Equo compenso Architetti e Ingegneri: il CNI chiede un chiarimento urgente

Dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri una Nota indirizzata alla Premier Giorgia Meloni e al Presidente di ANAC Giuseppe Busia in cui chiede un chiarimento sui criteri interpretativi dell’equo compenso

di Gianluca Oreto - 06/05/2024

Il principio comunitario della concorrenza, la specificità normativa del Codice dei contratti e il principio ratione temporis sono gli elementi ritenuti ostativi da parte talune Amministrazioni e/o da singole Associazioni di categoria per l’applicazione della Legge 21 Aprile 2023, n. 49 (Legge sull’equo compenso) alle prestazioni professionali rese da architetti e ingegneri ai sensi del D.Lgs. n. 36/2023.

Equo compenso: gli ingegneri chiedono un chiarimento urgente

Lo ha evidenziato il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) in una nota indirizzata alla Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri della Giustizia, delle Infrastrutture e dell’Economia, al Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), all’Osservatorio Nazionale sull’Equo Compenso e alla Cabina di regia per il codice dei contratti pubblici.

Nonostante la chiara volontà parlamentare e legislativa, stiamo osservando incomprensibili prese di posizione da parte di talune Amministrazioni e/o da singole Associazioni di categoria che promuovono una sostanziale disapplicazione della norma in parola, che in conseguenza viene sovente disattesa negli affidamenti regolati dal Codice dei contratti pubblici”. Lo conferma il CNI nella nota che contiene una richiesta di chiarimento relativa a determinati criteri interpretativi che stanno creando notevoli difficoltà agli ingegneri e, in generale, a tutte le categorie ordinistiche che rappresentano oltre due milioni di professionisti.

Il CNI ricorda che la Legge n. 49/2023, che ha passato due legislature prima di vedere la luce, è stata voluta proprio dall’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Una legge che ha l’obiettivo di restituire dignità e tutela ai professionisti italiani, stabilendo alcune regole che dovrebbero essere molto chiare:

  • si applica alle prestazioni rese dai professionisti in favore della Pubblica Amministrazione (art. 2, comma 3);
  • stabilisce la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo, e comunque inferiore ai parametri ministeriali (art. 3, comma 1), anche all'esito di un’eventuale gara (art. 3, comma 5).

Regole assolutamente in linea con quanto stabilito dal D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti) che all’art. 8, comma 2, dispone “Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”.

L’errata applicazione della norma sull’equo compenso

Nonostante questo, il CNI ha registrato l’errata applicazione della norma, sovente disattesa negli affidamenti regolati dal Codice dei contratti pubblici da Amministrazioni e singole Associazioni di categoria che invocherebbero una serie di elementi ritenuti “ostativi”, quali:

  • il principio comunitario della concorrenza;
  • la specificità normativa del Codice, che dunque prevarrebbe rispetto alla Legge 49/23;
  • l’immodificabilità del primo in assenza di esplicita previsione (in ragione dell’art. 227 dello stesso D.lgs. n. 36/2023);
  • il principio ratione temporis.

Secondo i dati arrivati dall’Osservatorio del Centro Studi del CNI, sarebbero oltre l’80% del totale gli Enti che sostengono la disapplicazione della legge sull’Equo compenso, secondo i quali il loro comportamento sarebbe suffragato da diversi pronunciamenti e provvedimenti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).

Gli interventi dei tribunali di primo grado

Tra le altre cose, il CNI ricorda la recente sentenza del TAR Veneto, a cui si aggiunge la ancora più recente pronuncia del TAR Lazio, che hanno già confermato (pur con delle sentenze di primo grado) non solo l’allineamento della normativa a quella europea e al Codice dei contratti, ma anche la sua modalità di applicazione (ribasso su spese e oneri e non sul compenso calcolato ai sensi del DM 17/06/2016).

Interpretazioni in linea con quanto già sostenuto dal CNI sin da luglio 2023 in un articolato documento predisposto dal suo Centro Studi e allegato alla nota trasmessa.

Di conseguenza, il CNI non comprende le ragioni di tale resistenza. Una lettura attenta del Codice dei contratti pubblici, così come progettato, suffraga pienamente l’applicazione dell’Equo compenso, legittimandone esplicitamente l’introduzione, dal momento che lo stesso viene enunciato tra i principi cardine della normativa (art. 8). Lo stesso Codice, peraltro, prevede che talune procedure di affidamento possano essere aggiudicate mediante procedure comparative sulla base di un prezzo fisso, ove gli operatori economici competono solo in base a criteri qualitativi (art. 108, comma 5). L’interpretazione che ha da subito reso il CNI, del tutto in linea con le due norme, consiste nel consentire la rideterminazione delle spese, a patto che resti comunque inviolato l’Equo compenso. In tal senso gli operatori economici potranno “competere” solo sulla “qualità” e quindi potranno far valere in sede d’offerta la propria capacità tecnico-organizzativa ed efficienza, a tutto vantaggio della Stazione Appaltante”.

Il principio comunitario della concorrenza

Secondo il CNI “Detta interpretazione ben si sposa, oltre tutto, con il principio comunitario della concorrenza, dato che consente la ribassabilità del corrispettivo nel suo complesso, ponendo tuttavia un ragionevole limite ai ribassi, che nel recente passato sono stati utilizzati come leva per lo svilimento del lavoro di ogni singolo operatore economico impegnato nelle procedure ad evidenza pubblica. Ciò nonostante, il CNI ha registrato argomentazioni assolutamente errate e pretestuose quali, ad esempio, il fatto che l’Equo compenso penalizzerebbe i giovani professionisti o che provocherebbe un incremento della spesa pubblica per via dell’esplosione dei costi per la realizzazione delle opere. La Nota del CNI affronta e confuta tali obiezioni una per una”.

Rafforzati dalle recenti pronunce dei TAR Veneto e Lazio, il CNI conferma che “l’operatore economico, in virtù della sua organizzazione d’impresa, qualora dovesse ritenerlo opportuno, potrà ribassare unicamente le componenti accessorie del prezzo, come le spese generali, per avvantaggiarsi nel confronto competitivo con gli altri partecipanti alle diverse gare. Il tutto è lecito, fermo restando il dovere di ogni Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, porterebbero ad un vantaggio indebito, avendo trasferito su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi”.

L’equo compenso e i giovani professionisti

Relativamente alle recenti dichiarazioni di ANAC secondo cui l’equo compenso penalizzerebbe i professionisti più giovani e più piccoli, il CNI rileva “Chiunque conosce davvero il settore dei servizi di ingegneria e architettura è perfettamente al corrente che l’affidamento fiduciario è lo strumento principale per inserire i giovani professionisti nel mondo delle opere pubbliche, poiché, trattandosi di incarichi di minore complessità, si richiede come requisito il solo titolo professionale e una minore esperienza specifica. Acquisendo in questo modo esperienza e competenze da inserire nel curriculum, i giovani professionisti potranno successivamente partecipare alle gare di maggiore complessità, facendo leva sull’esperienza maturata e sulla capacità economica acquisita. Orbene, con l’applicazione dell’equo compenso, tali giovani vengono gratificati da un corrispettivo certamente più degno di quello riconosciuto nel recente passato, dal momento che riuscivano ad aggiudicarsi le gare soltanto perché “costretti” dal previgente quadro normativo ad offrire ribassi che hanno raggiunto anche il 90% del compenso”.

Nessun incremento della spesa pubblica

Relativamente al paventato incremento della spesa pubblica in ragione dell’applicazione dell’equo compenso, che farebbe venir meno i vincoli derivanti dalla sottoscrizione degli accordi legati all’utilizzo dei fondi del PNRR, il CNI afferma “Gli operatori del settore sono perfettamente consci del fatto che i quadri economici vengono predisposti in fase pre-progettuale e pre-affidamento, con la conseguenza che contengono le spese tecniche quantificate, per norma, nel valore massimo stabilito dai decreti parametri e senza alcun ribasso, che verrà valorizzato solo nella successiva sede di gara. La stessa ANAC ha sostenuto in più occasioni che è illegittimo prevedere quadri economici con preventivi ribassi derivanti da successive gare e, dunque, l’applicazione della legge n. 49/2023 non comporterà alcuna modifica ai quadri economici già approvati. Più in generale, ragionando anche delle potenziali economie derivanti dalle gare, vale la pena rammentare che, in caso di affidamento dei servizi all’esterno, le spese tecniche rappresentano in media meno del 10% dell’intero finanziamento. I ribassi sui corrispettivi si attestavano, prima dell’applicazione della norma sull’equo compenso, su un valore ricompreso tra il 30% ed il 35%, a seconda delle annualità, come emerge dai report del nostro Centro Studi. L’interpretazione che fornisce lo scrivente Consiglio Nazionale, come detto ben sviscerata dal TAR Veneto e dal TAR Lazio, consiste nel fatto che il ribasso va ricercato nella sola componente relativa alle spese, in ragione di efficientamenti organizzativi proposti dal singolo operatore economico. Le proiezioni fatte dal nostro Osservatorio Bandi sugli affidamenti dell’ultimo anno, dunque dati reali, ci indicano valori medi dei ribassi, grazie alla corretta interpretazione della norma, contenuti tra il 15% ed il 20% del corrispettivo nel suo complesso. Combinando la differenza del ribasso medio al peso delle spese tecniche rispetto al finanziamento si evince immediatamente che si sta discutendo del 1,5% dell’intero finanziamento, cifra di certo non determinante rispetto alle sorti di un appalto”.

Occhio alle cause civili

Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri rammenta, pure, che “la non applicazione della norma comporterà il moltiplicarsi di cause civili, con conseguenti potenziali costi non preventivati per le Pubbliche Amministrazioni, che inevitabilmente costituiranno debiti fuori bilancio. Il CNI è consapevole dell’insorgenza di numerose iniziative in tal senso in base a quanto appurato dai vari Ordini Territoriali”.

Nonostante gli stessi Tribunali di primo grado abbiano ormai chiarito il perfetto allineamento della Legge sull’equo compenso con la normativa europea e con quella nazionale sui contratti pubblici e benché sia anche chiaro operativamente cosa devono fare le stazioni appaltanti (determinare l’importo a base di gara sul Decreto Parametri ed escludere le offerte che ribassano la quota “compenso”) e i professionisti che partecipano alle gare (che possono ribassare solo la quota “spese e oneri accessori”), il CNI ha chiesto ai destinatari della Nota un “pronunciamento che, con estrema chiarezza, recepisca le logiche considerazioni che lo stesso Consiglio Nazionale ha avanzato in tutti i tavoli istituzionali e che sono esattamente in linea con la chiarezza della norma e con l’unica giurisprudenza attualmente in essere”.

In allegato la nota completa del CNI.

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