Appalti pubblici: occhio alla congruità della base d'asta
Il prezzo deve consentire un adeguato margine di guadagno per le imprese, nel rispetto dei principi di efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa
Gli appalti pubblici devono sempre essere affidati a un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, giacché le acquisizioni in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso: qualora i costi non considerati o non giustificati siano invece tali da non poter essere coperti neppure mediante il valore economico dell’utile stimato, è evidente che l’offerta diventa non remunerativa e, pertanto, non sostenibile.
Appalti pubblici: la sostenibilità dell'offerta economica
Diversamente la procedura di gara è legittima, così come la base d’asta determinata dalla stazione appaltante: ne è conferma il caso affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza del 27 marzo 2024, n. 2908, con la quale ha confermato la decisione del TAR e respinto il ricorso per l’annullamento di un bando, degli altri atti della lex specialis di gara e della delibera di indizione nell'ambito di una procedura (esclusa dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. n. 50/2016 e dell’art. 65 D.Lgs. n. 208/2021).
Secondo i ricorrenti, sarebbe stato impossibile presentare offerte idonee a coprire i costi ed ottenere la remunerazione tenendo conto delle disposizioni della legge di gara sui costi del lavoro, delle attrezzature e delle spese generali: la stazione appaltante avrebbe infatti sottostimato notevolmente la base d’asta, motivo per cui era impossibile presentare un’offerta congrua.
Congruità della base d'asta: appalti devono consentire l'utile d'impresa
Una tesi smentita dal TAR e dai giudici d’appello: nel dettaglio il calcolo del costo della manodopera era stato fatto sulla base del CCNL vigente e che, per quanto in scadenza, è stato prorogato fino a fine 2024, con conseguente legittimità dell’operato della stazione appaltante nella stima dei costi a base d’asta.
Risponde infatti a un consolidato orientamento giurisprudenziale il principio secondo cui, gli appalti pubblici devono pur sempre essere affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, giacché le acquisizioni in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso: laddove i costi non considerati o non giustificati siano invece tali da non poter essere coperti neppure mediante il valore economico dell’utile stimato, è evidente che l’offerta diventa non remunerativa e, pertanto, non sostenibile.
In questo caso, il calcolo del costo del lavoro non appare presentare i macroscopici errori denunciati dai ricorrenti, in quanto corrispondenti a quelli previsti dal CCNL applicato.
Stesse considerazioni sull’utile di impresa. Gli operatori ricorrenti hanno ritenuto incapiente la base d’asta, perché l’amministrazione nel calcolo non avrebbe in alcun modo considerato l’utile d’impresa, motivo per cui i concorrenti avrebbero potuto partecipare soltanto presentando un’offerta in perdita.
Un assunto smentito per tabulas dall’analisi fatta dal consulente tecnico, per cui, sottolinea il Consiglio di Stato, è da escludere che nel caso di specie sia stata dimostrata dalla ricorrenti - gravate del relativo onere della prova - che le condizioni di gara fossero tali “da impedire in modo oggettivo e macroscopico” la formulazione di un’offerta corretta da parte dell’operatore economico “medio” del settore di riferimento, ovvero a rendere insostenibile economicamente (o tecnicamente) l’affidamento per tutte o per gran parte delle imprese del settore.
Piuttosto, conclude Palazzo Spada, va condivisa la sentenza appellata secondo cui le doglianze delle ricorrenti “nondimeno, confliggono con l’interesse principale che sovrintende alle procedure di evidenza pubblica, ossia quello diretto a realizzare la migliore gestione dei servizi in termini di efficienza, efficacia ed economicità, interesse fisiologicamente diverso da quello dell’operatore economico, volto a conseguire un utile d’impresa, la cui assenza, comunque, resta priva di prova relativamente alla gara oggetto del contendere.”.
Documenti Allegati
Sentenza