Contenziosi Superbonus, le soluzioni alternative alla causa

Se qualcosa va storto l’ordinamento italiano offre ai proprietari e ai costruttori vari strumenti per far valere i propri diritti, utili per accertare gli aspetti tecnici e per evitare una causa

di Cristian Angeli - 05/07/2024

Le difficoltà pratiche generate dal Superbonus, ormai è cosa nota, sono state e continuano ad essere molte. I numerosi cambi di passo del legislatore che si sono susseguiti negli ultimi 4 anni, infatti, hanno reso la disciplina dei bonus edilizi fortemente stratificata e costellata di incastri normativi difficili da districare, aprendo spesso dubbi sul corretto modo di muoversi per ottenere la detrazione ed effettuare gli interventi di efficientamento sismico o energetico in tranquillità.

Il contenzioso nei bonus edilizi

È per questo motivo che l’ordinaria e normale possibilità che il committente dei lavori e il soggetto incaricato di realizzarli si trovino in disaccordo sugli esiti del loro rapporto contrattuale, già di per sé problematico in assenza di bonus edilizi, diventa molto più delicata.

A dimostrazione di ciò, si pone soprattutto il fatto che i contenziosi aventi ad oggetto i bonus edilizi sono ormai all'ordine del giorno, e non vengono attivati solo dai proprietari degli immobili “rimasti a piedi” per via di imprese esecutrici inadempienti o ritardatarie, ma anche dalle stesse imprese, che faticano a riscuotere i corrispettivi per ciò che hanno realizzato. Nei casi peggiori, entrambe le parti hanno qualcosa da reclamare, con l’impresa che chiede di vedere pagato il suo credito nei confronti del committente, e il committente che contesta invece l’esistenza stessa di tale credito, lamentando irregolarità nell’esecuzione dei lavori.

È normale e corretto, in simili circostanze, tentare innanzitutto le strade alternative prima di decidersi, da un lato o dall’altro, a “fare causa”, poiché la strada giudiziale porta sempre con sé il problema dei tempi lunghi, degli alti costi, e soprattutto dell'esito incerto.

Ma anche se la situazione ristagna e non ci si riesce ad accordare, non è comunque detto che l’unica strada da percorrere sia quella della “citazione in giudizio”.

Le possibilità offerte dall’ordinamento

L’ordinamento italiano offre, in ambito civile, varie possibilità per gestire simili situazioni “litigiose”, che possono essere praticate anche quando il rapporto tra committente e appaltatore è caratterizzato dalla presenza dei bonus edilizi. Oltre alla tradizionale citazione in giudizio è possibile ricorrere all’istituto della negoziazione assistita, con la quale le parti hanno modo di raggiungere un accordo privatamente, ma “schierando” i rispettivi avvocati, sempre che vi sia però la disponibilità da ambo le parti. O ancora, si può scegliere la strada della mediazione civile (peraltro in alcuni casi obbligatoria), nella quale interviene anche un terzo imparziale, che assume una sorta di funzione giudiziale (mediatore), senza però realizzarsi un vero processo.

Tali strade rappresentano spesso quelle preferibili, ma nella pratica possono tradursi in un nulla di fatto. Ciò non significa, però, che nei casi in cui tali possibilità siano fallimentari sia allora automaticamente conveniente, se ad esempio l’oggetto del contendere è legato a un pagamento, rivolgersi a un giudice per richiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo. Quest’ultimo, infatti, se anche viene emesso in tempi relativamente rapidi, imponendo al debitore di pagare, si porta dietro una molto probabile “opposizione” al decreto, che ha l’effetto di bloccare le pretese del creditore e di attivare la macchina giudiziaria con strascichi che possono durare diversi anni.

Strategie alternative

Vi sono alcuni strumenti meno conosciuti, che possono risolvere le difficoltà che i mezzi appena illustrati si portano inevitabilmente dietro. In alcuni casi è infatti possibile chiedere un accertamento tecnico preventivo (Atp), un procedimento cautelare che serve a determinare le cause tecniche oggettive che hanno determinato un vizio.

L’istituto viene disciplinato all’art. 696 c.p.c., che recita: “Chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose, può chiedere, a norma degli articoli 692 e seguenti, che sia disposto un accertamento tecnico o un ispezione giudiziale”. Non è detto, però, che l’Atp venga accordata dal giudice, in quanto i requisiti per ottenerla sono decisamente stringenti, passando innanzitutto per il fatto che la questione del contenzioso deve essere caratterizzata da un certo grado di “urgenza”, che il giudice potrebbe non rilevare.

Più vantaggiosa potrebbe allora risultare la strada del c.d. “accertamento tecnico a fini conciliativi” (o Atp conciliativa), regolato dall’art. 696-bis cpc, per il quale non è necessario il carattere dell’urgenza.

L’art. 696 bis c.p.c. dispone infatti: “L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti”.

Si tratta, in altre parole, di un procedimento con il quale si chiede al giudice di nominare un tecnico (CTU) che verifichi la situazione reale, individuando se esiste un credito e a carico di chi, prima ancora che ciascuna parte possa decidere di instaurare una causa. Lo scopo finale di tale strumento può essere quello di “mostrare” alle parti quale sarebbe l’esito tecnico del giudizio, se questo avesse inizio, puntando così ad accertare la verità con l’effetto di distogliere la controparte dall’attivare la tradizionale macchina giudiziaria.

I vantaggi dell’accertamento tecnico a fini conciliativi

Scegliendo questa opzione è evidente come i problemi principali delle cause (costi, tempi ed esito incerto) vengano in gran parte neutralizzati.

Ma questo non è l’unico vantaggio offerto dall’accertamento tecnico conciliativo, poiché anche quando l’esito di tale procedimento (la conciliazione) non viene raggiunto, gli atti in esso prodotti possono rappresentare uno strumento potente nel caso in cui, infine, non ci sia altra scelta che istaurare una vera e propria causa.

Tale accertamento, infatti, consente di ottenere una fotografia super partes della realtà del cantiere, che può essere acquisita come prova in un eventuale giudizio di merito successivo. In detta causa, il giudice dovrà valutare se vi sono elementi sommari per ritenere fondata la domanda (o l’opposizione) della parte, e in caso di risposta affermativa, egli procederà ad ammettere la consulenza tecnica derivante dall’accertamento già eseguito, senza bisogno di disporre ulteriori perizie allungando i tempi.

In definitiva, non solo si tratta di uno strumento che in tempi relativamente brevi porta a una relazione in grado di ricalcare l’esito di un eventuale giudizio, sapendo così anzitempo se è il caso di instaurarlo o meno, ma anche nel peggiore dei casi (quando non si raggiunge l’accordo sperato) offre il vantaggio che la successiva causa sarà comunque in certa misura “facilitata”, partendo da una fotografia oggettiva della realtà.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di agevolazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it.

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