Condono edilizio: come e quando si applica il silenzio-assenso?

Il TAR chiarisce l’ambito di applicazione del perfezionamento del silenzio assenso nel caso di permesso di costruire in sanatoria ottenuto a seguito di condono edilizio

di Redazione tecnica - 02/05/2024

L’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) definisce puntualmente il procedimento per il rilascio del permesso di costruire, stabilendo che decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso. Restano salvi i casi in cui sussistano vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Silenzio-assenso e permesso di costruire

Il binomio permesso di costruire-silenzio-assenso è stato oggetto di parecchi interventi della giustizia amministrativa. Tra le ultimissime pronunce ricordiamo quella del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia che con la sentenza n. 518/2024 ha confermato che:

  • la conformità dell’intervento alla normativa urbanistica non costituisce condizione necessaria ai fini della formazione del silenzio-assenso;
  • la conformità dell’intervento alla normativa urbanistico edilizia costituisce requisito di validità del titolo tacito formatosi con il silenzio-assenso e non requisito di perfezionamento della fattispecie;
  • il titolo edilizio si forma per il solo decorso del tempo salva la possibilità per l’amministrazione, qualora accerti che l’intervento non sia conforme, di intervenire esercitando il potere di autotutela.

L’argomento “silenzio-assenso” è stato nuovamente affrontato dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con la sentenza n. 8282/2024 che ha preliminarmente confermato i diversi indirizzi della giurisprudenza:

  • quello secondo cui prevale una concezione sostanziale del silenzio assenso e per cui il perfezionamento della fattispecie è legato non solo alla completezza formale della domanda e al decorso del tempo, ma anche alla contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti e i presupposti richiesti dalla legge, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata non sia conforme a quella normativamente prevista (secondo tale tesi, il binomio è esistenza/inesistenza del silenzio assenso, con il corollario che può esistere solo un provvedimento tacito di accoglimento legittimo)
  • quello secondo cui prevale una concezione formale del silenzio assenso e per cui la formazione tacita del provvedimento è subordinata alla mera presentazione dell’istanza ed al decorrere del tempo previsto dalla legge (una volta trascorso il termine di legge, è legittimità/illegittimità del silenzio assenso, con il corollario che può esistere anche un provvedimento tacito di accoglimento illegittimo).

Silenzio assenso e condono edilizio

Per quanto concerne i presupposti per la formazione del silenzio assenso sull'istanza di condono edilizio, come disciplinato dall’art. 32, comma 37, della legge n. 326/03, il TAR ha ricordato un consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui è necessario che:

  • sia stato completato il pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri concessori;
  • la domanda sia fedele e completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell'amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell’oblazione da versare, con la conseguenza che l’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo;
  • sia decorso il termine di trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori (in caso di abusi c.d. minori, riconducibili alle tipologie di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 al d.l. n. 269/2003, realizzati in area vincolata, il termine inizia a decorrere dall’emissione del parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo);
  • non si tratti di abusi c.d. maggiori (inseriti nelle categorie di cui ai nn. 1, 2 e 3 del menzionato Allegato 1 al d.l. n. 269/2003) realizzati in area vincolata, trattandosi di fattispecie per le quali è esclusa ex lege la condonabilità delle opere.

Le conclusioni del TAR

In linea generale, il TAR Lazio, quanto alla questione di carattere generale sul perfezionamento del silenzio assenso, giunge alle seguenti conclusioni:

  • la c.d. concezione sostanziale dell’istituto vanificherebbe in radice le finalità di semplificazione dell’istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l’operatore se l’amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda;
  • ritenere che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità e tale trattamento differenziato opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della pubblica amministrazione.
  • l’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe inoltre in contrasto con il principio di «collaborazione e buona fede» (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione (ai sensi dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990) e tradirebbe la ratio dell’istituto, che costituisce uno specifico “rimedio” messo a disposizione dei privati a fronte della inerzia della medesima Amministrazione;
  • che il silenzio-assenso si formi anche quando l'attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme è confermato da puntuali ed univoci indici normativi con il quali il legislatore ha inteso chiaramente sconfessare la tesi secondo cui la possibilità di conseguire il silenzio assenso sarebbe legato, non solo al decorso del termine, ma anche alla ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo;
  • in particolare, l’espressa previsione della annullabilità d’ufficio anche nel caso in cui il «provvedimento si sia formato ai sensi dell’art. 20», presuppone evidentemente che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva (secondo i canoni generali) in termini di illegittimità dell’atto;
  • l’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020) - nella parte in cui afferma che «Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, […] sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni» - conferma che, decorso il termine, all’Amministrazione residua soltanto il potere di autotutela;
  • l’art. 20, comma 2-bis, prevedendo che «Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell’intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo […]», stabilisce, al fine di ovviare alle perduranti incertezze circa il regime di formazione del silenzio-assenso, che il privato ha diritto ad un’attestazione che deve dare unicamente conto dell’inutile decorso dei termini del procedimento (in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie rimaste inevase e di provvedimenti di diniego tempestivamente intervenuti);
  • l’abrogazione dell’art. 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (per effetto della legge n. 124 del 2015, c.d. legge Madia), che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all’attività secondo il modulo del silenzio assenso, «in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente», rafforza la concezione formale dell’istituto.

Il potere (primario) di provvedere si consuma con il decorso del termine procedimentale, fermo restando, in caso di provvedimento abilitativo tacito in contrasto i requisiti di validità della fattispecie, il potere (secondario) della pubblica amministrazione di intervenire in via di autotutela e l’eventuale esperimento, da parte del terzo controinteressato, dell’azione di annullamento del silenzio assenso avente carattere provvedimentale.

Concludendo, nel caso oggetto della sentenza, il silenzio assenso sull’istanza di condono, considerata la completezza della documentazione, si è perfezionato il 16/06/2009, trascorsi 36 mesi dal versamento dell’ultima rata degli oneri concessori (16/06/2006), ben prima dunque della notifica del preavviso di rigetto del 11/06/2013.

La consumazione del potere primario di provvedere, pertanto, comporta l’irrilevanza della fase istruttoria tardivamente avviata, con conseguente inefficacia del provvedimento di rigetto adottato ex art. 2, comma 8 bis, l. n. 241/90.

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