La contrattazione collettiva nel nuovo Codice Appalti: criticità e soluzioni
Il Codice dei contratti ha fissato l'obbligo per la S.A. di applicare il CCNL in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro. Restano ancora dei dubbi applicativi
La disciplina dei contratti pubblici, come di recente innovata dal nuovo Codice (D.Lgs. n. 36/2023), si pone l’obiettivo di rafforzare la tutela dei lavori impiegati nell’appalto, imponendo alle stazioni appaltanti di indicare, nella documentazione di gara, il contratto collettivo applicabile alla commessa.
L’efficacia dei CCNL
Il contratto collettivo è l’accordo stipulato tra un datore di lavoro (o un gruppo di datori di lavoro) e un’organizzazione o più di lavoratori, allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro che dovranno essere rispettate nei rapporti di lavoro facenti riferimento a tale contratto.
I contratti attualmente stipulati dai sindacati sono dei contratti c.d. “contratti di diritto comune”, espressione dell’autonomia negoziale dei soggetti privati, idonei a produrre effetti solo nei confronti delle parti iscritte alle organizzazioni di rappresentanza degli interessi datoriali e sindacali che abbiano stipulato il contratto (art. 1372 c.c.).
I datori di lavoro possono scegliere il contratto collettivo da applicare ai loro lavoratori anche indipendentemente dal settore merceologico in cui l’azienda esercita la propria l’attività d’impresa (art. 39 Cost.), nonché decidere di non vincolarsi ad un determinato CCNL.
Ad ogni modo, per tutelare i lavoratori, la giurisprudenza e talune previsioni legislative, richiamano la contrattazione collettiva come parametro fondamentale per individuare i livelli minimi dei trattamenti economici e normativi da riconoscere al dipendente. È infatti sancito a livello costituzionale il diritto ad una retribuzione adeguata e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36 cost.).
La contrattazione collettiva e gli appalti pubblici
La normativa in materia di contratti pubblici, già da tempo, ha previsto che al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente (art. 11, D.Lgs. n. 36/2023 e art. 30 dell’abrogato D.Lgs. n. 50/16).
La rilevanza dei contratti siglati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative nell'ambito delle procedure di appalto pubblico (c.d. “contratti leader”) è peraltro confermata dal fatto che tali contratti sono anche punto di riferimento per la determinazione del costo del lavoro, sia nella fase progettuale dell'appalto ai fini della determinazione dei relativi costi (cfr. art. 41, comma 13, D.Lgs. n. 36/2023), sia nella successiva fase di aggiudicazione dell'appalto ai fini della individuazione delle c.d. offerte anomale (cfr. art. 110, D.Lgs. n. 36/2023).
Ma la giurisprudenza ha chiarito che le vigenti disposizioni non possono far sì che gli offerenti vengano vincolati al recepimento di un solo tipo particolare di C.C.N.L., per l’esigenza, altrettanto lecita, del datore di lavoro di organizzare in modo libero la sua attività d’impresa, potendo, invece, egli scegliere il contratto collettivo ritenuto più adeguato alla propria organizzazione aziendale (in tal senso Consiglio di Stato sez. V, sentenza 12 settembre 2019 n. 6148).
Si è quindi costantemente affermato che l’applicazione di un determinato contratto collettivo rientra nelle prerogative dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, risultando sufficiente che sia rispettata la coerenza del contratto nazionale applicato con l’oggetto dell’appalto posto in gara.
Nuovi obblighi nel Codice dei Contratti pubblici
Il nuovo Codice dei Contratti pubblici, all’art. 11 introduce un obbligo ulteriore per le stazioni appaltanti: la necessaria indicazione, nei documenti di gara, del contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto.
Quindi la P.A., al momento della indizione della gara d’appalto, dovrà individuare proprio quel contratto leader in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le attività oggetto dell’appalto e a queste strettamente connesso.
In continuità con gli orientamenti innanzi citati, il citato art. 11, al comma 3, consente comunque all’operatore economico di indicare un contratto differente, ma lo stesso dovrà comprovare che il contratto applicato garantisca ai dipendenti le medesime tutele di quello indicato dalla stazione appaltante.
Ebbene, questo implica che la stazione appaltante, non solo dovrà valutare la coerenza del contratto applicato dall’aggiudicatario con l’oggetto dell’appalto posto in gara, ma dovrà spingersi oltre, fino a entrare nel merito dell’equivalenza delle tutele garantite ai lavoratori.
Viene quindi spontaneo domandarsi se la stazione appaltante abbia le competenze per effettuare tali valutazioni.
Si rammenta in proposito che la giurisprudenza, in passato, aveva espressamente affermato che “né alla stazione appaltante né tantomeno al giudice amministrativo compete lo scrutinio di legittimità di un determinato contratto collettivo (o la verifica della capacità del singolo contratto collettivo di derogare in peius ad altri contratti collettivi), questa essendo una questione rimessa alla cognizione del giudice del lavoro. In presenza di un contratto collettivo efficace e coerente con l’appalto oggetto di gara, non può impedirsi a un operatore economico di porre i relativi parametri retributivi alla base della propria offerta economica” (Tar Calabria, Catanzaro, sez. I, sentenza del 31 luglio 2020, n.1404).
Inoltre, la normativa, da un lato, per l’individuazione del costo del lavoro, richiama le tabelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che prevedono un costo medio del lavoro, calcolato sulla base di diversi contratti collettivi, mentre dall’altra indica come inderogabili le condizioni (anche retributive) fissate da un unico CCNL, indicato dalla stazione appaltante.
Le indicazioni della recente giurisprudenza
Sono poche le sentenze che hanno già affrontato le criticità connesse alla nuova previsione di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 36/2023; peraltro le uniche pronunce sul tema paiono confermare un clima di incertezza sul nuovo obbligo di indicare il CCNL applicabile all’appalto.
Significativa la recente sentenza n. 2137 del Tar Catania datata 6 giugno scorso, con sui si è affermato che la omessa indicazione nella lex specialis del contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato, non precluderebbe tout court la possibilità per gli operatori di formulare un’offerta adeguata.
La pronuncia stupisce, in quanto si pone in netta contrapposizione con il dato letterale dell’art. 11, D.Lgs. n. 36/2023; tuttavia, essa sembra in linea con gli orientamenti precedenti e con il principio di libertà di iniziativa economica, citato anche nella relazione illustrativa al Codice.
Nella sentenza si legge infatti che l’omissione risulterebbe irrilevante ai fini partecipativi in quanto l’operatore, ai sensi dell’art. 11, commi 1 e 3, potrebbe comunque indicare un differente contratto, a condizione che questo assicuri un certo standard di tutela. Ma come individuare tale standard di tutela non viene indicato, lasciando aperta la questione se risulterebbe sufficiente la coerenza del contratto nazionale applicato con l’oggetto dell’appalto posto in gara.
Peraltro, la medesima sentenza si spinge fino a ritenere irrilevante anche la mancata quantificazione del costo del lavoro, che si potrebbe ricavare, secondo il giudice, dalle tabelle ministeriali. Anche tale punto non sembra convincente, posto che la correttezza della base d’asta non può prescindere da una stima delle ore di lavoro e dalle professionalità richieste per l’esecuzione dell’appalto.
La necessità di non attribuire all’art. 11 del Codice una interpretazione eccessivamente restrittiva, è stata confermata anche dal Tar Brescia con Ordinanza n. 89/2024, secondo la quale “occorre evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza e al principio di massima partecipazione. Si ritiene pertanto che un’impresa possa mantenere il proprio CCNL anche in una gara che in base alle ripartizioni della contrattazione collettiva si collocherebbe in un altro settore economico, purché, secondo una valutazione complessiva (giuridica ed economica), il trattamento dei lavoratori impiegati in tale gara non sia deteriore rispetto a quello dei CCNL individuati dalla stazione appaltante, e vi sia corrispondenza tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto”.
Inoltre, la citata ordinanza indica che “non è necessaria la parità di retribuzione, in quanto tale condizione sarebbe equivalente all’imposizione di un CCNL unico”.
Emerge dunque la difficoltà di attribuire un significato a concetti non definiti puntualmente dalla norma, come quello di “tutele equivalenti”.
A tale incertezza ha cercato di porre rimedio l’ANAC, che nella relazione illustrativa al Bando tipo n. 1 (delibera n. 309/2023) ha fissato i parametri per effettuare il raffronto tra le tutele previste nei diversi contratti, ritenendo che l’equivalenza possa sussistere in caso di scostamenti limitati a due dei dodici parametri indicati. Ma giustamente si potrebbe dubitare del valore vincolante di tale atto, anche tenuto conto che l’ANAC è una autorità amministrativa, priva di potere legislativo.
Conclusioni
Concludendo, si rileva che è certamente apprezzabile la finalità del nuovo Codice di rafforzare le tutele per i lavoratori, ma sono davvero numerosi i dubbi che il citato articolo 11 ha sollevato e che dovranno essere chiariti, ad esempio:
- sarà possibile per la stazione appaltante indicare più contratti collettivi alternativamente applicabili? Tali contratti alternativi dovranno necessariamente assicurare tutele equivalenti?
- è possibile per gli operatori economici, per provare l’equivalenza delle tutele, adeguare i singoli rapporti di lavoro alle garanzie previste nel contratto leader mediante accordi ad personam con i lavoratori?
- Qual è il contenuto della dichiarazione di equivalenza delle tutele? L’operatore deve esplicitare tutti gli elementi di raffronto indicati dall’ANAC nella relazione illustrativa al Bando tipo n. 1 (delibera 309/2023)?
- È legittima una clausola che richiedere l’asseverazione di un professionista esperto sulla dichiarazione di equivalenza?
- Si può impugnare un bando qualora non indichi il contratto collettivo più rappresentativo? Chi sono i soggetti legittimati a proporre una simile impugnazione? Anche i lavoratori?
Un aiuto operativo per individuare il contratto collettivo stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, può giungere dall’utilizzo dell’applicativo online denominato “Classificazione Appalti”, ideato dallo Studio Albonet e disponibile gratuitamente sul sito CodiceAppalti.it
Trattasi del primo strumento di ricerca in grado di suggerire alle Stazioni Appaltanti e agli Operatori economici i ccnl strettamente connessi con l’attività da affidare. Basterà digitare alcune parole di ricerca che identificano l’oggetto dell’appalto e il sistema procederà, per step successivi, a:
- individuare i bandi pubblicati in passato (oltre 300 mila) che con più frequenza contengono tali parole nella descrizione dell’appalto;
- quindi a selezionare il cpv più ripetuto nei bandi selezionati;
- da cui, per corrispondenza, ad individuare i codici Ateco delle attività oggetto di affidamento;
- dai codici Ateco, per corrispondenza, ad estrarre il CCNL applicabili ai lavoratori di aziende che adottano tali codici Ateco
Per ogni CCNL estratto, il sistema indicherà: il Codice del contratto, il Settore e Sotto Settore; i Firmatari Datoriali; il Numero Aziende e il Numero di Lavoratori rappresentati; il Primo deposito al CNEL e la Scadenza Contrattuale.