Stato legittimo e accesso agli atti: interviene il TAR

Per la verifica dello stato legittimo, in caso di mancanza o irreperibilità dei documenti in archivio, la P.A. deve rilasciare una attestazione formale di inesistenza

di Gianluca Oreto - 29/07/2024

Un antico proverbio recita “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e chissà se l’estensore facesse esplicito riferimento alla normativa italiana, soprattutto quella edilizia. Una norma lastricata (qualche volta) di buone intenzioni che (molto spesso) si scontrano con una realtà complessa e difficilmente comprensibile ad un alieno che per la prima volta si ritrovasse nel nostro Paese.

Stato legittimo e accesso agli atti

Come è ormai chiaro (ma dopo le modifiche apportate dal Decreto Salva Casa lo sarà un po’ meno) per la verifica dello stato legittimo di una unità immobiliare - necessaria per intervenire su di essa o per la sua compravendita – l’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dispone che sia necessario verificare l’esatta corrispondenza tra quanto assentito da titoli abilitativi (permesso di costruire, SCIA o CILA) e lo stato di fatto in cui versa l’immobile.

Per farlo è chiaramente necessario accedere agli atti presenti negli archivi comunali. Aspetto questo di non poco conto, considerato lo stato di salute di molti archivi.

La nuova sentenza del TAR

Lo dimostra la sentenza 24 luglio 2024, n. 15126 mediante la quale il TAR Lazio è dovuto intervenire in una fastidiosa quanto stucchevole controversia tra un privato, che aveva necessità di vendere il suo immobile e chiedeva di prendere visione e copia della documentazione urbanistico-edilizia, e il Comune che rispondeva rilevando che detta documentazione cartacea era conservata ma irreperibile.

Secondo il Comune, il fatto che parte della documentazione fosse conservata in locali fuori sede e non accessibili in sicurezza, parte in deposito sito al piano seminterrato interdetto al personale, era sufficiente per attestare che “allo stato” fosse impossibilitata al reperimento degli atti, il cui rilascio sarebbe impossibile “prima della disponibilità di un archivio accessibile ed idoneo” (forse mai).

Nel caso di specie, il ricorrente contesta la “Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 22 e 24 ss L. 241/1990 ss.mm.ii. – Violazione dell’artt. 2 e 3 L. 241/1990 -Eccesso di potere (difetto del presupposto - difetto di motivazione – difetto di istruttoria) – Violazione dei principi di pubblicità, trasparenza, buon andamento, efficacia ed efficienza dell’attività amministrativa. Violazione della Delibera di Assemblea Capitolina n. 6/2019 recante il “Regolamento per il diritto di accesso ai documenti, ai dati e alle informazioni””.

In particolare, il ricorso viene argomentato:

  • circa il proprio interesse all’accesso;
  • circa l’insufficienza delle ragioni di diniego addotte, anche qualora si volesse considerare il diniego come un mero differimento (senza termine finale);
  • circa l’irrilevanza che la medesima istanza sia stata già avanzata da altro soggetto (l’alienante) ed evasa nella stessa maniera);
  • sulla mancata attestazione della irreperibilità;
  • sulla violazione del regolamento comunale in materia di accesso agli atti.

L’accesso alla documentazione edilizia-urbanistica

Accogliendo (e non poteva essere altrimenti) il ricorso, il TAR Lazio ha ricordato una sua precedente sentenza (TAR Lazio, II bis, nr. 16292/2022), in cui ha affermato che “A norma dell’art. 22, comma 6 della l. 241/90, “il diritto di accesso è esercitabile fino a quando la pubblica amministrazione ha l'obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere”. Nel caso di specie, posto che l’Amministrazione responsabile è un Ente Locale, i termini per la conservazione dei documenti (che per le Amministrazioni dello Stato sono disciplinati dall’art. 41 del d.lgs. 42/2004, in materia di versamento all’Archivio Storico), dipendono dallo specifico piano di conservazione dei documenti di cui all’art. 68 del DPR n. 445/2000 e dalle altre disposizioni regolamentari e statutarie della stessa Amministrazione. Per Roma Capitale, viene in rilievo (nell’assenza di altre deduzioni specifiche da parte dell’Amministrazione) il “Regolamento per il funzionamento dell’Archivio capitolino” di cui alla delibera del Consiglio Comunale n.133/1981 (successivamente modificato), che, all’art. 62, comma 2, prevede che gli Uffici predispongono periodicamente gli elenchi di atti di cui si reputi inutile la conservazione “riferentesi agli anni anteriori all’ultimo quinquennio”; l’art. 63, inoltre, prevede che gli Uffici stessi “versano all’Archivio Capitolino le posizioni relative agli affari esauriti da oltre 40 anni, in analogia a quanto disposto dagli Archivi di Stato dall’art. 23 della ..legge 30 settembre 1963, n. 1409”. A tanto deve anche soggiungersi – tenuto conto delle ragioni sostanziali che sono sottese all’interesse ostensivo come illustrate dalla ricorrente e correlate al giudizio pendente nr. RG2417/2022 – che l’attestazione dello stato legittimo delle opere presuppone la possibilità di documentarle ai sensi dell’art. 9 bis, comma 1 bis, del DPR n. 380/2001 (come introdotto dal DL 70/2020, conv. in l. 120/2020), ciò che radica ancora di più il corrispondente riscontro di tali attestazioni da parte dell’Ufficio; ne deriva la conseguenza che anche le operazioni di custodia e di eventuale discarico di atti e documenti tecnici o edilizi o urbanistici d’epoca, da parte degli uffici competenti e dell’Archivio Storico, dovrebbero essere (o risultare già) improntate funzionalmente a consentire l’accessibilità o la reperibilità (anche) dei documenti edilizi risalenti negli anni. Inoltre, secondo la giurisprudenza prevalente, se determinati documenti che sono legittimamente richiesti dal privato, non risultino esistenti negli archivi dell’Amministrazione che li dovrebbe detenere per ragioni di servizio, quest’ultima è tenuta a certificarlo, così da attestarne l’inesistenza e fornire adeguata certezza al richiedente per quanto necessario a consentirgli di determinarsi sulla base di un quadro giuridico e provvedimentale completo ed esaustivo (si vedano, ex plurimis, Tar Lombardia, Milano, 31 maggio 2019, n.1255; 29 maggio 2021, n. 1245; 20 febbraio 2020, n.343; T.A.R. , Napoli , sez. VI , 03/05/2021 , n. 2915; T.A.R. Lazio, Roma, II ter, 19 marzo 2019, nr. 5201 ed altre). Trattandosi di applicare la regola generale “ad impossibilia nemo tenetur”, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l’esercizio del relativo diritto non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili; ma la prova dell’impossibilità della prestazione (con argomento ex art. 1218 cod.civ.) secondo le regole generali, incombe sull’Amministrazione che deve dimostrare l’assoluta ineseguibilità dell’obbligo, tenuto conto delle soluzioni organizzative esigibili in concreto. Spetta, cioè, all’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso fornire l’indicazione, sotto la propria responsabilità, attestante la inesistenza o indisponibilità degli atti che non è in grado di esibire, con l’obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità (T.A.R. , Milano , sez. III , 11/10/2019 , n. 2131), secondo le regole archivistiche proprie dell’Amministrazione”.

La giurisprudenza ha quindi chiarito che l’obbligo dell’Ufficio di reperire la documentazione inerente lo stato edilizio ed urbanistico di un immobile è finalizzato (non solo alle esigenze ordinarie di conoscenza che sono proprie del diritto di accesso ex art. 22, l. n. 241/90, ma anche) a consentire l’utile e certo ricorso alle forme di attestazione che sono disciplinate dall’art. 9 bis del DPR 380/2001, ciò che rende evidente come tale obbligo non possa ritenersi assolto dalla indicazione fornita dall’Amministrazione di una “temporanea” inaccessibilità degli archivi che rendano indisponibile la documentazione “allo stato”, ossia con riserva di reperirla in futuro.

Alcuna certezza potrebbe infatti trarsi circa lo stato legittimo dell’immobile, essendo sempre possibile l’emersione di atti o documenti contrastanti o non coerenti con risultanze indirette quali quelle che sono ammesse dall’art. 9 bis del DPR 380/2001.

Oltretutto, l’indisponibilità di documenti conseguenti alle cattive o insicure condizioni di sicurezza dei locali degli archivi, quando è genericamente invocata come nel caso di specie (laddove non sono allegate ragioni precise della inaccessibilità) consegue pur sempre non ad un impedimento oggettivo, ma ad una negligenza dell’Ente, essendo imputabile ad un “fatto” che è nella disponibilità dell’Amministrazione (che non osserva le regole generali di sicurezza sui luoghi di lavoro, con ogni conseguenza in ordine alla responsabilità di dirigenti ed amministratori).

Quanto poi alla dislocazione di tali archivi presso sedi separate da quelle dell’ufficio, l’inconsistenza delle ragioni di diniego è autoevidente, non sussistendo alcun impedimento per il personale dell’Amministrazione a recarvisi oppure a farsi consegnare i documenti necessari da chi li abbia in carico.

In conclusione, l’appello è stato accolto e il TAR ha ordinato all’Amministrazione resistente che l’Ufficio competente provveda in ordine alla suddetta istanza, apprestando, nell’eventualità, ogni opportuna attestazione a firma del Dirigente responsabile circa l’inesistenza o la indisponibilità degli atti richiesti, sulla base delle regole archivistiche sancite dal Regolamento della stessa Amministrazione.

L’esecuzione dell’accesso dovrà avvenire entro i termini di sessanta giorni, determinati ex art. 116, comma 4, del c.p.a, tenuto conto della peculiarità della fattispecie con riferimento alle condizioni dell’archivio e che avranno decorrenza dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte.

In caso di mancanza o irreperibilità dei documenti in archivio, dovrà essere rilasciata dal Responsabile dell’ufficio una attestazione formale di inesistenza, da redigersi nel rispetto di quanto sopra indicato.

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