano “efficacemente” con il blocco della cessione che, in realtà, non comincia affatto con il D.L. n. 11/2023 ma con il Decreto Legge n. 4/2022 (Decreto Sostegni-ter) che, partire da 27 gennaio 2022, ha avviato una progressiva riduzione dei soggetti interessati all’acquisto dei bonus edilizi (CDP, Poste, Banche,…). Non si prende neanche in considerazione la classificazione e riclassificazione del superbonus e del bonus facciate (non si sa perché non degli altri bonus minori), sulla quale sono in corso valutazioni che dovranno necessariamente portare novità entro la metà del 2024.
Secondo gli autori “Nella stessa nota l’Istat ricordava che nei due casi prevalenti (CILA o assemblea condominiale entro il 16 febbraio 2023) i lavori dovevano concludersi entro la fine di dicembre 2023”. Ricordiamo gli autori che nei bonus edilizi, a meno di utilizzo delle opzioni alternative, non conta proprio la data di fine lavori ma solo quella del pagamento della fattura (principio di cassa).
“Per questo insieme di motivi - continua lo studio - i crediti maturati nel corso del 2023 sono stati molto rilevanti e la data del 31 dicembre 2023 ha rappresentato un punto di svolta dell’intero processo. Peraltro, il Governo era obbligato a fare tutto il possibile per mettere fine a un incentivo che stava recando danni consistenti alle finanze pubbliche e all’economia italiana. Come si è già detto, usando i dati Enea e tenendo conto che questi riflettono i dati finanziari con circa due mesi di ritardo, si deve ragionare su uno stock di crediti maturati di 114,4 miliardi a fine 2023. Al netto del 20 per cento (la nostra stima dell’effetto indotto sul gettito), si trova che l’effetto del bonus sul debito pubblico a oggi è di circa 91 miliardi. Se fossero resi noti i dati dell’Agenzia delle Entrate, si potrebbe fare un conto di come questo debito complessivo ha già pesato sulle casse dello Stato e quanto peserà sugli anni prossimi, man mano che i detentori dei crediti li scaleranno dalle imposte. Si può comunque tranquillamente affermare che l’effetto è di almeno un punto di Pil all’anno per i prossimi tre anni”.
Gli effetti del blocco sul settore delle costruzioni e sul Pil
Secondo gli autori dell’articolo, che evidentemente non si sono sufficientemente confrontati con i dati Enea dei primi due mesi del 2024, “Da gennaio di quest’anno il Superbonus è sostanzialmente abolito e la sua abolizione non è stata certo un capriccio del Governo, ma è dovuta al fatto che, lungi dall’autofinanziarsi, il Superbonus sta recando notevoli squilibri ai conti pubblici. Ciò significa che per valutarne gli effetti sull’economia reale non ci si può fermare agli “anni buoni” in cui il bonus è stato introdotto e rafforzato. Occorre valutare l’intero ciclo di vita della misura”.
Su quest’ultima affermazione non si può che essere d’accordo. La valutazione di questa misura fiscale, come qualsiasi altra, va realizzata analizzando il periodo iniziale di stimolazione in cui gli incentivi sono vigenti e quello finale in cui il mercato deve riorganizzarsi, provocando un effetto recessivo.
“L’economia torna dunque al punto di partenza, posizionandosi sul sentiero di crescita che si sarebbe verificato in assenza del bonus. Nel 2023 gli investimenti in costruzioni hanno segnato un aumento del 3,1 per cento. Questa è una forte riduzione rispetto agli anni precedenti (+28 per cento nel 2021 e +12 per cento nel 2022) perché è terminato l’effetto rimbalzo post-Covid e si è ridotto l’effetto dei crediti edilizi. Per il 2024, è facile prevedere un crollo degli investimenti in ristrutturazione e un forte calo degli investimenti totali. Questa è l’indicazione che si ricava da una flessione, già negli ultimi mesi del 2023, dell’indice di fiducia delle imprese di costruzione calcolato dall’Istat”.
Per avvalorare questa tesi, gli autori dello studio prendono in considerazioni le analisi di ANCE e del Cresme, affermando “Indicazioni univoche vengono dalle imprese di costruzioni. In questo caso bisogna forse scontare un interesse a drammatizzare la situazione, anche se i numeri pubblicati vengono tipicamente prodotti da uffici studi che hanno interesse a mantenere un certo grado di credibilità, anche ai fini dei processi di budgeting delle imprese associate”.
L’ufficio studi dell’ANCE prevede un crollo del 7,4% del totale degli investimenti in costruzioni, nonostante una spinta del +20 per cento delle opere pubbliche dovute al PNRR. Secondo il centro studi del Cresme, la caduta sarebbe maggiore, pari al -8,5%, con una spinta dovuta al PNRR che non sarà in grado di garantire la tenuta dell’intero mercato, ma solo di attenuarne la caduta.
Conclusioni
In definitiva, secondo lo studio dell’Università del Sacro Cuore il superbonus “non sta solo pesando negativamente sui conti pubblici, ma sta anche pesando negativamente sulla crescita dell’economia. Questo è un punto che viene spesso trascurato, ma è assolutamente essenziale. Il bonus può aver avuto un effetto positivo in un momento di recessione dell’economia. Ma, valutato alla distanza, ossia dopo essere stato ritirato, il suo effetto sull’economia è, quasi per definizione, uguale a zero. Può essere leggermente maggiore di zero solo se si pensa che siano rilevanti i cosiddetti effetti di isteresi; in altre parole, ritenendo che, in assenza dello stimolo, la ripresa post-Covid sarebbe stata significativamente più lenta e avrebbe comportato più disoccupati e un sottoutilizzo della capacità produttiva, con conseguenze non temporanee sulla capacità produttiva del capitale umano e degli impianti. Ma, in ogni caso, nel momento in cui lo stimolo viene azzerato si genera un effetto recessivo sull’economia. Per evitare questo esito e mantenere in vita lo stimolo, il debito pubblico dovrebbe continuare ad aumentare senza limite alcuno, il che è ovviamente insostenibile”.
“Come il nostro Osservatorio ha spesso argomentato - continua lo studio - questa è la sorte di quasi tutte le politiche di stimolo alla domanda che non abbiano effetti sul potenziale di crescita dell’economia. La crescita non si fa con il deficit. Aumenti della spesa in deficit possono essere utili per attutire gli effetti di una recessione o per accelerare la ripresa, ma prima o poi devono essere sospesi perché pesano sul debito pubblico e, quando questo avviene, all’effetto di stimolo si sostituisce un effetto recessivo che in linea generale è di uguale dimensione rispetto all’originario stimolo espansivo”.
Ho trovato molto interessanti molti dei contenuti di questo studio (alcuni li ho trovati pretestuosi e privi di fondamento) e, come sempre, auspico che possano rappresentare un punto da cui partire, soprattutto in vista dei prossimi obblighi della Direttiva Green che dovranno necessariamente passare da una politica di incentivazione senza la quale l’Italia si ritroverà invischiata in nuove procedure di infrazione comunitaria.