Ante 67 e stato legittimo: il Consiglio di Stato sull’onere di prova della data
L’onere della prova della data di realizzazione dell’immobile antecedente a quella per cui non era necessario un titolo edilizio grava sul privato
La bozza di revisione del Testo Unico Edilizia (la nuova Disciplina delle Costruzioni) contiene un articolo (il 39, che difficilmente sarà mai approvato) mediante il quale sono considerati legittimi, anche in presenza di diverse disposizioni nella regolamentazione comunale vigente all’epoca, gli interventi edilizi eseguiti ed ultimati prima dell’1 settembre 1967 (data di entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765), ivi compresi quelli ricadenti all’interno della perimetrazione dei centri abitati o delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano individuate dallo strumento urbanistico all’epoca vigente.
Ante 67: la nuova disciplina delle costruzioni e il Salva Casa
Una disposizione molto discussa che avrebbe l’obiettivo di tirare la classica “riga” su una data importante, al fine di trovare una soluzione all’annosa questione che riguarda l’abusivismo diffuso sul patrimonio edilizio nazionale. Sempre questo articolo prevede che la prova della data di realizzazione entro l’1 settembre 1967 sia provato mediante adeguata documentazione, quali riprese fotografiche, estratti cartografici, planimetrie catastali, documenti d’archivio, o altro mezzo idoneo, non assumendo valore di prova le dichiarazioni testimoniali.
Nel frattempo che il legislatore possa decidere le sorti di questa imponente e tanto attesa riforma, il 29 maggio 2024 è approdato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 69/2024 (Decreto Salva Casa) con un nuovo pacchetto di modifiche al d.P.R. n. 380/2001 finalizzato a semplificare (soprattutto ma non solo) la gestione delle piccole difformità edilizie.
Ante 67 e stato legittimo: nuova sentenza del Consiglio di Stato
Non è un mistero che nella valutazione dello stato legittimo degli immobili, nel corso degli anni si siano registrati migliaia di interventi della giustizia amministrativa, soprattutto con specifico riferimento alla prova della data di realizzazione dell’intervento.
Argomento sul quale si è recentemente e nuovamente espresso il Consiglio di Stato con la sentenza 8 maggio 2024, n. 4149 che consolida un indirizzo pacifico e “mette in guardia” gli acquirenti dalle dichiarazioni dei venditori relative proprio all’”ante 1967”.
Nel caso di specie, infatti, viene contestato un ordine di demolizione di opere eseguite senza titolo edilizio e autorizzazione paesaggistica in area sottoposta a vincolo paesaggistico, confermato dal tribunale di primo grado. Sostanzialmente il ricorso in secondo grado è basato su due motivazioni:
- viene contestato che la prova del Comune circa la non visibilità del manufatto nelle foto aeree degli anni 1968 e 1977-1978, non sarebbe attendibile;
- viene riproposta la dichiarazione dei venditori che i lavori di costruzione dei fabbricati insistenti sull’area erano stati eseguiti nell’anno 1962 in conformità con la normativa edilizio-urbanistica all’epoca vigente.
L'onere di prova
Il Consiglio di Stato ha ricordato il principio consolidato della giurisprudenza per cui l’onere della prova della data di realizzazione dell’immobile, in particolare ai fini di provare che avrebbe dovuto essere realizzato in epoca per cui non era necessario un titolo edilizio, grava sul privato, sulla base dell’art. 64, comma 1, c.p.a..
Un orientamento basato sul principio di “vicinanza della prova”, essendo nella sfera del privato la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un'opera edilizia, in ragione dell'eventuale preesistenza rispetto all'epoca dell'introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi.
Sul tema, recentemente, la giurisprudenza ha attenuato il rigore dell’onere probatorio “secondo ragionevolezza”. Ovvero, nel caso in cui:
- da una parte il privato porti elementi “rilevanti” (come le aerofotogrammetrie) a sostegno della data di realizzazione dell’intervento;
- dall’altra la pubblica amministrazione non analizzi debitamente tali elementi o vi siano elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio;
non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti o troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici siano scarsi.
Sostanzialmente, nel caso in cui il privato porti elementi concreti, l’onere contrario della prova si sposta in capo all’amministrazione. Questo concetto, però, è applicabile appunto quando sussistano effettivamente elementi idonei a rendere un quadro probatorio rilevante della data di realizzazione dell’abuso, quali risalenti dati catastali, la natura dei materiali utilizzati, le testimonianze rese in altri giudizi. Anche le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sono ritenute utilizzabili purché in presenza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti.
Lo stato legittimo
Ciò premesso, nel caso oggetto della sentenza, sia l’attuale proprietario che i suoi danti causa non hanno fornito alcuna prova della data di realizzazione dei manufatti, neppure tramite indizi idonei.
Il Consiglio di Stato ricorda, pure, la definizione di stato legittimo (prima del Decreto Salva Casa che comunque non avrebbe cambiato le sorti del giudizio) all’interno della quale il legislatore ha dato un particolare valore probatorio ad alcuni atti pubblici e privati, anche se non direttamente riguardanti l’epoca di avvenuta realizzazione del manufatto, proprio per le difficoltà della prova, spesso di difficile acquisizione in relazione al lungo tempo trascorso agli avvenuti passaggi di proprietà, come nel caso di specie.
Tale disposizione (nella versione pre-D.L. n. 69/2024), con riguardo agli “immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio”, afferma che “lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
Sul punto, la Corte costituzionale (sentenza 21 ottobre 2022 n. 217) ha affermato che si tratta di previsione che individua in termini generali, la documentazione idonea ad attestare lo “stato legittimo dell'immobile”.
Tale disciplina consente dunque ai privati di provare anche “indirettamente” la data di realizzazione dell’opera, individuando alcuni atti anche di natura privata, il cui dato comune è che siano di natura documentale, escludendo quindi le dichiarazioni testimoniali.
La prova della data di realizzazione dell’intervento
Nel caso di specie non è stata raggiunta alcuna prova della data di realizzazione dei manufatti neppure facendo ricorso all’applicazione della disciplina, sostanzialmente di favore per i privati, del citato art. 9 bis comma 1 bis del D.P.R. 380 del 2001.
Infatti:
- il primo impianto catastale è avvenuto nel dicembre 2019, qualche giorno prima della stipula del contratto di compravendita;
- sugli immobili non sono stati effettuati precedenti interventi edilizi, prima di quelli relativi ad una richiesta di sanatoria del 2022;
- è stata presentata una CILA Superbonus nel 2022;
- non risulta mai presentata una domanda di condono, neppure ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che consentiva la sanatoria anche in aree con vincolo di inedificabilità assoluta se successivo alla realizzazione dell’opera;
- non sono stati depositati ulteriori atti o fotografie risalenti ai primi anni’60.
Sono state depositate in appello solo tre dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà che però - anche a prescindere dalla loro ammissibilità in secondo grado - fanno riferimento genericamente all’esistenza di una casetta in legno, da cui non si può desumere né la effettiva consistenza del manufatto di allora né se questo fosse il medesimo di almeno uno di quelli attuali (che sono comunque due anche se uno di modestissime dimensioni), anche considerata la struttura con materiale in legno e la posizione in riva al mare, che potrebbe non avere consentito il mantenimento dei medesimi manufatti per quasi sessanta anni, emergendo anzi da una delle dichiarazioni sostitutive già le condizioni di usura del legno nei primi anni’70.
Conclusioni
Secondo la giurisprudenza, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono di per sé sufficienti quale prova della data di ultimazione dei lavori, potendo essere utilizzate nel processo amministrativo solo in presenza di altri elementi probatori, precisi e concordanti, mentre in mancanza di idoneo riscontro, non essendo suscettibili di essere verificate, non rivestono alcun effettivo valore probatorio. Possono, quindi, costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione.
Non essendo stata fornita la prova da parte dei privati in ordine alla data di realizzazione dei manufatti in epoca anteriore al 1967, è anche irrilevante stabilire l’effettiva attendibilità del materiale fotografico utilizzato dal Comune e alla modesta dimensione dei manufatti, in quanto, come correttamente affermato dal giudice di primo grado, il Comune non era tenuto a fornire la prova della inesistenza dei manufatti in data successiva al 1967.
Rispetto alla preesistenza dell’opera all’anno 1963 sussistono solo, oltre alle dichiarazioni dei venditori nell’atto di vendita, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà che sono, come si è detto, comunque prive di riscontri probatori. In ogni caso da tali dichiarazioni non è comunque individuabile la originaria consistenza dei manufatti e se la “casetta” a cui i dichiaranti si riferiscono possa coincidere con almeno uno dei manufatti attuali.
Anche alle dichiarazioni rese nell’atto di compravendita, in quanto provenienti dalla parte direttamente interessata, anche se rese in un atto pubblico, non può essere dato alcun rilievo.
Come è noto, ai sensi dell’art. 2700 del codice civile, l’atto pubblico “fa piena prova, fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”, ma non della veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti e del contenuto intrinseco delle stesse. Ne deriva che anche tali dichiarazioni non sono idonee ex se ad assumere valore di prova.
In conclusione l’appello è stato rigettato e l’ordine di demolizione confermato.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 8 maggio 2024, n. 4149