Enti Locali: le responsabilità della P.A. per comportamento contrario a correttezza e buona fede
Il Consiglio di Stato si esprime sul risarcimento dei danni per violazione dei principi di buona fede e correttezza da parte di una amministrazione
Correttezza e buona fede sono principi che sono stati espressamente inseriti all’interno del Codice dei contratti pubblici, il D.Lgs. n. 36/2023, ma che discendono direttamente dalla Costituzione (art. 2) e dal Codice Civile (artt. 1173, 1176 e 1337) e che devono guidare sempre l’amministrazione pubblica nella stipula degli accordi con i privati.
Correttezza e buona fede: interviene il Consiglio di Stato
Lo ha ricordato il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5514 del 20 giugno 2024 che ha condannato il Comune al risarcimento del danno per aver stipulato un contratto con un privato che poi non ha potuto onorare a causa di un impegno precedentemente preso dall’amministrazione con l’Unione dei Comuni cui fa parte e a cui ha delegato l’esercizio in forma associata delle funzioni di pianificazione urbanistica territoriale.
Entrando nel dettaglio, l’amministrazione aveva stipulato un accordo che prevedeva la bonifica dall’amianto di un’area e che avrebbe consentito alla società di individuare nel sito un’area per la installazione di un impianto per il recupero dei fanghi prodotti dai processi di depurazione delle acque reflue.
Conformemente agli impegni assunti, la società appellante, dopo aver acquisito l’area, versava al Comune le somme concordate e si impegnava a bonificare l’area e l’amministrazione comunale rinnovava la sua non contrarietà ad ospitare nel proprio territorio l’impianto di trattamento dei rifiuti.
L’accordo tra il Comune e la società veniva impugnato dinanzi al TAR da alcuni Comuni vicini e da alcuni cittadini contrari alla realizzazione dell’impianto industriale.
Con una successiva deliberazione dell’Unione di Comuni, cui faceva parte anche il Comune che aveva stipulato l’accordo e alla quale i Comuni facenti parte dell’Unione aveva delegato l’esercizio in forma associata delle funzioni di pianificazione urbanistica territoriale, adottava una variante urbanistica di tipo normativo.
La variante urbanistica veniva definitivamente approvata dall’Unione dei Comuni, con la conseguenza che veniva vietata in modo assoluto la realizzazione di nuovi impianti di trattamento e di recupero dei rifiuti sull’intero territorio del Comune.
La variante urbanistica e la validità dell’accordo
Benché sia in primo che in secondo grado i giudici confermavano la correttezza delle deliberazioni e della variante urbanistica, interessante è la parte che tratta i principi di buona fede e correttezza da parte di una amministrazione.
Il Consiglio di Stato conferma la variante urbanistica normativa, che concerne tutti i Comuni facenti parte dell’Unione e che prevede l’inserimento nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale dell’art. 39-bis, a norma del quale nelle aree destinate ad insediamenti industriali, commerciali, artigianali e terziari non sono consentiti nuovi insediamenti o interventi di trasformazione fisica o funzionale di aree o edifici esistenti che comportino attività insalubri o nocive, inquinanti o moleste.
Dunque, confermato il divieto di realizzare impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche non pericolosi, che ricadano in una fascia di rispetto di rispetto di 500 metri da elementi di interesse paesaggistico e identitario.
È la stessa società appellante a riconosce la legittimazione dell’Unione dei Comuni ad adottare la variante alla strumentazione urbanistica, in quanto Amministrazione legittimamente delegata all’esercizio in forma associata delle funzioni di pianificazione urbanistica di competenza comunale.
Però, mentre l’accordo sottoscritto tra il Comune e la società appellante non si rivela idoneo ad infirmare la legittimità degli atti impugnati di modifica della disciplina urbanistica normativa delle aree industriali del territorio comunale, che sono espressione delle legittime prerogative istituzionali del Comune, assume tuttavia rilevanza sotto il profilo risarcitorio.
Il Consiglio di Stato conferma, infatti, una responsabilità civile per lesione dei principi di buona fede e affidamento, anche in relazione ai doveri di informazione, che devono essere rispettati, avuto riguardo alla specificità della fattispecie in esame, anche nell’ambito di un rapporto pubblicistico.
L’accordo stipulato con il privato prevedeva degli specifici obblighi sia a carico del Comune che a carico della parte privata. Conformemente agli impegni assunti, la società appellante, dopo aver acquisito l’area, ha versato al Comune le somme concordate e ha posto in essere atti di bonifica dell’area, in previsione della realizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti nell’ambito del complesso immobiliare denominato “ex Fornace”.
La successiva modifica delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune, approvata mediante il ricorso alla delega delle funzioni all’Unione dei Comuni, ha di fatto vanificato gli impegni pattiziamente assunti dal Comune stesso, precludendo alla società appellante la possibilità di realizzare l’impianto di trattamento dei rifiuti.
I principi di buona fede e correttezza
I giudici di secondo grado hanno ricordato i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, che sono espressione del dovere costituzionale di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione.
Nel caso di specie, la variante urbanistica approvata dall’Unione dei Comuni discende da una deliberazione regionale precedente all’accordo, che aveva avviato un percorso per il riconoscimento della zona quale sito Unesco, con la conseguenza che il Comune non avrebbe dovuto ingenerare nella società un legittimo affidamento nella possibilità di realizzare l’impianto di trattamento dei rifiuti, imponendo ad essa degli obblighi ben precisi (anche di natura economica) in previsione della realizzazione di un progetto industriale, che la successiva (e prevedibile) attività di pianificazione urbanistica territoriale avrebbe reso irrealizzabile.
Per questo motivo il Consiglio di Stato ha condannato il Comune al pagamento in favore della società appellante delle spese sostenute da quest’ultima antecedentemente alla adozione della variante urbanistica per le seguenti voci:
- compensi professionali corrisposti dalla società ai legali del Comune e somme versate a vario titolo al Comune (in esecuzione del predetto accordo e delle successive appendici negoziali) e non recuperate dalla società o non recuperabili;
- spese effettivamente sostenute dalla società per la rimozione dell’amianto e la bonifica dell’area oggetto dell’accordo;
- spese sostenute per la presentazione di istanze amministrative e/o per la redazione di elaborati tecnici, finalizzati alla realizzazione dell’impianto di smaltimento dei rifiuti.
Non sono ristorabili le spese relative alla acquisizione dell’area (che comunque costituisce un incremento del patrimonio aziendale della società) e le spese alle quali non sia allegata la relativa documentazione giustificativa anche di natura contabile e fiscale (fatture; quietanze di pagamento; etc.), nonché le spese che non siano espressamente previste nell’accordo o che non siano conseguenza immediata e diretta dell’accordo o che siano state effettuate dopo la deliberazione di adozione della variante urbanistica.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 20 giugno 2024, n. 5514