Accertamento di conformità: come impugnare il silenzio diniego sulla sanatoria edilizia
Alla stregua di un provvedimento esplicito, il silenzio-diniego va impugnato adducendo ragioni che provino la sanabilità degli abusi
Il silenzio ha sempre valore, quando si tratta di sanatoria edilizia. Precisamente, quando si è in presenza di un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), se l’Amministrazione non si pronuncia espressamente entro il termine di 60 giorni, sulla domanda si forma una fattispecie tipica di silenzio significativo in senso sfavorevole al richiedente, il c.d. silenzio-diniego che va impugnato.
Sanatoria edilizia: il silenzio della PA equivale a un no
A ricordarlo è il TAR Lombardia con la sentenza del 19 giugno 2024, n. 1889, con cui ha respinto sul ricorso contro il silenzio rigetto consolidatosi sulla richiesta di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'articolo 36 del d.P.R. n. 380/2001, in relazione a un intervento di recupero ai fini abitativi di un sottotetto esistente.
Nel caso in esame, la proprietaria dell’appartamento ha affermato di aver eseguito legittimamente l’intervento in quanto sarebbe realizzato tre anni dopo il conseguimento dell’agibilità dei locali, ai sensi dell’art. 63, comma 4 della L.R. Lombardia n. 12/2005.
Di conseguenza il silenzio opposto dall’Amministrazione sarebbe stato illegittimo in quanto:
- il Comune resistente aveva differito il termine di conclusione del procedimento pur in difetto di qualsivoglia previsione normativa e regolamentare;
- non erano note le ragioni del rigetto;
- la domanda di accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001 conteneva tutti gli elementi per essere accolta, anche alla luce delle previsioni degli artt. 63 e ss. l.r. Lombardia 12/2005.
Silenzio rigetto: è significativo e non ha bisogno di ulteriori motivazioni
Sulla questione il TAR ha per prima cosa precisato che la proroga dei termini disposta dalla P.A. non ha alcuna natura provvedimentale e non ha determinato né la proroga né la sospensione del termine previsto dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001.
In riferimento al silenzio della P.A. va condiviso il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui «ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001, ove il Comune non si pronunci espressamente entro il termine di 60 giorni dalla presentazione dell'istanza, sulla stessa si forma una fattispecie tipica di silenzio significativo in senso sfavorevole al richiedente, il c.d. silenzio-diniego che va impugnato, alla stregua di un provvedimento esplicito di rigetto, entro il termine decadenziale, adducendo, tuttavia, esclusivamente, ragioni di diritto tese a comprovare la sanabilità degli abusi, con esclusione del deficit di motivazione, del quale la fattispecie in questione è ope legis strutturalmente carente, oltre che di tutti gli altri vizi formali del procedimento, quali ad esempio la mancanza di pareri o del preavviso dei motivi ostativi all'accoglimento».
Si conferma quindi che il privato, con l’impugnazione del provvedimento tacito (silenzio rigetto), non può far valere difetti di motivazione o lacune nel procedimento, ma deve piuttosto dolersi del suo contenuto sostanziale di rigetto.
Doppia conformità: l'onere della prova è a carico del privato
In riferimento alla presunta sanabilità dell’intervento, il TAR ha ricordato che è onere del soggetto interessato alla sanatoria dell'abuso edilizio dare prova della c.d. doppia conformità urbanistica dell'opera da sanare, sia con riferimento al momento della realizzazione della stessa, che al momento della presentazione della relativa istanza di sanatoria, così come previsto dall'art. 36, d.P.R. n. 380/2001.
Questo perché la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell'interessato e non della p.a., dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’ipotetica sanabilità del manufatto, “dovendosi in ogni caso fare applicazione del principio processualcivilistico in base al quale la ripartizione dell'onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova”.
Secondo la ricorrente, l’intervento sarebbe stato sanabile in quanto il sottotetto interessato dall’intervento di recupero era stato completato nel 2015 mentre il recupero era iniziato a fine 2018, per cui era trascorso il termine di 3 anni, indicato dall’art. 63, comma 4, L.R. Lombardia n. 12/2005, a mente del quale “Il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto è consentito anche negli edifici, destinati a residenza per almeno il venticinque per cento della S.l.p. complessiva, realizzati sulla base di permessi di costruire rilasciati successivamente al 31 dicembre 2005, o di segnalazioni certificate di inizio attività presentate successivamente al 1° dicembre 2005, decorsi tre anni dalla data di conseguimento dell’agibilità”.
Tesi che non ha convinto il giudice: nessun documento è stato prodotto dalla proprietaria per comprovare l’epoca di effettiva realizzazione dei lavori, senza che vi siano elementi ulteriori a conferma che le modifiche effettuate siano state poste in essere quando era trascorso il termine di 3 anni dal conseguimento dell’agibilità, indicato dall’art. 63, comma 4, l.r. Lombardia n. 12/2005.