Servizi di architettura e ingegneria: il TAR sull’applicazione dell’equo compenso nelle gare

TAR: “…escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non è un ostacolo alla concorrenza”

di Gianluca Oreto - 04/04/2024

Nell’attesa che la Cabina di regia formuli le sue considerazioni, è il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto ad esprimersi chiaramente sul coordinamento tra le norme che regolano le gare per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria e la Legge n. 49/2023 sull’equo compenso.

Equo compenso: i “non” interventi dell’ANAC e la sentenza del TAR

Un tema che è stato affrontato e non risolto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) che, dopo aver espresso i suoi dubbi sulla portata applicativa della legge sull’equo compenso nelle gare di progettazione, ha avanzato 3 possibili soluzioni senza, però, esprimersi in modo definitivo. Ricordiamo, infatti, che ANAC era già intervenuta:

Arriva adesso una sentenza che è possibile definire “storica” (anche se di primo grado), mediante la quale il TAR Veneto fornisce una lettura complessiva e definitiva che chiarisce la portata della Legge n. 49/2023.

Il caso trattato dai giudici di primo grado riguarda il ricorso presentato da un concorrente ad una gara per l’affidamento di servizi di architettura e ingegneria sulla quale, nel procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la Stazione Appaltante avrebbe dato atto di avere tenuto conto della disciplina di cui alla Legge n. 49/2023, oltre che della delibera ANAC 7 20.7.2023, n. 343 (adottata in sede di prima applicazione delle norme sull’equo compenso a gara regolata con il D.Lgs. n. 50/2016) e dei contributi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.

Nonostante questo, però, a seguito dell’accesso agli atti, il ricorrente avrebbe appreso che tutti gli operatori economici partecipanti hanno formulato offerte economiche con ribasso sui compensi, in violazione delle norme sull’equo compenso, come espressamente affermato dalla Stazione appaltante, con la conseguente illegittimità del provvedimento di aggiudicazione.

Ricorso ammissibile

Molto interessante è la parte della sentenza che riguarda l’eccezione della stazione appaltante circa l’inammissibilità del ricorso in quanto, a suo avviso, il ricorrente lo avrebbe dovuto proporre immediatamente avverso la disciplina di gara.

Preliminarmente, il TAR ha evidenziato che il disciplinare di gara, oltre a prevedere il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e la formulazione, da parte degli operatori economici, di offerte economiche con un ribasso percentuale da applicare al “compenso per la propria prestazione professionale per l’incarico oggetto di affidamento, comprensivo di ogni tipo di spese e compensi accessori”, ha anche determinato l’importo a base di gara ai sensi del DM 17 giugno 2016 (Decreto Parametri).

L’Amministrazione, quindi, avrebbe quantificato gli importi relativi ai compensi e alle spese/oneri accessori da riconoscere per le prestazioni oggetto di gara (così come previsto dal Decreto Parametri).

Nella gara in esame, dunque, ciascun partecipante è stato posto nelle condizioni di formulare un’offerta economica al ribasso salvaguardando, ove avesse voluto, la componente dei compensi, come determinata e distinta dall’Amministrazione e da qualificare in termini di equo compenso anche ai sensi della Legge n. 49/2023.

Secondo il TAR, per arrivare a tale risultato era sufficiente la formulazione di un ribasso che, applicato percentualmente all’importo a base di gara, non implicasse la proposizione di un’offerta economica inferiore ai compensi equi quantificati dall’Amministrazione.

Ed è questo il motivo per cui la disciplina di gara non poteva essere sottoposta ad immediata impugnazione da parte del ricorrente, atteso che le sue previsioni non hanno inciso con assoluta e oggettiva certezza sul suo interesse alla partecipazione alla gara, né gli hanno precluso la formulazione di una offerta economica coerente con il suo intendimento di rispettare l’equo compenso.

Il ricorrente avrebbe, quindi, riposto il proprio affidamento sul legittimo esercizio dell’azione amministrativa da parte della Stazione appaltante e quindi sulla circostanza che tutte le offerte economiche sarebbero state valutate in conformità alla lex specialis e a quelle norme dell’ordinamento giuridico (incluse le previsioni della legge n. 49/2023) contenenti precetti obbligatori delle quali la Stazione appaltante abbia omesso l’esplicito inserimento nella disciplina di gara.

L’applicazione dell’equo compenso

Entriamo adesso nel merito dell’applicazione dell’equo compenso. Preliminarmente il TAR si è soffermato sull’esame della Legge n. 49/2023 che ormai dovremmo conoscere e secondo la quale il legislatore ha riscritto le regole in materia di compenso equo per le prestazioni professionali con l’intento di incrementare le tutele per quest’ultime, garantendo la percezione, da parte dei professionisti, di un corrispettivo equo per la prestazione intellettuale eseguita anche nell’ambito di quei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli”.

In particolare, l’art. 2 della Legge n. 49/2023 ha specificato che l’equo compenso trova applicazione ai rapporti professionali fondati sulla prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., regolamentati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali prestate a favore di imprese bancarie e assicurative, delle loro società controllate e delle loro mandatarie, imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori ovvero hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro e, infine, per le prestazioni rese in favore della Pubblica Amministrazione.

Equo compenso: si può impugnare l’esito della gara

Il legislatore ha, quindi, stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, introducendo una nullità relativa o di protezione che consente al professionista di impugnare la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che prevede un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza per far valere la nullità della pattuizione, chiedendo la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività svolta dal professionista.

Lo scopo della Legge n. 49/2023 è quello di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli” ed emerge ulteriormente dalla previsione per la quale gli stessi ordini e i collegi professionali sono chiamati ad adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull'equo compenso.

Secondo il TAR non sussiste alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016 (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in oggetto). Un’antinomia può configurarsi “in concreto” allorché – in sede di applicazione – due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade ogniqualvolta quest’ultima sia contemporaneamente sussumibile in due ipotesi normative diverse, l’applicazione delle quali, comporti, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento giuridico, conseguenze giuridiche incompatibili tra loro.

In tale ipotesi, l’interprete è chiamato ad effettuare una interpretazione letterale, teleologica e adeguatrice delle norme in apparente contrasto, al fine di determinarne il significato che è loro proprio, coordinandole anche in un più ampio sistema di norme, rappresentato dall’ordinamento giuridico.

Ecco come si applica l’equo compenso

Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici. Non a caso, l’art. 8, del nuovo Codice dei contratti (D.Lgs. n. 36/2023), oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale.

Sul piano letterale e teleologico, pertanto, le previsioni della Legge n. 49/2023 si applicano anche alla disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 50 del 2016.

Nel merito, secondo il TAR resta comunque applicabile, anche successivamente all’entrata in vigore della Legge n. 49/2023, il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo.

Mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici (nel caso in esame, del d.lgs. n. 50/2016, ma il ragionamento è analogo anche con riguardo al d.lgs. n. 36/2023) si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”.

L’Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara. Al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, è da qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 9, D.L. n. 1/2012.

A tale conclusione si perviene in ragione del fatto che le due tipologie di decreti ministeriali (il D.M. 17 giugno 2016 e il DM 140/2012 adottato ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1) sono costruiti con l’applicazione degli stessi parametri e la valorizzazione delle medesime voci.

Lo stesso art. 9, del D.L. n. 1/2012 disciplina unitariamente sia la determinazione dei compensi liquidabili giudizialmente al professionista, sia la determinazione degli importi da porre a base di gara da parte delle Amministrazioni.

Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa.

Via libera al ribasso per le spese e gli oneri accessori

Trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.

Siffatta conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea.

Escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non è un ostacolo alla concorrenza o alla libertà di circolazione e di stabilimento degli operatori economici, ma al contrario rappresenta una tutela per questi ultimi, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto.

L’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali) potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.

Equo compenso eterontegrato nei bandi di gara

In conclusione, secondo il TAR non si sarebbe alcuno ostacolo all’applicazione della Legge sull’equo compenso anche nelle gare ad oggetto servizi di architettura e ingegneria. Oltretutto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Stazione appaltante e dall’aggiudicatario, la disciplina di gara deve ritenersi essere stata eterointegrata dalla legge n. 49/2023.

Secondo il TAR, il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, della Legge n. 49 del 2023 integrano un’ipotesi di norma imperativa che non può essere messo in dubbio.

L’imperatività della normativa sull’equo compenso è associata non solo alla previsione testuale della nullità, ma anche al fatto che lo scopo del provvedimento è quello di assicurare al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, sia in sostanziale attuazione dell’art. 36 Cost., sia per rafforzare la tutela dei professionisti nel rapporto contrattuale con specifiche imprese, che per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti, ovvero, per quanto in questa sede di interesse, con la P.A..

La nullità relativa o di protezione si può ritenere giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista è sostanzialmente “tenuto” a “subire” la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.A. Diversamente, nell’ambito di gare, come quella in esame, dove la violazione della normativa sull’equo compenso non è imposta dalla P.A., ma dipende da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non può rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto.

Né possono deporre in senso contrario i principi di certezza del diritto o di legittimo affidamento, come valorizzato in un caso analogo dalla delibera Anac n. 101/2024. Su tale aspetto, il Collegio si limita ad osservare, trattandosi di delibera che è stata oggetto di ampia discussione orale tra le parti, che sono proprio i principi da ultimo indicati a determinare la necessaria integrazione della disciplina di gara nel caso concreto, posto che la legge n. 49/2023 ha stabilito delle norme di carattere imperativo in merito a profili che sono estranei alla libera determinazione delle Amministrazioni aggiudicatrici. Ne deriva che soltanto tramite il meccanismo di integrazione finora descritto può essere tutelato l’affidamento degli operatori economici sul legittimo esercizio dell’azione amministrativa nel caso concreto.

Nessuna violazione della concorrenza

Il TAR ha ribadito che la manifesta infondatezza dei rilievi della stazione appaltante secondo i quali l’esclusione della formulazione di ribassi sui compensi si tradurrebbe nell’imposizione da parte del legislatore di tariffe obbligatorie prive di flessibilità, idonee ad ostacolare la libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e la libera concorrenza nel mercato europeo.

Quanto all’ipotizzata restrizione della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, il TAR ha ricordato come dalla giurisprudenza costante della CGUE emerga che la restrizione sia configurabile a fronte di misure che vietino, ostacolino o scoraggino l’esercizio di tali libertà. Ciò si può configurare a fronte di misure che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri.

Nel caso in esame, il TAR ha ritenuto che la normativa nazionale non sia in grado di pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione Europea. Questo in quanto l’impostazione seguita dalla Legge n. 49/2023 deriva dal dichiarato intento del legislatore italiano di preservare il professionista intellettuale nell’ambito dei rapporti con “contraenti forti”, inclusa la Pubblica Amministrazione.

Infatti, in ragione delle peculiarità del mercato e dei servizi in esame, tali rapporti contrattuali potrebbero concretizzarsi nell’offerta di prestazioni al ribasso, e, attraverso una selezione avversa, persino nell’eliminazione degli operatori che offrono prestazioni di qualità. Nel perseguimento di tale interesse di portata generale (già ritenuto dalla Corte di Giustizia UE idoneo a giustificare la previsione di “tariffe” minime, si v. sentenza C-377/17 Commissione c. Repubblica federale di Germania e Ungheria) la previsione dell’inderogabilità al ribasso della voce “compensi”, oltre a trovare applicazione omogenea nei confronti di ogni operatore economico, non appare in grado di ostacolare la partecipazione alle gare pubbliche.

In definitiva, secondo il TAR l’aggiudicazione e gli atti di gara impugnati sarebbero illegittimi in ragione della proposizione di una offerta economica (aggiudicataria) formulata in violazione della legge n. 49/2023.

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