Testo Unico Edilizia e Salva Casa: disamina e proposte

Dal Presidente Tecnojus, Centro Studi tecnico-giuridici, Arch. Romolo Balasso, una disamina delle disposizioni correttive previste dal Salva Casa sul Testo Unico Edilizia

di Romolo Balasso - 03/07/2024

Si apprende che il Decreto Legge 29 maggio 2024, n. 69, denominato “salva casa”, è stato oggetto di diverse proposte correttive, auspici ed aspettative. Fermo il comune convincimento che la disciplina urbanistico-edilizia debba essere oggetto di una riforma organica e complessiva, e meglio coordinata con le altre discipline incidenti (es. quella paesaggistica), le proposte che si sono potute leggere sulla stampa riguardano fondamentalmente aspetti di dettaglio.

Disamina e proposte dal Centro Studi Tecnojus

Il nostro Centro Studi è del parere che la disciplina statale in suddetta materia, inerente quella di legislazione concorrente del governo del territorio, debba rimanere nell’alveo dei principi fondamentali.

Si ritiene condividere una nostra analisi del D.L. n. 69/2024, svolta per alcuni Ordini e Collegi professionali, partendo dal fatto che il decreto si è posto l’obiettivo di superare le incertezze interpretative delle disposizioni normative incidenti sulla riqualificazione e la valorizzazione economica degli immobili e delle unità immobiliari, ovvero le incertezze applicative che rendono problematica l’attività degli enti locali, cittadini ed imprese.

L’analisi a seguire, pertanto, potrebbe risultare utile anche ai fini delle attese riforme.

Osservazioni: Attività edilizia libera (art. 6 TUE)

La prima novella riguarda la possibilità di installare le VEPA anche nei portici rientranti all’interno dell’edificio. Si tratta di un’esigenza verosimilmente derivata dal fatto che l’elevato dettaglio della norma, come è d’uopo, ha determinato quell’irrigidimento che induceva una sua “stretta” interpretazione, si da escludere i portici.

La seconda modifica riguarda l’inserimento di una ulteriore categoria di opere costituenti attività edilizia libera, e cioè le tende da sole, tende a pergola, pergotende che già risultavano incluse nell’ambito degli elementi di arredo delle aree di pertinenza degli edifici di cui alla lettera e-quinquies (cfr. d.m. 2 marzo 2018, glossario unico per l’attività edilizia libera, voce n. 50).

Il fatto che dette strutture fisse con tenda, anche impermeabile, siano state espunte dalle aree di pertinenza degli edifici, prevedendo per esse una mera condizione di “annessione” agli immobili o alle unità immobiliari, potrebbe generare questioni interpretative circa la possibilità o meno della loro realizzazione anche in aree contigue o non contigue ai predetti immobili o unità immobiliari.

In altri termini, la novella potrebbe dare ad intendere che dette strutture abbiano natura pertinenziale in senso civilistico (cfr. art. 817) e non in senso urbanistico-edilizio come spesso sottolineato dalla giurisprudenza (sia amministrativa che penale).

Ancorché precisato nell’alinea del primo comma dell’art. 6 del TUE, appare ragionevole ritenere che dette strutture fisse, da intendere come stabilmente e permanentemente infisse al suolo, si qualifichino come costruzioni rilevanti ai fini delle distanze legali (art. 873 c.c., art. 9 d.m. n. 1444/1968, Codice della strada e regolamento attuativo).

Tuttavia, la novella condiziona l’inclusione nell’attività edilizia libera a riscontri e/o valutazioni discrezionali, in quanto impone che “devono avere caratteristiche tecnico- costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e devono armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche”.

Infatti, si tratta di espressioni indefinite per cui possono essere diversamente intese a livello esecutivo in ragione del fatto che esprimono delle “variabili” (concettuali).

Ad esempio, le preesistenti linee architettoniche possono essere riferite agli immobili con i quali stabiliscono la relazione di annessione, oppure agli immobili del contesto nel quale vengono installate le strutture.

L’impatto visivo e l’ingombro apparente, per continuare con l’esempio, potranno essere ritenuti ridotti al minimo solo sul giudizio che lo riterrà tale e non anche in riscontro di parametri oggettivi, quali un dato rapporto dimensionale riferito al contesto.

Del resto, l’impatto e l’ingombro di una struttura non sembra dipendere dall’opera in sé considerata, bensì dal rapporto che stabilisce con il proprio contesto, per cui una struttura delle medesime dimensioni fisiche e delle medesime caratteristiche tecnico- costruttive potrebbe risultare impattante/ingombrante in un contesto e non in altri. Il fatto che sia il cittadino o l’impresa a porre in essere l’attività nel presupposto valutativo discrezionale che la stessa non sia impattante/ingombrante potrebbe incorrere in una diversa valutazione discrezionale da parte della P.A. e quindi compiere un’attività abusiva.

Osservazioni: stato legittimo degli immobili (art. 9-bis, comma 1-bis, TUE)

La novella normativa apporterebbe una semplificazione e considererebbe un aspetto normativamente previsto ma precedentemente escluso dallo stato legittimo.

Riguardo alla semplificazione, il decreto-legge sembra recepire l’aspettativa giuridicamente qualificata degli interessati destinatari di un provvedimento favorevole da parte della Pubblica Amministrazione.

Infatti, lo stato legittimo di cui al primo periodo non è più quello stabilito dalla sequenza di titoli abilitativi intervenuti, a partire da quello di costruzione o di legittimazione della stessa, bensì dal solo ultimo titolo abilitativo che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, oltre quelli parziali successivamente intervenuti.

L’obiettivo è stato conseguito sostituendo la congiunzione “e” con la disgiunzione “o”. Tuttavia, tale semplificazione non risulta apportata anche per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, per cui per questi immobili lo stato legittimo rimane essere quello desumibile dal primo accatastamento e/o altri documenti probatori e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare.

Riguardo all’aspetto normativamente previsto e precedentemente escluso dallo stato legittimo, si tratta della c.d. “fiscalizzazione” delle parziali difformità non sanabili per accertamento di conformità e non demolibili per il pregiudizio che ne deriverebbe alla parte conforme.

Fatta salva l’ipotesi contemplata dall’art. 38 del TUE, relativa agli interventi eseguiti in base a permesso annullato, la sanzione amministrativa in luogo della demolizione è considerata dagli articoli 33, comma 2, e 34 comma 2.

La c.d. fiscalizzazione stabilita da questi due articoli, infatti, diversamente da quella prevista dal succitato art. 38 (cfr. comma 2), l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata non produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36.

In effetti, la giurisprudenza è unanimemente concorde nel ritenere che la fiscalizzazione non produce la sanatoria della parziale difformità, per cui l’edificio rimane “abusivo”, nel senso che non verserebbe nello stato legittimo con tutto ciò che ne consegue.

La novella normativa, pertanto, sembra risolvere soltanto quest’ultimo aspetto, e cioè il fatto che il pagamento della sanzione di fiscalizzazione concorre nello stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare.

Tuttavia, mancando disposizioni analoghe a quelle del comma 2 dell’art. 38, le fiscalizzazioni non producono i medesimi effetti del titolo abilitativo in sanatoria, per cui rimane l’abusività pur concorrendo a realizzare lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare.

A parte alcune imprecisioni (es. l’art. 38 del TUE non prevede il rilascio o la formazione di alcun titolo abilitativo o di legittimazione dell’intervento eseguito in base a permesso annullato), altre precisazioni (e cioè che tra i titoli del primo periodo sono da includere anche i titoli abilitativi per accertamento di conformità) e correlazioni (e cioè che nella determinazione dello stato legittimo concorrono anche le tolleranze costruttive, come già originariamente previsto dal comma 3 dell’art. 34-bis, del TUE), il decreto-legge non affronta altre, e forse ben più gravi, problematiche interpretative ed applicative, non ultime quella del rapporto tra l’immobile con le unità immobiliari e quella relativa alla nozione di “stato” da considerare giuridicamente rilevante.

Infatti, il decreto-legge non risolve il diverso intendimento rinvenibile presso le Pubbliche Amministrazioni di accettare o meno la dichiarazione di stato legittimo della sola unità immobiliare oggetto di intervento, senza quella relativa all’intero immobile (ovvero riguardante le c.d. parti comuni, edificate e non).

Parimenti, il decreto-legge non interviene sulla nozione di stato da considerare in quello legittimo, ovvero sul risolvere la problematica circa l’esistenza o meno di parametri, elementi, aspetti da considerare o meno in ordine alla loro rilevanza giuridica derivante dalla disciplina conformativa.

Anzi, la novella della disciplina delle tolleranze costruttive/esecutive, potrebbe far considerare come giuridicamente rilevante tutti gli “elementi o aspetti” non ricompresi nel dettaglio normativo apportato alle tolleranze esecutive.

Osservazioni: mutamento d’uso urbanisticamente rilevante (art. 23-ter TUE)

L’articolo 23-ter introdotto nel 2014, ha specificato i mutamenti urbanisticamente rilevanti della destinazione d’uso, ritenendo tali, con o senza opere a ciò preordinate, ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare ad una categoria funzionale diversa tra quelle elencate.

Così stabilendo al primo comma, unitamente al terzo, laddove specifica che il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito, la disposizione ha dato ad intendere che sono possibili forme di utilizzo diverse nell’ambito di una stessa categoria funzionale.

Siffatta previsione normativa, se appariva sin subito coerente (sotto il profilo logico) con le categorie funzionali “duplici”, come quella “produttiva e direzionale”, nel senso che risulta consentito il mutamento d’uso di un immobile da produttivo a direzionale, non così accadeva (e accade), invece, nell’ambito di una categoria “mono” funzionale, come la “residenziale”, o la “commerciale”.

Infatti, diventa difficile stabilire quale mutamento di destinazione d’uso, rientrante nella categoria funzionale residenziale, sia possibile realizzare nell’ambito della medesima categoria funzionale residenziale. Sembra ragionevole ritenere che, forse, la problematica riguarda la diversa forma di utilizzo degli spazi nell’ambito di una stessa categoria funzionale.

Più nello specifico, la problematica riguarderebbe il mutamento delle “superfici accessorie” in “superfici utili”, ovvero dei vani accessori in vani utili.

Ad ogni modo, i nuovi commi introdotti con il decreto-legge ri-propongono la questione interpretativa della locuzione “senza opere”, per la quale si porrebbe l’esigenza di una definizione.

l nuovo comma 1-bis, inoltre, sembra introdurre una restrizione rispetto a quanto consentiva il previgente comma 3 (salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito), per il fatto che il cambio d’uso sempre consentito per le unità immobiliari viene ora limitato alla condizione “senza opere”.

La suddetta limitazione risulterebbe confermata anche dal novellato comma 3 (Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso di un intero immobile all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito), in quanto ritiene sempre consentito il mutamento d’uso all’interno della stessa categoria funzionale dell’intero immobile, con o senza opere.

Tuttavia, il fatto che prima della novella in commento era ritenuto sempre consentito il mutamento di destinazione all’interno di una stessa categoria funzionale, nel senso che non poteva qualificarsi ‘urbanisticamente rilevante’, con la specificazione “senza opere” porterebbe ad intendere che il medesimo mutamento all’interno della stessa categoria funzionale, ma con opere, è da ritenere ‘urbanisticamente rilevante’.

Sembra ragionevole ritenere che la rilevanza urbanistica del mutamento d’uso degli immobili o delle singole unità immobiliari sia dovuta per una parte al diverso e più gravoso carico urbanistico di tipo quantitativo normativamente previsto dal DM n. 1444/1968 (ad oggi vigente), per l’altra dalla loro considerazione o meno della disciplina urbanistica di zona. In proposito si ritiene ricordare che la giurisprudenza include nel carico urbanistico anche profili non oggettivi (per il fatto che non sono ancorati a parametri oggettivi sul quale fare i riscontri) e cioè una presupposizione di una maggiore intensità d’uso delle urbanizzazioni.

Osservazioni: bene abusivo acquisito di diritto al patrimonio comunale (art. 31, comma 5, TUE)

Ferma l’aggiunta degli interessi culturali e paesaggistici, la riconosciuta facoltà del Comune di poter alienare il bene acquisito di diritto al patrimonio comunale, a seguito dell’accertata inottemperanza dell’ordine di demolizione, rende esplicito il fatto che non si tratta di un’acquisizione al patrimonio indisponibile, ovvero, a contrariis, che l’acquisizione è al patrimonio disponibile.

Riguardo all’esclusa partecipazione del responsabile dell’abuso alla procedura di alienazione, sembra consentire la partecipazione del proprietario non responsabile, oltre che di altri soggetti che potessero trovarsi in una qualche relazione di interesse con il responsabile dell’abuso.

Osservazioni: entità della sanzione pecuniaria di fiscalizzazione (art. 34, comma 2, TUE)

Fermo restando la discrezionalità legislativa, il fatto che sia stata mantenuta l’entità della sanzione pecuniaria di fiscalizzazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità (cfr. art. 33, comma 2, del testo unico edilizio), ed aumentata quella per le difformità parziale, potrebbe porre questioni di ordine sistematico, anche in relazione alle novelle apportate al TUE con la modifica dell’art. 36 e con l’introduzione dell’art. 36-bis.

Infatti, l’art. 33 è riferito alla totale difformità, la quale consiste (cfr. art. 31, comma 1) nella “realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso di costruire, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente realizzabile”.

I valori in gioco tra le ipotesi dell’art. 33 e quelle dell’art. 34, potrebbero far presumere che nelle parziali difformità siano inferiori e tali da giustificare la differenziazione, l’esperienza non depone in tal senso (si pensi alla fiscalizzazione di abusi riferiti ad edifici remoti, costruiti anche a maggior distanza dai fabbricati stabilita dalla disciplina vigente al momento della loro realizzazione - es. 4 m. anziché 3 ex art. 873 c.c. - ma comunque a distanza inferiore dalla distanza prescritta dalla disciplina sopravvenuta ed ancora vigente - 10 m. tra pareti e pareti finestrate di edifici antistanti ex art 9 dm n. 1444/1968).

In definitiva, si osserva che il decreto-legge ha deciso di sanzionare più pesantemente ciò che considera di minor rilevanza, e cioè le difformità parziali, assumendole come criterio discretivo della diversa disciplina dell’accertamento di conformità (tra art. 36 e il nuovo art. 36-bis).

Osservazioni: nuove tolleranze costruttive ed esecutive (art. 34-bis, TUE)

Probabilmente la novella più significativa e complessa, apportata al TUE dal decreto- legge 69/2024, riguarda le tolleranze costruttive ed esecutive di cui all’art. 34-bis, introdotto con il c.d. decreto semplificazione n. 76/2020.

In argomento, le incertezze interpretative che rendono problematica l’applicazione tali da rendere necessario il loro superamento sono in numero e qualità verosimilmente maggiore di quelle considerate dal decreto-legge.

Infatti, a prescindere dalle terminologie presenti, che non corrispondono alle definizioni uniformi allegate all’intesa in CU del 20 ottobre 2016 (stante l’obbligo assunto con l’art. 2, comma 2), e ancorché non recepite in tutte le regioni, la superficie coperta (ved. definizioni uniformi voce n. 8) risulta essere, notoriamente, un parametro urbanistico riferito alla costruzione fuori terra, e non alla singola unità immobiliare.

Così accade anche per la “cubatura”, sempre che la stessa coincida, come dovrebbe, con il parametro urbanistico della volumetria complessiva (cfr. definizioni uniformi voce n. 19), espressione che ricorre, peraltro, nelle definizioni degli interventi edilizi di cui all’art. 3 del TUE.

Per quanto concerne l’altezza, che risulta essere, sempre notoriamente, un parametro urbanistico oppure un parametro edilizio, quella riferibile alla singola unità immobiliare potrebbe essere il parametro edilizio dell’altezza utile (cfr. definizioni uniformi, voce n. 29) oppure il parametro edilizio dell’altezza lorda (cfr. definizioni uniformi, voce n. 26), oppure ancora il parametro igienico-sanitario dell’altezza minima interna (cfr. art. 1 del d.m. 5 luglio 1975), in quanto le altre altezze rinvenibili nelle definizioni uniformi (del fronte - voce n. 27, e dell’edificio - voce n. 28), ovvero nella disciplina urbanistica (strumenti urbanistici) sono parametri urbanistici riferiti all’edificio (definito a sua volta alla voce n. 32), ovvero all’edificio unifamiliare (definito alla voce n. 33).

La mancata precisazione normativa, renderà interpretabile la nozione di “interventi realizzati entro il 24 maggio 2024”, come già successo in materia di condono edilizio di cui alla legge n. 47/1985 (per quanto concerne la nozione di costruzioni ... che risultino ultimate entro la data del 1 ottobre 1983), dei piani casi delle regioni di cui all’intesa in CU del 1 aprile 2009 (per quanto concerne la volumetria esistente), ed anche della definizione dell’intervento di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lettera d) del TUE (relativamente alla nozione di “edifici esistenti” che si possono demolire e ricostruire).

Il fatto che il decreto abbia parametrato la percentuale di tolleranza (c.d. dimensionale) alla superficie utile delle unità immobiliari, si ripropone la problematica definitoria di tale tipo di superficie per le regioni che ancora non hanno recepito le definizioni uniformi, fermo restando che per il Governo rimarrebbe l’impegno assunto nella succitata intesa Stato/Regioni (Rep. Atti n. 125/CU, art. 2, comma 2) di utilizzare dette definizioni nei propri provvedimenti.

Il decreto-legge, sembra distinguere tra tolleranze costruttive (riferite ai parametri considerati ai commi 1 e 1-bis) e tolleranze esecutive (riferite ai commi 2 e 2-bis).

Tuttavia, nonostante le incertezze interpretative e le differenze applicative già manifestatesi per le tolleranze di cui al comma 2 (es. cosa intendere per irregolarità geometriche, per minima entità, per diversa collazione di impianti, per opere interne e relativa diversa collazione), il nuovo comma 2-bis sembra aggiungerne di nuove.

Infatti, il minore dimensionamento dell’edificio potrebbe essere riferito ad ogni singola misura, oppure ai soli parametri urbanistici giuridicamente rilevanti (in quanto considerati dalla disciplina conformativa) della superficie coperta e/o della volumetria complessiva e/o dell’altezza da utilizzare per il calcolo del predetto volume totale.

Ancora diversità interpretative sembrano ragionevolmente porsi sulla nozione di “irregolarità esecutive di muri esterni ed interni” (e come queste si differenziano dalle irregolarità geometriche del comma 2), sugli “errori progettuali corretti in cantiere” e sugli “errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere”, che richiederebbero anche una loro definizione quali-quantitativa (ossia di concetto, di principio).

Inoltre, sarebbero da definire concettualmente gli “elementi architettonici non strutturali” la cui mancata realizzazione è stata fatta rientrare nelle tolleranze esecutive, posto che la diversa realizzazione dei medesimi elementi non costituirebbe tolleranza esecutiva.

Pure la difforme ubicazione delle aperture interne, ammesso che siano da ritenere un elemento giuridicamente rilevante ai fini della conformità dell’attività edilizia (rispetto alla disciplina conformativa), darebbe ad intendere che altri elementi edilizi similari siano da ritenere esclusi dalle tolleranze (es. la diversa posizione del serramento rispetto allo spessore della muratura, la diversa posizione di scarichi, canne fumarie, canne di ventilazione, sfiati, aperture di aerazione permanenti nei locali ove sono installati apparecchi alimentati a gas, eccetera).

In altri termini, l’elevato dettaglio della norma giuridica, come già osservato all’inizio della presente relazione, rischia di irrigidirla e, conseguentemente di indurre la “stretta” interpretazione. Pertanto si ritiene formulare l’auspicio di perseguire la produzione di norme prestazionali in luogo di quelle oggettuali-descrittive, già rivelatesi inopportune sin dal c.d. “nuovo approccio” della normativa europea (circa metà degli anni 80), e che già caratterizzano sia le norme tecniche per le costruzioni che quelle per l’efficienza energetica.

Di estrema problematicità si ritiene sia la disposizione del comma 3-ter, per il fatto che il tecnico abilitato non risulta competente, non disponendo delle conoscenze adeguate per una asseverazione in tal senso (vieppiù sotto l’ammonimento della legge penale), per verificare la sussistenza di possibili limitazioni dei diritti di terzi riferite alle tolleranze, né di provvedere alle attività necessarie per eliminare tali limitazioni presentando, ove necessario, i relativi titoli. La materia dei “diritti” è riservata alle professioni forensi.

La pretesa normativa del comma 3-ter, porta in ogni caso ad intendere che non costituiscono tolleranze costruttive/esecutive ai fini edilizi-urbanistici quelle “difformità” e/o “scostamenti dimensionali” comportanti limitazioni dei diritti dei terzi (che potrebbero anche essere usucapite), per il fatto che si impone al tecnico abilitato di provvedere alle attività necessarie per eliminarle, anche presentando i titoli abilitativi edilizi eventualmente necessari (forse si voleva intendere “predisponendo quanto occorrente per la presentazione dei titoli abilitativi eventualmente necessari”).

Osservazioni: accertamento di conformità (art. 36 TUE)

L’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del testo unico edilizio è stato riferito agli interventi eseguiti in assenza o in totale difformità, oppure con variazioni essenziali dal permesso di costruire o dalla SCIA ad esso alternativa.

In altre parole, sono state espunte dall’accertamento della doppia conformità, urbanistica ed edilizia, le parziali difformità dal permesso di costruire ovvero dalla SCIA ad esso alternativa. Presupposto della modifica all’articolo in parola è l’autonoma disciplina dell’accertamento di conformità per le parziali difformità.

Osservazioni: accertamento di conformità nelle ipotesi di parziale difformità (art. 36-bis TUE)

Il decreto-legge, con il nuovo articolo 36-bis, ha disposto la disciplina autonoma dell’accertamento di conformità degli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, di cui all’art. 34, e degli interventi realizzati in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, di cui all’art. 37.

La sanatoria è possibile in riscontro della conformità alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda o della SCIA, e della conformità ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione degli interventi. Dunque, il nuovo articolo opera la distinzione tra conformità urbanistica e conformità edilizia, riferendo specificatamente quest’ultima alle “norme tecniche”.

Tuttavia, il decreto consente allo Sportello Unico per l’Edilizia di subordinare la sanatoria alla preventiva attuazione di interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità, efficienza energetica degli edifici e degli impianti negli stessi installati, al superamento delle barriere architettoniche e alla rimozione delle opere che non possono essere sanate ai sensi del nuovo articolo.

Si osserva in proposito, che le espressioni “può essere rilasciato” e “può condizionare” non appaiono una facoltà riconosciuta allo SUE, qualora risultano “necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore”.

Il decreto-legge, così stabilendo e descrivendo, porta ad interrogarsi sul significato di “requisiti prescritti” di cui al primo comma, di “norme tecniche” citate nel secondo periodo del comma 3, e di “normativa tecnica di settore” di cui al secondo periodo del comma 2.

In prima istanza, sembrerebbero espressioni “equivalenti”, ossia che si riferiscono alla medesima disciplina, e cioè a quella edilizia e che, conseguentemente, siano da riferire alla normativa tecnica per l’edilizia di cui alla seconda parte del TUE.

Infatti, le norme tecniche non sembrano possano essere ragionevolmente riferite alle specifiche tecniche elaborate dagli organismi di normazione europei (CEN/CENELEC) e nazionali (UNI/CEI) la cui osservanza è generalmente volontaria, fatta eccezione del caso in cui siano prescritte da un atto normativo. Parimenti, la normativa tecnica di settore di interesse per l’articolo in commento, sembra doversi intendere quella per l’edilizia, e non di altri settori aventi incidenza con l’attività edilizia.

Dunque, qualora negli intendimenti del legislatore fossero da ritenere espressioni equipollenti/equivalenti, la disciplina del comma 2 sembra porsi in contrasto con quella del comma 1 e a quella ad essa collegata di cui al comma 3, sia nel caso in cui la normativa tecnica di settore fosse da intendere come quella vigente-attuale, sia nel caso in cui, diversamente, fosse da intendere vigente al momento della realizzazione, in quanto ciò precluderebbe l’asseverazione del professionista tecnico richiesta dal comma 3.

Qualora l’iniziativa governativa avesse inteso avvalorare il fatto, riconosciuto dalla stessa giurisprudenza (sia penale che amministrativa), che le sanzioni amministrative in materia edilizia (e urbanistica) non hanno carattere punitivo/afflittivo bensì meramente ripristinatorio, anche per equivalente (sanzione pecuniaria), dell’offesa arrecata al bene giuridico tutelato dalla disciplina conformativa violata, il nuovo dettato normativo parrebbe voler ammettere la c.d. sanatoria condizionata (finora categoricamente esclusa dalla giurisprudenza).

Osservazioni: interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (art. 37 TUE)

L’intervento normativo sull’articolo in questione è coerente e congruente con le modifiche apportate al TUE, posto che l’articolo 37 è riferito ai commi 1 e 2 dell’art. 22 e non anche al comma 2-bis.

Proposte: accertamenti di conformità

Si ritiene opportuno indicare alcune proposte sommarie, pur nell’auspicio di una revisione sistematica dell’intera disciplina, al fine di elaborare una nuova normativa di tipo “prestazionale” e di soli principi fondamentali.

Fermo restando, al momento, l’accertamento di conformità di cui all’art. 36, la rubrica del nuovo articolo 36-bis dovrebbe dare riscontro anche della SCIA in sanatoria. Pertanto potrebbe essere rubricato genericamente “titoli abilitativi in sanatoria”.

In secondo luogo, la suddetta sanatoria “minore”, in quanto riferita ad opere di minore offensività dei beni giuridici tutelati, potrebbe semplicemente consentire la c.d. sanatoria condizionata, sia urbanistica sia edilizia, intendendo quest’ultima per la sola normativa tecnica per l’edilizia di cui alla parte II del TUE, mantenendo la distinzione tra disciplina urbanistica vigente attuale e disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione. Posto che la ratio della novella sembra da ricondurre al fatto che le normative tecniche per le costruzioni hanno carattere evolutivo, per il fatto che sono legislativamente soggette a revisione (per cui edifici legittimamente costruiti sulla base di NTC prescriventi un grado di sicurezza, a seguito della loro successiva modifica che innalza tale grado, risulterebbero “normativamente” insicuri), si tratterebbe, in buona sostanza, di inserire il principio fondamentale che consente la sanatoria condizionata e quindi la presentazione di istanze e denunce che già indicano gli “adeguamenti” alla normativa tecnica vigente al momento della loro realizzazione, ovvero allo più elevato standard di sicurezza conseguibile con la natura tecnica dell’intervento di adeguamento.

Sulla datazione dell’epoca di realizzazione, si propone di recepire l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, oltre che per tabulas, sia possibile anche per riscontri tecnici ed anche con il supporto di altri ed eventuali elementi indiziari (gravi, precisi e concordanti).

Proposte: Tolleranze costruttive/esecutive

In questo caso potrebbe essere opportuna la distinzione tra parametri urbanistici, da riferire all’edificio unitariamente inteso, e parametri edilizi da riferire alla singola unità immobiliare, anche con l’indicazione/precisazione che sono da intendere riferiti alla disciplina conformativa vigente al momento del rilascio/efficacia del titolo abilitativo al quale si riferiscono, ovvero al momento della realizzazione delle opere.

Si ritiene di omettere la parte relativa alle limitazioni dei diritti di terzi, posto che sono riferite all’ordinamento civile e non alla disciplina urbanistico-edilizia. Per cui sarebbe sufficiente inserire, coerentemente con il dettato del TUE (cfr. art. 11, comma 3), che sono fatti salvi eventuali diritti di terzi.

Proposte: mutamento di destinazione urbanisticamente rilevante

Si propone di inserire la precisazione che non costituisce mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante le eventuali differenti forme di utilizzo possibili nell’ambito della stessa categoria funzionale, ferma l’osservanza della disciplina conformativa edilizia.

Parimenti, si potrebbe inserire la precisazione che non costituisce mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante quello tra categorie funzionali non comportanti incremento quantitativo del carico urbanistico di cui al D.M. n. 1444/1968.

Così stabilendo, si renderebbe la disposizione coerente con il fatto che il contributo di costruzione ha come presupposto la determinazione o l’incremento del carico urbanistico di tipo quantitativo.

Proposte: stato legittimo

Si propone di riferire lo stato legittimo allo stato legittimato in atti relativamente ai soli parametri, elementi, aspetti considerati dalla disciplina conformativa, urbanistica ed edilizia, vigente al momento del rilascio del titolo abilitativo, ovvero al momento della realizzazione degli interventi. In tal modo si legherebbero i profili formale e sostanziale.

Conclusioni

Ferma l’opportunità di risolvere la questione “fiscalizzazione” delle parziali difformità non demolibili, in forma analoga all’art. 38, comma 2, del TUE, nel senso che l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria per equivalente (e quindi ripristinatoria dell’offesa arrecata al bene giuridico tutelato) produca gli stessi effetti del titolo abilitativo in sanatoria, l’urgenza di provvedere ad emendare il testo unico edilizia nelle more della sua revisione, prossimamente si condivideranno alcune proposte di riscrittura della disciplina dello stato legittimo, delle tolleranze costruttive, esecutive ed errori del progetto, nonché degli accertamenti di conformità.

A cura di Arch. Romolo Balasso
Presidente Tecnojus, Centro Studi tecnico-giuridici

© Riproduzione riservata