Opere incompiute e decadenza titolo edilizio: cosa fare?
La disciplina applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio
Cosa fare delle opere edilizie realizzate sulla base di un titolo edilizio decaduto e che non possono essere oggetto di un intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio?
Opere incompiute e decadenza titolo edilizio: interviene l’Adunanza Plenaria
È la domanda, davvero molto interessante, a cui ha risposto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 14 del 30 luglio 2024 che ci consente di approfondire un tema che è stato recentemente innovato a seguito della Legge 24 luglio 2024, n. 105, di conversione del Decreto Legge n. 69/2024 (Decreto Salva Casa), che ha modificato e integrato il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Fatta questa dovuta premessa, il caso riguarda delle opere realizzate a seguito di un permesso di costruire decaduto che può essere così riassunto:
- nel 2010 il Comune rilascia il permesso di costruire per la realizzazione di una autorimessa interrata;
- i lavori cominciano, ma vengono poco dopo sospesi in seguito alle indagini penali seguite dalla sentenza penale ormai irrevocabile;
- con il provvedimento del 2016, il Comune non ha annullato l’originario permesso di costruire, ma ne ha dichiarato la decadenza per mancata ultimazione dei lavori, rilevando inoltre come la sentenza penale abbia accertato che le opere erano state assentite in contrasto con la normativa urbanistica e quella paesaggistica;
- le parti interessate presentano due diversi progetti, che sono stati seguiti da dinieghi;
- con provvedimento del 2018, il Comune ordina ai sensi dell’art. 31 del Testo Unico Edilizia (TUE) “il ripristino dello stato dei luoghi per come risultante in via antecedente all’esecuzione delle opere parzialmente eseguite in forza del permesso di costruire”;
- a tale atto segue l’ordinanza di acquisizione dell’intera particella al patrimonio comunale.
A questo punto l’ordinanza viene impugnata sia dalla società che proprietario del bene.
La decisione del TAR
Il TAR risponde al ricorso respingendolo con le seguenti motivazioni:
- quando i lavori edilizi non sono stati ultimati, in linea di principio la decadenza del permesso di costruire riguarda per intero i suoi effetti, salvo il caso in cui sia consentito “ultimare” l’edificio;
- ammettere che a seguito della decadenza possano in ogni caso restare in loco le “opere incompiute” significherebbe riconoscere che il titolare del permesso di costruire avrebbe il “diritto di non completare l’opera” e di lasciarla incompiuta e funzionalmente non autonoma, con ingiustificato deturpamento del contesto circostante.
Nel caso di specie, secondo il TAR, le opere realizzate in esecuzione del permesso poi decaduto risultano sicuramente incompatibili con la disciplina giuridica dell’area (come ritenuto dal giudice penale, dalla Soprintendenza e dallo stesso Comune) e neppure conformi a quelle formalmente assentite. Per questo motivo, i giudici di primo grado hanno rigettato il ricorso e confermato la legittimità dell’ordinanza di ripristino dell’originario stato dei luoghi, mediante eliminazione delle opere realizzate che, in questo caso, consistevano con degli sbancamenti di terra, dei pali di fondazione trivellati completi anche del getto di conglomerato cementizio, dello sterro dell’impianto vegetale del fondo e di quant’altro posto in essere in via prodromica all’edificazione, rimasti ormai privi di finalizzazione.
Confermata anche la disposta acquisizione dell’intera particella.
Avverso questa sentenza viene proposto appello in cui si evidenzia:
- che l’originario permesso di costruire non è mai stato annullato in alcuna sede, ma è divenuto inefficace per decorrenza del termine di conclusione dei lavori, con conseguente liceità delle opere realizzate nel periodo di efficacia del permesso; pertanto il Comune non avrebbe potuto disporre il ripristino dell’area, senza prima annullare il titolo edilizio;
- le opere eseguite in virtù di un titolo edilizio efficace, ma poi decaduto, non sarebbero potute essere oggetto di ordine di demolizione ai sensi del citato art. 31, che sarebbe applicabile unicamente quando le opere eseguite siano state realizzate abusivamente;
- che le opere delle quali è stata ingiunta la demolizione erano state eseguite in base al permesso di costruire, poi dichiarato decaduto; la decadenza avrebbe efficacia ex nunc e, dunque, non consente di ritenere abusive le opere realizzate in esecuzione del permesso di costruire;
- che il citato art. 31 non potrebbe essere applicato al caso in questione, in cui è stata ingiunta la demolizione di opere realizzate durante l’efficacia del permesso di costruire che è stato, successivamente, dichiarato decaduto;
- che, nel caso di specie, le opere non potrebbero qualificarsi come “costruzione”, trattandosi di attività preparatoria a quella costruttiva.
A questo punto, la Seconda Sezione ha posto all’esame dell’Adunanza Plenaria (AP) del Consiglio di Stato il seguente quesito: “quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio”.
Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire
Per rispondere al quesito, l’Adunanza Plenaria opera un riepilogo della normativa di riferimento, cominciando dall’art. 15 del TUE a mente del quale:
- nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori;
- il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo;
- il termine per l’ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori;
- decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga che può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
Come rilevano i giudici dell’AP, l’indicazione dei termini nel titolo abilitativo trova la sua ragione nella necessità di avere una certezza temporale riguardo le attività di trasformazione urbanistico edilizia del territorio, che per propria natura è frazionata nel tempo, al fine di impedire che l’eventuale modifica delle previsioni pianificatorie possa essere condizionata senza limiti temporali da antecedenti permessi di costruire.
Nel caso di decadenza, la normativa edilizia prevede che l’interessato possa richiedere un nuovo permesso di costruire per il completamento delle opere, sempreché quelle mancanti non possano realizzarsi ai sensi dell’art. 22 del TUE (“Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività”). In base al principio del tempus regit actum, il nuovo permesso di costruire presuppone la compatibilità delle opere da realizzare con la disciplina urbanistica vigente al momento del suo rilascio.
Da ricordare, inoltre, il comma 4 del citato art. 15, per il quale “Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
Il bilanciamento tra interesse privato e pubblico
Nel prevedere la proroga per l’ultimazione dei lavori, il legislatore ha operato un bilanciamento tra:
- la tutela dell’affidamento del privato al completamento dell’opera in fase di realizzazione sulla base di un permesso di costruire;
- il principio di conservazione e quello di proporzionalità.
Bilanciamento finalizzato ad evitare la distruzione di ricchezza conseguente all’abbandono di progetti in avanzato stato di attuazione, conservando, comunque, la vigilanza sull’attività di edificazione attraverso la previsione del limite temporale triennale, pari a quello di durata dell’efficacia del permesso di costruire.
Ai principi di conservazione e di affidamento si ispirano anche gli artt. 36 e 38 del TUE (adesso anche gli artt. 34-bis, 34-ter e 36-bis):
- il primo (accertamento di conformità) prevede la possibilità di sanare gli abusi purché “l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” (la doppia conformità urbanistico-edilizia);
- il secondo consente, in taluni casi, la conservazione dell’immobile realizzato sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato, prevedendo in luogo della demolizione la sanzione pecuniaria.
È proprio l’art. 38 che ha fatto sorgere i dubbi da cui è scaturita la domanda all’AP circa l’applicabilità dell’art. 31 del TUE alle opere realizzate sulla base di un permesso di costruire dichiarato decaduto. Secondo la Sezione remittente, tali opere, eseguite sulla base di un titolo edificatorio legittimo, non potrebbero ritenersi abusive, e dunque non sarebbero passibili di demolizione e di restituzione in pristino.
I rilievi dell’Adunanza Plenaria
A questo punto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ricordato che:
- l’art. 31 del TUE si riferisce agli “interventi eseguiti in assenza del permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali” e, al comma 1, dispone che “Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso”;
- il permesso di costruire legittima le trasformazioni urbanistiche ed edilizie ivi individuate ma non abilita a realizzare qualunque manufatto;
- qualunque realizzazione dell’edificio difforme dal progetto, anche se sia ridotta la volumetria o ne siano modificati il perimetro, le sagome e le altezze, comporta una “divergenza tra consentito e realizzato” che in quanto tale o deve essere previamente autorizzata dal Comune o necessita di un atto di “accertamento di conformità”, qualora consentito.
I giudici dell’AP, cioè, per rispondere al quesito hanno fatto leva sull’assunto che l’edificazione deve avvenire nel rigoroso rispetto del principio di conformità tra l’opera risultante dal progetto assentito con il permesso di costruire e quella concretamente realizzata.
Ciò premesso, l’art. 31 del TUE sanziona allo stesso modo le ipotesi di edificazione in assenza del permesso di costruire con le ipotesi dell’edificazione in totale difformità o con variazioni essenziali, provvedendo a disciplinare le singole fattispecie, equiparando la carenza del titolo edificatorio con la totale difformità del bene edificato con quello autorizzato.
Secondo giudici, la “totale difformità” si verifica non solo in caso di ampliamento non autorizzato, ma anche nel caso di mancato completamento della costruzione e vi sia un aliud pro alio (bene completamente diverso da quello autorizzato). Il permesso di costruire consente di realizzare solo l’opera descritta nel progetto e avente caratteristiche fisiche e funzionali ben determinate: l’abuso per totale difformità sussiste nel caso di realizzazione di “un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche e planivolumetriche”.
Ciò è ravvisabile anche quando il manufatto sia stato parzialmente edificato con il cd. “scheletro” e anche quando sia oggettivamente diverso rispetto a quello progettato, dovendosi un'opera qualificare abusiva per totale difformità ogni qual volta il risultato finale consista in una struttura che non è riferibile a quella assentita.
Il non finito architettonico
Nei casi di “divergenza tra consentito e realizzato” si rientrerebbe nel “non finito architettonico”, il quale è ravvisabile quando le opere realizzate sono incomplete strutturalmente e funzionalmente, tanto da far individuare un manufatto diverso da quello autorizzato, oppure quando vi è stata la modifica dello stato dei luoghi con la realizzazione di un quid che neppure consenta di ravvisare un “volume”.
Dunque, sussiste il fondamento normativo per disporre la restituzione in pristino - in caso di decadenza del permesso di costruire - qualora siano state eseguite solo opere parziali, non riconducibili al progetto approvato sotto il profilo strutturale e funzionale. Se non sono completate, e neppure possono esserle, in quanto non può essere rilasciato un nuovo permesso di costruire, il mancato completamento – e cioè la cd opera incompiuta – comporta di per sé un degrado ambientale e paesaggistico.
In altri termini, rileva un principio di simmetria, per il quale, così come l’Amministrazione non può di certo rilasciare un permesso per realizzare uno “scheletro” o parte di esso (titolo che di certo non è consentito dalla legislazione vigente) o una struttura di per sé non abitabile per assenza di solai o tamponature, scale o tetto o di elementi portanti, corrispondentemente l’Amministrazione deve ordinare la rimozione dello “scheletro”, che risulti esistente in conseguenza della decadenza del permesso di costruire.
La qualificazione di “Costruzione”
Relativamente al concetto di “costruzione”, i giudici hanno chiarito che la stessa, per giurisprudenza, è ravvisabile ogni qualvolta “l'intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, in relazione alle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione”.
Alla luce di questa definizione, anche la realizzazione di muri di cinta o di contenimento di ragguardevoli dimensioni, così come anche l’attività di movimento di terra che modifichi la conformazione dei luoghi, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire.
Occorre il rilascio del permesso per le opere di qualsiasi genere che modifichino il suolo e lo stato dei luoghi, determinandone una significativa trasformazione, pur quando si tratti di movimento terra, in assenza di volumi e per realizzare una strada.
A tali principi si ispira anche la giurisprudenza penale, per la quale si configura il reato di costruzione senza permesso di costruire in seguito a lavori di sbancamento.
Conclusioni
Concludendo, l’Adunanza Plenaria ha risposto al quesito nel seguente modo:
- in caso di realizzazione, prima della decadenza del permesso di costruire, di opere non completate, occorre distinguere a seconda se le opere incomplete siano autonome e funzionali oppure no;
- nel caso di costruzioni prive dei suddetti requisiti di autonomia e funzionalità, il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in quanto eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire;
- qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati – ferma restando l’esigenza di verificare se siano state realizzate le opere di urbanizzazione e ferma restando la necessità che esse siano comunque realizzate - devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali - necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire;
- qualora invece, le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del T.U.;
- è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile - di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica.
Documenti Allegati
Sentenza