Criteri ambientali minimi: nel bando non basta il mero riferimento normativo ai CAM
Importante decisione del Consiglio di Stato: l’eterointegrazione della disciplina non è sufficiente e non è giustificabile con il principio del risultato
L’eterointegrazione del dato normativo all’interno della lex specialis, così come il riferimento al principio del risultato, non possono rappresentare delle esimenti per non richiamare in maniera dettagliata e coerente con le indicazioni del bando di gara i Criteri Ambientali Minimi richiesti per l’affidamento.
Questo perché solo il richiamo alle norme di riferimento si tradurrebbe in un riferimento meramente formale, quando invece i CAM attengono al profilo sostanziale e quindi al concreto oggetto dell’appalto.
Criteri Ambientali Minimi: le indicazioni del Consiglio di Stato sulla lex specialis
Sono concetti importanti e che dovranno guidare in futuro l’operato delle SA nella formulazione non solo della lex specialis, ma anche nei criteri di valutazione delle offerte. Perché se è vero, dicono i giudici di Palazzo Spada, che i criteri di valutazione sono rimessi alla discrezionalità della stazione appaltante, altrettanto fondamentale è il riconoscimento della qualità dell’offerta tecnica, che si lega al prinicipio del risultato.
Sulla base di questi presupposti quindi, con la sentenza del 27 maggio 2024, n. 4701, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello contro la sentenza del TAR Campania del 15 gennaio 2024, n. 377, in relazione a una gara per l’affidamento di un multiservizio tecnologico su 6 lotti.
Secondo la ricorrente, la gara sarebbe stata illegittima per violazione della disciplina dei criteri ambientali minimi e per altro, nei criteri di valutazione delle offerte, erano stati destinati solo 4 punti su 70 alla sostenibilità ambientale.
Il TAR aveva respinto tali censure sostanzialmente osservando che:
- il principio di eterointegrazione avrebbe fatto sì che i criteri ambientali minimi genericamente richiamati entrassero a far parte della legge di gara
- che la ricorrente avrebbe genericamente lamentato la mancata trasposizione specifica nella legge di gara, ma “non esplicita di quali carenze sia concretamente affetta la legge di gara”.
Da qui l’appello, ai fini del rispetto dell’art. 34 del d. lgs. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici) – fondato sul mero richiamo eterointegrativo ai decreti relativi ai criteri ambientali minimi e sul richiamo al principio del risultato, di fatto quale antagonista della effettiva applicazione della disciplina dei criteri ambientali minimi.
I CAM nel Codice dei Contratti Pubblici
Per dirimere la questione, il Consiglio ha richiamato la disposizione, ovvero l’art. 34, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, che prescrive espressamente “l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (….) ”.
Si tratta di un dato che per i giudici non è formale, ma piuttosto sostanziale, dal momento che le prescrizioni in questione mirano a conformare l’esecuzione della prestazione contrattuale.
Identica disciplina è contenuta, nonostante solo apparenti difformità testuali, nell’art. 57, secondo comma, del d. lgs. n. 36/2023 ("nuovo" Codice Appalti) che si pone in relazione di continuità con il carattere c.d. mandatory dei criteri ambientali minimi: anche in considerazione del rilievo che tale processo di successione di norme è stato segnato, medio tempore, dalla riforma del parametro costituzionale rappresentato dagli artt. 9 e 41 della Costituzione.
Secondo il Consiglio la gara è illegittima in quanto:
- non è possibile richiamare il principio della eterointegrazione del bando ad opera di norme imperative, così confermando la lacuna contenutistica della disciplina di gara. Essa limita gli effetti del richiamo ai decreti ministeriali alla “formulazione di un’offerta consapevole” e non anche alla coerente disciplina della valutazione delle stesse.
- lo scarso punteggio attribuito alla sostenibilità ambientale, conferma che i criteri ambientali minimi hanno avuto un ruolo, in sede di selezione dell’offerta migliore, solo in chiave accessoria, tant’è che dei CAM genericamente richiamati dalla legge di gara uno soltanto, quello relativo alla cura e alla manutenzione del verde, è stato tradotto in specifiche tecniche.
Tale conclusione è sintomatica di una incompleta percezione della nozione di “perseguimento dell’interesse pubblico”, obbligatoriamente richiesta dalla legge come condizionante il contenuto delle offerte e delle prestazioni.
Il principio di eterointegrazione e i CAM
In riferimento alla eterointegrazione della legge di gara, anche per effetto del rinvio in essa contenuto ai decreti ministeriali, il Consiglio ha richiamato la sentenza n. 8773/2022 nella quale si è precisato che “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell'obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell'esigenza di garantire "che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell'obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell'obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, "circolari" e nel diffondere l'occupazione "verde" (così, da ultimo, la sentenza n. 6934/2022). La previsione in parola, e l'istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l'evoluzione del contratto d'appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un "segmento dell'economia circolare"”.
Sulla base di questi presupposti, ne deriva che il ricorso alla eterointegrazione della legge di gara ad opera dei decreti che disciplinano gli specifici criteri ambientali non è sufficiente a far ritenere rispettato l’art. 34 del d. lgs. n. 50 del 2016.
Va conclusivamente osservato sul punto che la tesi della eterointegrazione:
- per un verso contraddice la tesi della SA sulla completezza della relativa documentazione;
- per altro verso ha l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai criteri ambientali, così contraddicendo la logica del risultato.
Il principio del risultato
E da qui l’altro tema fondamentale della sentenza appellata del T.A.R., ovvero il principio del risultato, utilizzato come argomento per respingere il ricorso di primo grado, specificando che l’”esigenza di garantire il conseguimento dell’obiettivo dell’azione pubblica (con il riconoscimento del prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto), essendo destinati a recedere quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato”, nel caso di specie andrebbe privilegiata l’esigenza di un sollecito affidamento e svolgimento del servizio.
Questa impostazione, che considera l’interesse della stazione appaltante e del singolo operatore alla presentazione dell’offerta e all’effettuazione della gara, trascura in realtà di considerare che il risultato avuto di mira dalla legge in questo caso non è “l’effettivo e tempestivo” svolgimento del servizio, ma lo svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali alle quali risultano funzionali i criteri ambientali minimi.
Ricorda il Consiglio che nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma uno “strumento a plurimo impiego”, funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente.
L'appalto punta a tutelare un'ampia sfera di interessi pubblici
Il che si pone in chiave di coerenza evolutiva rispetto all’originaria funzione, posto che si amplia l’area dell’interesse pubblico primario: che è sempre quello alla scelta del migliore offerente, ma non più tale solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, bensì anche sul terreno della capacità di concorrere a concretamente tutelare gli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione con la conseguenza di trasformare il contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica, sociale ed ambientale.
Come chiarito dalla Sezione nella recente sentenza n. 11322/2023, la nozione di risultato “anche alla luce del significato ad essa attribuito dal sopravvenuto d. lgs. n. 36 del 2023, (…) non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione”; (…) Se si considera tale, fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti”.
Non trova dunque giuridico fondamento la tesi per cui la positivizzazione in materia contrattuale del principio del risultato avrebbe sancito il primato logico dell’approvvigionamento, ma si rivolge invece alla effettività della tutela degli interessi di natura superindividuale la cui cura è affidata all’amministrazione, fra i quali quello della tutela ambientale assume un ruolo decisamente primario alla luce sia della richiamata Direttiva 2014/24/UE, che del riformato art. 9 della Costituzione.
Nella specifica materia dei criteri ambientali minimi, già la già richiamata sentenza n. 8773/2022 aveva affermato che il mero richiamo ai criteri ambientali da parte della legge di gara “non equivale a prospettare la conformità del risultato della gara allo scopo voluto dai parametri normativi”.
Ed è proprio la valorizzazione del profilo sostanziale a deporre nel senso della fondatezza del gravame: nella duplice prospettiva della necessità di un riscontro di effettività della cura degli interessi ambientali in sede di disciplina degli obblighi negoziali e della insufficienza del dato disciplinare meramente formale consistente nel generico richiamo ai criteri in questione.
A ciò, per i giudici va aggiunta la contrarietà al principio del risultato di una legge di gara che genericamente richiami una disciplina non declinata nelle specifiche tecniche, in vista di una successiva integrazione tale da incrementare il tasso di complicazione e di incertezza del contenuto degli obblighi negoziali.
Il ricorso è stato quindi accolto, con conseguente annullamento della gara per mancato rispetto della disciplina dei contratti pubblici sui Criteri Ambientali Minimi.
Documenti Allegati
Sentenza