Abusi edilizi: tipologie, conseguenze e rimedi dal Consiglio di Stato

Una rassegna completa sugli istituti del Testo Unico Edilizia: stato legittimo, variazioni essenziali, abusi edilizi, ordine di demolizione, fiscalizzazione, sanatoria e condono

di Redazione tecnica - 17/05/2024

Una trattazione a 360° sugli abusi edilizi, sulla normativa in tema di edilizia e urbanistica, sugli aspetti procedimentali e processuali: dal concetto di stato legittimo dell’immobile, a quello di variazione essenziale e difformità, alle sanzioni come l'ordine di demolizione, fino alla sanatoria e al condono, la nuova rassegna del Consiglio di Stato “Abusi edilizi: tipologie, conseguenze e rimedi” offre una panoramica dell’evoluzione giurisprudenziale degli istituti anche in relazione agli interventi normativi succedutisi negli anni.

Abusi edilizi: la rassegna del Consiglio di Stato su tipologie, abusi e rimedi

Attraverso l’analisi degli aspetti sostanziali e dei profili procedimentali e processuali, la rassegna esamina le principali pronunce delle giurisdizioni superiori sul tema dell’abuso edilizio e dei mezzi offerti dall’ordinamento, sia al privato sia all’amministrazione, per porvi rimedio.

Queste le sezioni che compongono il documento:

  • 1. Inquadramento normativo
    • 1.1. Lo stato legittimo dell’immobile
      • 1.1.1. Ricostruzione dell’istituto
    • 1.2. Nozione di variazione essenziale
    • 1.3. L’abuso edilizio
  • 2. L’ordine di sospensione dei lavori
    • 2.1. Natura ed efficacia dell’ordinanza di sospensione
    • 2.1.1. La giurisprudenza amministrativa
    • 2.2.2. La giurisprudenza penale
    • 2.2.3. Punti di convergenza e profili di contrasto
  • 3. L’ordine di demolizione.
    • 3.1. Il fattore tempo: affidamento e onere motivazionale.
    • 3.2. L’incidenza del fattore tempo nel diverso caso di annullamento d’ufficio del titolo
    • 3.3. Natura vincolata dell’ordine di demolizione
    • 3.4. Ordine di demolizione delle opere realizzate in forza di permesso di costruire decaduto
  • 4. Inottemperanza all’ordine di demolizione
    • 4.1. Il quadro normativo.
    • 4.2. I principi espressi dall’Adunanza plenaria.
      • 4.2.1. Prima fase: attività possibili nei 90 giorni dall’intimazione
      • 4.2.2. Seconda fase: conseguenze dell’inutile decorso dei 90 giorni
      • 4.2.3. Terza fase: immissione in possesso
      • 4.2.4. Quarta fase: le sorti dell’immobile acquisito
    • 4.3. La sanzione pecuniaria ex art 31, comma 4 bis t.u. edilizia
    • 4.4. Destinatari dell’ordine di demolizione
    • 4.5. Notifica del verbale di inottemperanza
  • 5. Acquisizione al patrimonio pubblico
    • 5.1. Immobile sottoposto a sequestro
    • 5.2. Soggetti passivi del provvedimento di acquisizione.
      • 5.2.1. Omessa notifica agli eredi.
    • 5.3. Individuazione dell’area di sedime
    • 5.4. Ordine di sgombero di bene acquisito al patrimonio pubblico
  • 6. Fiscalizzazione dell’abuso
    • 6.1. Inquadramento normativo
    • 6.2. La giurisprudenza amministrativa
      • 6.2.1. Ipotesi di permesso di costruire annullato
      • 6.2.2. Ipotesi di opere eseguite in parziale difformità
      • 6.2.3. Ipotesi di opere eseguite in parziale difformità
      • 6.2.4. Tipologia dell’immobile
      • 6.2.5. Rapporto tra le diverse fattispecie di fiscalizzazione
    • 6.3. Gli approdi dell’Adunanza plenaria
    • 6.4. La giurisprudenza penale
  • 7. Accertamento di conformità
    • 7.1. La doppia conformità
    • 7.2. I principi espressi dalla Corte costituzionale
    • 7.3. Termine entro il quale si può proporre istanza
    • 7.4. Soggetti legittimati a presentare l’istanza
    • 7.5. L’onere della prova
    • 7.6. Immobili situati in area vincolata
    • 7.7. Le sorti del bene abusivo oggetto di procedura esecutiva
    • 7.8. Interventi ulteriori su immobili abusivi
  • 8. Il rilascio del titolo in sanatoria
    • 8.1. Il silenzio sulla domanda di accertamento di conformità
    • 8.2. Il silenzio nel procedimento per il rilascio del permesso di costruire
    • 8.3. Il silenzio nei procedimenti di condono edilizio
    • 8.4. Effetti della presentazione della domanda di sanatoria: differenze fra accertamento di conformità e condono
    • 8.5. Il regime della sospensione legale
  • 9. Aspetti processuali
    • 9.1. La tutela del terzo
    • 9.2. Controinteressati e legittimazione
    • 9.3. Rapporti fra vicende del giudizio penale e provvedimento amministrativo
    • 9.4. Contestazione in giudizio dell’abusività delle opere
  • 10. Conclusioni
    • 10.1. Aspetti sostanziali
    • 10.2. Aspetti processuali

La base normativa e concettuale: il Testo Unico Edilizia e lo stato legittimo

Di fondamentale importanza, per comprendere i successivi argomenti, è la prima parte dedicata all’inquadramento normativo, dove risulta centrale il concetto di stato legittimo dell’immobile.

Richiamando il d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, Testo Unico Edilizia), nel quale vengono riportate le disposizioni generali relative ai titoli abilitativi richiesti per la legittima realizzazione di attività edilizia - distinguendo fra: “Attività edilizia libera” (art. 6); “Interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata” (art. 6 bis); Attività edilizia delle pubbliche amministrazioni” (art. 7); “Interventi subordinati a permesso di costruire” (art. 10); “Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività” (art. 22); “Interventi subordinati a 3 segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire” (art. 23); “Permesso di costruire convenzionato” (art. 28 bis),- il principio cardine che presidia l’attività edilizia è che, salve le ipotesi di attività libera, per costruire è necessario un titolo edilizio, il quale attesta la legittimità del manufatto.

Ai sensi dell’art. 9 bis, rubricato “Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili”, «Ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dal presente testo unico, le amministrazioni sono tenute ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati».

Al fine di agevolare la prova dello stato legittimo dell’immobile, laddove si tratti di manufatti che insistono in loco da molti anni, il legislatore ha introdotto il comma 1 bis (aggiunto dall'articolo 10, comma 1, lettera d), numero 2), del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120), che consente di attingere ai titoli abilitativi relativi non solo alla sua originaria edificazione, ma anche alle sue successive vicende trasformative.

Esso stabilisce che «Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia».

Lo “stato legittimo dell’immobile”, dunque, riguarda una sua condizione permanente, preesistente alla stessa entrata in vigore della disposizione, da riferire a opere ante ‘67 ovvero in epoca ancor più risalente, nei centri urbani poi dotatisi di un regolamento che richiedeva la licenza edilizia per l’edificazione, o per cui esiste solo un principio di prova di un titolo edilizio, il cui originale o la cui copia non è più rintracciabile.

 

Le variazioni essenziali

La rassegna prosegue con la nozione di variazione essenziale, non definita dal diritto positivo ma elaborata dalla giurisprudenza, caso per caso, mediante l’esame delle varie tipologie di abuso.

È stato quindi affermato quindi che:

  • l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 del 1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso, potrebbe conoscere un'attenuazione, se non un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del permesso ma) per totale difformità (dal medesimo) ovvero per variazione essenziale ove fosse controversa e controvertibile — in punto di fatto — l'entità della variazione e fosse quindi necessario un accertamento specifico, in primo luogo nella sede amministrativa, meglio se in contraddittorio;
  • le variazioni essenziali dal permesso di costruire sono quelle caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal d.P.R. n. 380/2001, art. 32, le quali sono perciò soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo e autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante;
  • il mutamento di destinazione d'uso non autorizzato e attuato senza opere, dà luogo a una c.d. variazione essenziale sanzionabile, se e in quanto implichi una modifica degli standards urbanistici relativi a ciascuna delle categorie urbanistiche individuate nella fonte normativa statale in cui si ripartisce la c.d. zonizzazione del territorio;
  • il mutamento di destinazione d'uso non autorizzato, attuato senza opere edilizie o trasformazioni rilevanti, in luogo di culto comporta una c.d. variazione essenziale sanzionabile soltanto se e in quanto comportante una variazione dei carichi urbanistici, ritenuta sussistente nel caso di afflusso (anche potenziale) generalizzato e periodico di una moltitudine di persone per ragioni di culto; in caso contrario, il mutamento d'uso costituisce espressione della facoltà di godimento, quale concreta proiezione dello ius utenti, spettante al proprietario;
  • rientra nel concetto di "modifica sostanziale della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza", e quindi di variazione essenziale assoggettabile a sanzione demolitoria in virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, non solo lo spostamento del manufatto su un'area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista, ma anche ogni significativa traslazione dell'edificio in relazione alla localizzazione contenuta nelle tavole progettuali, capace di incidere sul rispetto delle prescrizioni normative in tema di distanze minime dalle strade o dai confini nonché sulla destinazione urbanistica dei suoli ;
  • l'essenzialità, o meno, della variazione risiede anche, ma non soltanto, nell'aspetto quantitativo. Una variazione essenziale si manifesta nella realizzazione abusiva d'un ampliamento che, pur senza creare un organismo edilizio nuovo ed incompatibile col progetto assentito e con la sua essenza, ne altera la struttura e le dimensioni sì da apparire la dilatazione strutturale, funzionale e spaziale di quanto invece sarebbe dovuto essere nella realtà.
  • per contro, la variazione non essenziale non si risolve nell'ampliamento di un'opera preesistente, cosa, questa, che non rende applicabile in modo automatico l'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, che, infatti, presuppone che vengano in rilievo gli stessi lavori edilizi posti in essere a seguito del rilascio del titolo abilitato e in parziale difformità da esso. Si tratta, perciò, d'un fenomeno complesso e diverso dal mero incremento di superfici e volumi, che entro ragionevoli limiti appare come una sorta di aggiunta alle dimensioni di progetto, che connota la fattispecie del medesimo art. 34, comma 2;
  • nel caso di interventi edilizi tali da comportare modifiche significative alla struttura e alla sagoma del manufatto preesistente è necessaria la presentazione di una istanza di rilascio del permesso di costruire venendo in considerazione una fattispecie di variazione essenziale ex art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente legittimità dell'ordine di demolizione dell'opera edilizia non assistita da titolo edilizio.

L’abuso edilizio: definizione e conseguenze

Altro concetto cardine è quello di abuso edilizio, ossia qualunque intervento effettuato in assenza o in difformità dal titolo edilizio.

Le tipologie di abuso edilizio sono individuate dal seguente gruppo di norme collocato nel Capo II del Titolo IV:

  • art. 31 “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”,
  • art. 32 “Determinazione delle variazioni essenziali”, secondo cui «l'essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:
    • a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;
    • b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
    •  c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza;
    • d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito;
    • e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali»;
  • art. 33 “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”;
  • art. 34 “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”;
  • art. 34 bis “Tolleranze costruttive”;
  • art. 35 “Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici”
  • art. 37 “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità”;
  • art. 38 “Interventi eseguiti in base a permesso annullato”.

Le conseguenze degli abusi edilizi: la sospensione dei lavori 

Cosa accade in caso di abusi edilizi? Il presupposto ricade nell’art  27, comma 1, t.u. edilizia che detta il principio generale in materia di vigilanza stabilendo che «Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi».

Il comma 3 attribuisce al dirigente o al responsabile dell’ufficio comunale competente il potere di adottare l’ordine di immediata sospensione dei lavori edilizi qualora sia stata rilevata l’inosservanza delle norme e delle prescrizioni vigenti in materia urbanistico-edilizia ovvero delle modalità esecutive dell’opera fissate nei titoli abilitativi. La sospensione ha efficacia fino all’adozione dei provvedimenti definitivi “da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori”.

Le conseguenze degli abusi edilizi: l'ordine di demolizione

Ai sensi dell’art. 27 del testo unico dell’edilizia in presenza di opere abusive di regola ne va ordinata la demolizione. Dispone, infatti, il primo periodo del secondo comma: «Il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi».

Particolarmente rilevante, nella definizione dell’ordine di demolizione è il fattore tempo che non esingue il reato di abuso edilizio, motivo per cui, per come disposto dall’Aduanza Plenaria del 17 ottobre 2017, n. 9, “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino".

Inoltre l’ordine di demolizione è un provvedimento a contenuto vincolato che non necessita né di comunicazione di avvio del procedimento né di particolare motivazione.

Infine, a disciplinare la scansione procedimentale dell’ordine di demolizione è l’art. 31, secondo cui il comune – anziché procedere esso stesso senz’altro alla demolizione o dopo avere attivato il procedimento previsto dall’art. 27 senza concluderlo – accerta l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32 e ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.

I successivi due commi dell’articolo 31 dispongono che:

  • se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita
  • l'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente».

Dunque, per espressa previsione di legge, la mancata esecuzione dell’ordine di ripristino impartito dal dirigente comunale comporta l’acquisizione gratuita del bene abusivo e dell’area di sedime al patrimonio del comune.

La fiscalizzazione degli abusi edilizi

Dopo avere richiamato gli art. 33, 34 e 38 del T.U. Edilizia, la rassegna ricorda che i presupposti dell’istituto della fiscalizzazione dell’illecito edilizio si pongono su un piano diverso da quelli della sanatoria sia perché esso trova il proprio fondamento nella impossibilità di rimuovere le conseguenze dell’illecito senza creare danni irreparabili alla parte di edificio eseguita in conformità al permesso a costruire, sia perché il pagamento delle sanzioni pecuniarie, se esclude che opere edilizie abusive possano essere legittimamente demolite, non ne rimuove, però, il carattere antigiuridico.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ripetutamente affrontato sia il tema dei presupposti per l’applicazione delle sanzioni alternative sia la collocazione temporale, all’interno della sequenza procedimentale relativa alla repressione dell’abuso edilizio, del provvedimento di applicazione delle suddette sanzioni, con esiti non sempre univoci, soprattutto per quanto riuguarda la sanzione alternativa in ipotesi di permesso di costruire annullato.

L’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere applicato:

  • nel caso di impossibilità di rimozione dei vizi formali o procedurali inerenti al rilascio del permesso di costruire;
  • nel caso di impossibilità di riduzione in pristino del bene, laddove il titolo edilizio sia stato annullato non per vizi formali o procedurali, bensì sostanziali.

Si tratta di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell'amministrazione e presuppone l’oggettiva impossibilità giuridica di attivare la convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21 nonies, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241: unica ed esclusiva fattispecie di cui si occupata la sentenza Cons. Stato, 7 settembre 2020, n. 17; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione in pristino dello stato dei luoghi.

L’accertamento di conformità

Capitolo a parte (il n. 7) è dedicato a un altro istituto fondamentale in materia di normativa edilizia: l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del Testo Unico edilizia, strumento utilizzato per porre rimedio all’abusività di un manufatto con uno strumenti diverso dalla demolizione e con finalità conservativa.

Dispone l’art. 36 del testo unico dell’edilizia:

«1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 1, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articolo 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».

Requisito di ammissibilità della sanatoria prevista dall’art. 36 è la doppia conformità, ovvero se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda: il provvedimento che concede la sanatoria deve limitarsi a “fotografare” la situazione esistente nei due citati momenti storici e verificarne la conformità agli strumenti vigenti ratione temporis, ma non può imporre prescrizioni che rendano conforme il manufatto a seguito di interventi futuri né possono essere considerati, ai fini del rilascio del titolo, strumenti urbanistici o normative edilizie in corso di approvazione (c.d. “sanatoria condizionata”).

L’art. 36 del testo unico dell’edilizia individua, quali legittimati a proporre l’istanza, “il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile”.

Il rilascio del titolo in sanatoria

Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell'opera abusiva alle prescrizioni urbanistico - edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all'epoca di realizzazione dell'abuso sia a quella di presentazione dell'istanza ex art. 36.

Il diniego di sanatoria deve indicare le disposizioni che si assumano ostative al rilascio del titolo e le previsioni contenute negli strumenti urbanistici, in modo da consentire all'interessato di rendersi conto degli impedimenti che si frappongono alla regolarizzazione e al mantenimento dell'opera abusiva e di confutare in giudizio, in maniera pienamente consapevole ed esaustiva, la legittimità del provvedimento impugnato.

Il silenzio sulla domanda di accertamento di conformità

Di norma il procedimento avviato con l’istanza di sanatoria è definito con un provvedimento espresso. La legge, tuttavia, attribuisce un preciso significato anche all’inerzia dell’amministrazione nel provvedere. Dispone, infatti, il comma 3 dell’art. 36 del testo unico che «Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.

Il silenzio nel procedimento per il rilascio del permesso di costruire

Nel procedimento per il rilascio del titolo edilizio in sanatoria il silenzio dell’amministrazione si atteggia in modo diverso da quanto accade nel procedimento per il rilascio del titolo ordinario. Infatti, l’art. 20, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, stabilisce che: «Decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso”.

Il silenzio nei procedimenti di condono edilizio.

L’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, al comma 18 dispone: «Fermo il disposto del primo comma dell'art. 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'art. 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento».

Tale disposizione si applica anche alla “Definizione agevolata delle violazioni edilizie” di cui all’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724. La giurisprudenza si è soffermata sul significato del silenzio sulle domande di condono edilizio presentate ai sensi delle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, affermando i seguenti principi:

  • in linea generale il tacito accoglimento della domanda di condono si differenzia dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale;
  • conseguentemente il silenzio assenso non si perfeziona per il solo fatto dell’inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria e del pagamento dell’oblazione, se non sopravviene la risposta del comune, occorrendo altresì l’acquisizione della prova, da parte del comune medesimo, della ricorrenza dei requisiti soggettivi e oggettivi stabiliti dalle specifiche disposizioni di settore, da verificarsi all’interno del relativo procedimento; in quest’ottica si ritiene inammissibile la domanda di accertamento della fondatezza della pretesa formulata in sede di giudizio avente ad oggetto l’inerzia del comune;
  • la domanda di condono deve, pertanto, essere corredata dalla prescritta documentazione indicata dalla legge essendo la produzione di tale documentazione indispensabile proprio al fine del riscontro dei requisiti soggettivi e oggettivi;
  • in particolare, sul piano oggettivo, la formazione del silenzio-assenso richiede quale presupposto essenziale, oltre al completo pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione, che siano stati integralmente dimostrati gli ulteriori requisiti sostanziali relativi al tempo di ultimazione dei lavori, all’ubicazione, alla consistenza delle opere e ad ogni altro elemento rilevante affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica dell’amministrazione comunale;
  • del pari, sotto il profilo soggettivo, deve essere dimostrata la legittimazione attiva del richiedente il condono

Va segnalato che, successivamente al completamento dell’opera abusiva, non sono utilizzabili la DIA o la SCIA presentate ed utilizzate come strumento di sanatoria giacché gli illeciti edilizi, ad eccezione dei casi contemplati dall’ art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere sanati soltanto in forza di titolo edilizio per condono straordinario o per accertamento di conformità.

 

Presentazione domanda di sanatoria: differenze fra accertamento di conformità e condono

La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è ripetutamente interessata degli effetti della presentazione della domanda di sanatoria, declinando i seguenti principi:  

  • mentre per il condono edilizio trova applicazione la tesi tradizionale della inefficacia della misura sanzionatoria e dell'obbligo di adozione di un nuovo provvedimento, la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità previsto dall'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 determina unicamente uno stato di temporanea quiescenza (sospensione temporanea degli effetti) del provvedimento sanzionatorio in precedenza emesso, il quale riprende vigore all'esito del diniego dell'istanza di regolarizzazione presentata dal privato;
  • alla base di tale conclusione è l'assunto secondo cui per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario dell'atto può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione della sua efficacia;
  • quindi a seguito della presentazione della domanda di sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, il ricorso proposto avverso l'ordinanza di demolizione non diventa improcedibile atteso che, se sull'istanza si forma il silenzio rigetto ovvero viene adottato un provvedimento di diniego espresso, la detta ordinanza di demolizione riprende la propria efficacia e, di conseguenza, è astrattamente idonea a fungere da atto presupposto e da causa giustificativa dell'atto di acquisizione gratuita e dell'immissione in possesso;
  • laddove le opere oggetto di ingiunzione di demolizione rientrino tra quelle per le quali è stata avanzata la domanda di condono edilizio, la presentazione di quest'ultima rende inefficace la sanzione urbanistica, dovendosi l'amministrazione pronunciare sulla domanda di condono edilizio, con la conseguenza che, ove l'istanza sia accolta, rimarrà definitivamente inoperante l'ingiunzione demolitoria e l'eventuale, successiva, acquisizione gratuita del bene al patrimonio del comune, mentre, per il caso di rigetto della domanda, il comune dovrà provvedere alla adozione di una nuova sanzione urbanistica;
  • il condono degli abusi edilizi ai sensi dell'art. 43, l. n. 47 del 1985, non è precluso dal provvedimento di acquisizione gratuita dell'immobile abusivo al patrimonio del comune, né sono preclusivi l'avvenuta trascrizione del provvedimento sanzionatorio e la semplice presa di possesso del bene senza modificazione della sua consistenza e destinazione da parte del comune, determinandosi invece una situazione incompatibile con la sanatoria solo quando all'immissione in possesso siano seguite la demolizione dell'immobile o la sua utilizzazione a fini pubblici;

Quindi, nell’ipotesi in cui siano rilevabili entrambe dette cause ostative, dalla affermata inefficacia dell'ingiunzione di demolizione deriva l'inefficacia dell'atto di acquisizione gratuita, costituendo la prima atto presupposto e causa giustificativa della seconda per l'ipotesi di inottemperanza.

Venuta meno l'efficacia dell'ingiunzione di demolizione, perde la sua ragione di giustificazione anche l'acquisizione gratuita. Il comune, in caso di rigetto del condono, dovrà adottare un nuovo ordine di demolizione e, per l'ipotesi di inottemperanza, provvedere all'adozione di un nuovo atto di acquisizione gratuita.

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