Abusi edilizi, ante 42, nuova costruzione e ristrutturazione edilizia: interviene il Consiglio di Stato
Consiglio di Stato: “…grava esclusivamente sul privato interessato l’onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell’opera edilizia al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio”
In tempi di Decreto Salva Casa (e delle conseguenti modifiche al d.P.R. n. 380/2001) è sempre molto insidioso parlare di sentenze della giustizia amministrativa che riguardano il delicatissimo tema degli abusi edilizi. La nuova definizione di stato legittimo, le nuove tolleranze costruttive-esecutive oltre che le rinnovate possibilità di accedere alla sanatoria semplificata delle parziali difformità edilizie vanno, infatti, contestualizzate anche alla luce di una possibile richiesta di riesame dei provvedimenti emessi dalla pubblica amministrazione.
Abusi edilizi e data di realizzazione dell’intervento
Esistono, però, degli evergreen che valgono sia in vigenza delle nuove disposizioni previste dal D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa) che delle precedenti. Tra queste il rapporto tra l’intervento sanzionatorio degli abusi edilizie e la difesa del privato che ha la possibilità di provare che l’opera sia stata realizzata in epoca in cui non era necessario ottenere il titolo edilizio. Argomento che va analizzato alla luce:
- della Legge n. 1150/1942 (Legge urbanistica);
- della Legge n. 765/1967 (Legge Ponte).
Con la Legge n. 1150/1942 è stato previsto l’obbligo di licenza edilizia all’interno dei centri abitati che la successiva Legge 765/1967 ha esteso anche fuori.
Nella valutazione di un eventuale abuso edilizio, dunque, va verificato se immobile sia stato edificato prima del 1942 all’interno dei centri abitati o del 1967 fuori (e sempre che nel territorio in questione non esisteva già un piano regolatore).
Abusi edilizi e ante 42: nuova sentenza del Consiglio di Stato
Come spesso accade quando si parla di normativa edilizia (ed in particolare di abusi), è la giustizia amministrativa a chiarirne i contorni. Così come accade con la sentenza del Consiglio di Stato 24 giugno 2024, n. 5566 che tratta un ricorso presentato per l’annullamento di una decisione di primo grado che aveva confermato l’ordine di demolizione emesso dall’amministrazione secondo la quale la prova della sicura datazione del manufatto in epoca anteriore al 1942 non era stata fornita.
Nel caso di specie, il ricorrente lamenta:
- che la natura delle opere (“mero ripristino delle strutture preesistenti, solo parzialmente crollate a seguito di frane e alluvioni”) non comporterebbe l’esigenza del permesso di costruire, trattandosi di mera manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo o al massimo di ristrutturazione edilizia, comportanti solamente un obbligo di CILA tardiva (art. 6-bis, TUE) o SCIA in sanatoria (art. 37, TUE), la cui omissione può conseguire solamente una sanzione pecuniaria;
- che le opere sarebbero state edificate prima del 1942 come confermato dal rogito notarile del 1941;
- che l’Amministrazione avrebbe dovuto svolgere più approfondita attività istruttoria e comunque assolvere all’onere di più puntuale e congrua motivazione, quanto meno in ordine alla data dell'originaria edificazione.
Viene, inoltre, richiesto il differimento del giudizio per la presentazione di una SCIA in sanatoria.
Ordine di demolizione e istanza di sanatoria
Sulla richiesta di differimento del giudizio, il Consiglio di Stato ha ricordato un principio ormai consolidato della giurisprudenza per il quale la presentazione di domanda di sanatoria non ha alcun impatto sul procedimento avverso l’ingiunzione a demolire, determinandone solo la sospensione temporanea dell’esecuzione.
Diverso sarebbe stato il caso di un ordine di demolizione emesso in pendenza di un’istanza di sanatoria o condono edilizio. In questo caso sussisterebbero i presupposti per richiedere l’annullamento dell’ordinanza demolitoria.
Abusi edilizi e onere di prova della data di realizzazione
Relativamente alla data della realizzazione dell’opera edilizia, anche in questo caso esiste un principio giurisprudenziale costantemente affermato per il quale grava esclusivamente sul privato interessato l’onere della prova al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio.
Tale onere discende dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a., in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità. Detto onere, prima ancora che di carattere processuale, vale nei rapporti tra l’interessato e l'Amministrazione, la quale in termini generali, in presenza di un manufatto non assistito da un titolo abilitativo che lo legittimi, ha solo il potere dovere di sanzionarlo ai sensi di legge.
L’attuale versione del comma 1-bis, comma 9-bis, del TUE, relativo allo stato legittimo degli immobili o delle unità immobiliari, al quarto periodo prevede che “Per gli immobili realizzati in un'epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali”.
Su questa disciplina (a favore del privato) è intervenuta anche la Corte costituzionale (sentenza 21 ottobre 2022 n. 217) secondo la quale si tratta di previsione che individua in termini generali, la documentazione idonea ad attestare lo “stato legittimo dell'immobile” che consente ai privati di provare anche “indirettamente” la data di realizzazione dell’opera, individuando alcuni atti anche di natura privata, il cui dato comune è che siano di natura documentale, escludendo quindi le dichiarazioni testimoniali.
Nel caso di specie, la prova della sicura datazione del manufatto di causa in epoca anteriore al 1942 non è stata fornita in quanto:
- le foto aeree sono capaci di offrire l’immagine dei luoghi a partire dal 1973;
- l’atto di divisione del 13.11.1941 menziona (anche) i fondi in questione ma non si sofferma sul fienile/magazzino di causa;
- la relazione del perito agrario risalente all’anno ventunesimo dell’era fascista (dunque, al 1941-1942) menziona il fienile in una con l’immobile adibito ad abitazione e dunque, atteso che il manufatto di causa è staccato dalla casa per numerosi metri, scarsamente verosimile risulta l’assunto che il manufatto di causa possa identificarsi con quel fienile.
Il Consiglio di Stato, confermando la tesi del TAR, ha affermato che non possono considerarsi idonee a contrastare la legittimità del provvedimento demolitorio neanche le numerose dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà prodotte sin dal primo grado, tutte concordi nel ricordare la presenza in loco di un manufatto adibito a magazzino/fienile. Oltretutto, le stesse, anche a volerle ritenere valide, ammissibili e degne di fede, nulla dicono quanto a esatta posizione, consistenza e dimensionamento della struttura preesistente.
Nuova costruzione e ristrutturazione edilizia
Nella seconda parte della sentenza il Consiglio di Stato si è soffermato sulla definizione di “nuova costruzione” comportante la necessità di permesso di costruire.
Secondo il disposto dell’art. 10 del d.P.R. n. 380/2001, costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:
- gli interventi di nuova costruzione;
- gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
- gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici… (lettera più volte modificata negli ultimi anni).
Anche in questo caso, come confermato dalla “dominante giurisprudenza amministrativa”, in materia di edilizia, in ordine agli interventi subordinati al permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero della sagoma, dimensioni e altezza.
In particolare, la modifica della sagoma, dell’altezza, dei prospetti e del volume dell’originaria costruzione non consentono di ritenere un intervento come ristrutturazione edilizia ordinaria, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001. Tali interventi rientrerebbero nella categoria della ristrutturazione edilizia "pesante", contemplata dall’art. 10 del TUE, norma che sostanzialmente assimila l’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di una nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza, subordinandone la realizzazione al previo rilascio del permesso di costruire.
In definitiva, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino, modifiche del volume o dei prospetti: e la SCIA può quindi bastare, in via residuale, per i restanti interventi di ristrutturazione "leggera".
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 24 giugno 2024, n. 5566