Visto di conformità: alla Corte Costituzionale la questione sui soggetti abilitati

Secondo il Consiglio di Stato l'esclusione dei tributaristi dal novero dei soggetti abilitati è norma che limita la concorrenza e l'iniziativa economica

di Redazione tecnica - 03/05/2024

È stata rimessa dal Consiglio di Stato alla Corte Costituzionale, con l'ordinanza del 31 gennaio 2024, n. 995, la questione di legittimità dell’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 241 del 1997, che esclude la categoria dei tributaristi non iscritti in albi professionali – ai quali l’ordinamento pure pacificamente consente di operare come consulenti fiscali, di predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali, di trattare e conservare i dati contabili – dal novero dei professionisti abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi da inviarsi all’amministrazione finanziaria.

Una questione più che mai di attualità, con l'apertura della stagione dichiarativa e che si sovrappone a quella della conformità delle spese sostenute per interventi per i quali spettano agevolazioni fiscali come Superbonus, Ecobonus e bonus edilizi in generale.

Visto di conformità: alla Corte Costituzionale la questione dei soggetti abilitati

Tutto nasce con il ricorso presentato da un'Associazione Nazionale di Tributaristi contro l’Agenzia delle Entrate, che aveva negato a una tributarista, iscritta all’Associazione stessa, l’abilitazione al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e Iva inviate, ai sensi dell’art. 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni.

Quella del tributarista è una figura professionale «riconosciuta da numerose norme di legge, tra le quali il D.M. del 28.12.1990; il D.lgs.546/1992; DPR n.322/1998 e correlato D.M. del 19.4.2001; Art.1 commi 391 e 392 della Legge n.311 del 2004; art.21 della L.29/2006 che estende ai tributaristi gli obblighi antiriciclaggio ed il regolamento di cui al D.lgs. .231/2007 (art.14); la Direttiva comunitaria 2001/97/ce)».

Nel dettaglio l’attività svolta professionale consiste:

  • nella tenuta della contabilità delle imprese;
  • nell’assistenza fiscale comprensiva della compilazione delle dichiarazioni fiscali e dell’abilitazione alla trasmissione telematica delle dichiarazioni stesse;
  • in tutte le altre attività riferibili ai servizi contabili, fiscali, tributari amministrativi e/o aziendali, tranne quelli riservati a professionisti iscritti in albi, ruoli od elenchi.

Tributaristi: il no del Fisco al rilascio del visto di conformità

Il diniego opposto dal Fisco si fonda appunto sull’esistenza di una riserva di legge per l’attività di rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni, ricavata dal comma 3 dell’art. 35 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, il quale dispone che il visto di conformità è rilasciato su richiesta del contribuente dai «soggetti indicati alle lettere a) e b), del comma 3 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni».

A sua volta, la disposizione richiamata, e cioè l’art. 3, comma 3, del d.P.R. del 22 luglio 1998, n. 322, nell’elencare le categorie di «soggetti incaricati della trasmissione» delle dichiarazioni «in via telematica mediante il servizio telematico Entratel», indica alle lettere a) e b), menzionate nella norma di legge richiamante, le seguenti categorie professionali: «gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro» (lett. a); e «i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria» (lett. b);

La stessa norma contempla peraltro altre categorie di soggetti abilitati all’invio in forma telematica delle dichiarazioni dei redditi, tra cui quella individuata in via residuale dalla lettera e) negli «altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze». In attuazione di quest’ultima disposizione regolamentare, con decreto in data 19 aprile 2001 sono stati abilitati all’invio telematico «coloro che esercitano abitualmente l’attività di consulenza fiscale.

Infine, per completare il quadro normativo, Palazzo Spada ha richiamato l’art. 23 del decreto ministeriale 31 maggio 1999, n. 164 che dispone al comma 1, che i professionisti «rilasciano il visto di conformità se hanno predisposto le dichiarazioni e tenuto le relative scritture contabili», ponendo una regola di «identità soggettiva tra il soggetto che appone il visto di conformità e colui che predispone le dichiarazioni e cura la tenuta delle scritture contabili», senza tuttavia consentire il reciproco, e cioè il rilascio del visto di conformità da parte del professionista che abbia presentato all’amministrazione finanziaria la dichiarazione dei redditi.

Il visto di conformità

A livello amministrativo si è chiarito che il visto di conformità:

  • ha lo scopo di «garantire ai contribuenti assistiti un corretto adempimento di taluni obblighi tributari» e di «agevolare l’Amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare e nell’esecuzione dei controlli di propria competenza» (circolare del Ministero delle finanze del 17 giugno 1999, n. 134);
  • si articola in un visto c.d. leggero e uno pesante;
  •  la distinzione corrisponde ad altrettanti livelli di certezza sulla correttezza delle dichiarazioni fiscali:
    • il primo, previsto dall’art. 35, comma 2, lett. a), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, si sostanzia nell’attestazione di conformità tra i dati esposti nella dichiarazione dei redditi e la documentazione ad essa relativa e «implica il riscontro della corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d’imposta, lo scomputo delle ritenute d’acconto» (così l’art. art. 2, comma 1, del citato decreto del Ministro delle finanze in data 31 maggio 1999, n. 164);
    • con il secondo, previsto dall’art. 35, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, il professionista abilitato attesta la regolare tenuta della contabilità da parte del contribuente e la corrispondenza ad essa dei dati esposti nella dichiarazione dei redditi (art. 2, comma 2, del medesimo decreto ministeriale);

Secondo il Consiglio, l’incontestato rilievo pubblicistico del visto di conformità apposto sulle dichiarazioni dei redditi inviate all’amministrazione finanziaria, correlato all’attività di controllo di competenza di quest’ultima, esige che l’individuazione delle figure professionali abilitate al relativo rilascio risponda a ragioni di affidabilità e di competenza.

Tributaristi e visto di conformità: i dubbi del Consiglio di Stato

Non emerge una plausibile giustificazione, secondo Palazzo Spada, per la quale i tributaristi possano legittimamente essere esclusi dal novero dei professionisti abilitati al visto di conformità: in primis quello c.d. leggero, che come in precedenza esposto consiste in un controllo di carattere formale sulla corrispondenza della documentazione utilizzata per le dichiarazioni fiscali con i dati in essa esposto;

Peraltro anche quello “pesante”, che nel suo estendersi all’ulteriore profilo di ordine sostanziale relativo ai dati contenuti nelle scritture contabili dell’impresa contribuente afferisce comunque all’attività professionale liberalizzata di consulenza e assistenza fiscale che il tributarista è quindi abilitato a svolgere, fino alla predisposizione e all’invio all’amministrazione finanziaria le dichiarazioni dei redditi e Iva;

Per quanto riguarda il distinto profilo dell’affidabilità insito nel rilascio del visto di conformità sulle medesime dichiarazioni,  l’unica ragione ostativa da questa addotta, ed emergente dal tenore complessivo delle disposizioni normative censurate in questo giudizio, è riferibile al principio di preferenza per le professioni c.d. ordinistiche.

In questa prospettiva, l’organizzazione della categoria professionale in un ente esponenziale, ordine o collegio, istituito per legge, costituirebbe l’elemento ragionevolmente fondante la riserva di attività istituita dall’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, attraverso il richiamo all’elenco di cui al più volte citato art. 3, comma 3, lett. a) e b), del DPR 22 luglio 1998, n. 322.

Si tratta di un argomento che per il Consiglio si espone nondimeno a rilievi critici sul piano della ragionevolezza e della non discriminazione, in relazione all’evoluzione dell’ordinamento giuridico, che con specifico riguardo alle professioni non organizzate in ordini o collegi ha trovato un formale riconoscimento delle stesse con la legge n. 4/2013 (Disposizioni in materia di professioni non organizzate).

Nel sancire il principio del libero esercizio delle professioni c.d. non ordinistiche, la legge 14 gennaio 2013, n. 4, ha infatti introdotto elementi di assimilazione tra professioni organizzate in ordini o collegi e professioni che tali non sono, e che si fondano sul libero esercizio di un’«attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale».

L’obiettivo perseguito dalla legge ha dunque riflessi sul profilo dell’affidabilità professionale che deve presiedere all’apposizione del visto di conformità sulle dichiarazioni presentate all’amministrazione finanziaria. Esso vale infatti ad equiparare alle professioni ordinistiche sotto il profilo della garanzia di esercizio della professione sulla base dei requisiti di capacità e correttezza, quelle per il cui esercizio non è necessaria l’iscrizione in albi o elenchi tenuti dall’apposito ente esponenziale della categoria;

In base al riconoscimento delle professioni non organizzate in ordini o collegi di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4, la funzione di controllo sul rispetto della deontologia professionale risulta adeguatamente perseguibile attraverso strumenti privatistici, tanto più quando questi siano a loro volta inquadrati in un sistema pubblicistico di vigilanza ministeriale.

La questione rimessa alla Corte Costituzionale

Nella sostanza, la disposizione di legge finisce per discriminare in modo non ragionevole una categoria di professionisti, quali gli appellanti, ai quali l’ordinamento pacificamente consente di:

  • operare come consulenti fiscali
  • predisporre e trasmettere le dichiarazioni fiscali
  • trattare e conservare i dati contabili, senza però poter rilasciare il visto di conformità, che al contempo non potrebbe essere rilasciato dai professionisti iscritti all’ordine, a causa del divieto di certificare le dichiarazioni fiscali non redatte personalmente dal professionista, creando una disparità di trattamento rispetto ai professionisti iscritti all’ordine non giustificata per le ragioni anzidette.

Di conseguenza si tratta di una disposizione che:

  • limita il libero esercizio dell’attività professionale e della iniziativa economica per le categorie non comprese nella medesima riserva, benché come nel caso dei tributaristi la professione sia per un verso riconosciuta e inquadrata nel sistema della legge 14 gennaio 2013, n. 4, e per altro verso sia compresa tra quelle abilitate ai sensi del sopra richiamato art. 3, comma 3, lett. e) del DPR n. 322/1998 all’invio telematico delle dichiarazioni.
  • è in contrasto con la tutela della concorrenza, estendendo la riserva di attività anche ad attività pacificamente liberalizzate, ma il cui affidamento ai professionisti tributaristi non iscritti all’albo viene fortemente disincentivato, in contrasto con le menzionate riforme ispirate alla liberalizzazione di determinate attività e al carattere tassativo ed eccezionale delle attività riservate agli iscritti all’ordine

Non appaiono apprezzabili effettive ragioni, conclude il Consiglio, per impedire a professionisti abilitati all’invio delle dichiarazioni dei redditi all’amministrazione finanziaria l’ulteriore attività consistente nel rilasciare a favore di quest’ultima l’attestazione necessaria a semplificarne l’attività di controllo, profilandosi una discriminazione in danno della categoria professionale pregiudizievole per il loro diritto di matrice sovranazionale alla libera prestazione dei loro servizi, non necessaria perché sfornita di un sottostante motivo imperativo di interesse generale e sproporzionata perché eccedente gli obiettivi di tutela dell’interesse fiscale dello Stato.

Il giudizio è stato quindi sospeso, rimettendo alla Consulta, con l’ordinanza del 31 gennaio 2024, n. 995, la questione di legittimità costituzionale del’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nella parte in cui individua i soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità nell’elenco di professionisti contenuto nelle sole lett. a) e b) del comma 3 dell’art. 3, del DPR del 22 luglio 1998, n. 322, e non anche negli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e) in cui rientrano anche i tributaristi.

 

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