Il payback per i dispositivi medici supera il vaglio della consulta
La normativa, il contenzioso, le pronunce della Corte Costituzionale e le prospettive future sul payback per i dispositivi medici
Due recenti sentenze della Corte costituzionale si sono pronunciate sul meccanismo del “payback” per i dispositivi medici, dichiarandolo legittimo
La normativa sul “payback”
Il meccanismo c.d. “payback” per i dispositivi medici è previsto dall’articolo 9-ter del decreto-legge n. 78 del 2015, come modificato dall’art. 18 del decreto-legge n. 115/2022 (decreto Aiuti bis) convertito in L. 142/2022.
Le disposizioni di questo articolo stabiliscono un tetto alla spesa regionale per i dispositivi medici. Se una regione supera il tetto, dichiarato con decreto del Ministro della salute, le imprese che forniscono i dispositivi ai Servizi sanitari regionali sono tenute a contribuire parzialmente al ripiano dello sforamento, mediante la restituzione di parte dei corrispettivi ricevuti per le forniture.
In particolare, l’eventuale superamento del tetto di spesa regionale è posto a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici per una quota complessiva pari al 40% nell’anno 2015, al 45% nell’anno 2016 e al 50% a decorrere dall’anno 2017.
Per gli anni dal 2015 al 2018 la norma demanda alle regioni e alle province autonome la definizione, con proprio provvedimento, dell'elenco delle aziende fornitrici soggette al ripiano per ciascun anno, sulla base delle Linee guida adottate con decreto del Ministero della Salute in data 6 ottobre 2022.
Le Regioni, in attuazione dei provvedimenti ministeriali adottati sulla base dell’art. 9-ter del decreto-legge n. 78 del 2015, a partire dai mesi di novembre e dicembre 2022, hanno quindi iniziato a adottare i provvedimenti di determinazione delle quote di “payback” e delle somme dovute dalle singole aziende fornitrici dei dispositivi medici.
Il contenzioso sul “payback”
Le richieste di pagamento del “payback” hanno messo in grave difficoltà le piccole e medie imprese fornitrici dei dispositivi medici, che hanno quindi impugnato:
- i provvedimenti con cui sono stati stabiliti a livello nazionale e regionale, per le annualità 2015-2018, i tetti di spesa per l’acquisto dei dispositivi medici;
- nonché i provvedimenti regionali attuativi dell’art. 9-ter del d.l. n. 78 del 2015, adottati per procedere al ripiano dello sforamento del tetto di spesa a carico delle aziende fornitrici.
A seguito di tali impugnazioni, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza quater, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78.
In particolare, il Tar ha indicato come censurabile il sistema del “payback” per contrasto con l’art. 41 Cost., per la irragionevolezza del sistema così ideato tale da comprimere eccessivamente la libera attività imprenditoriale delle aziende coinvolte. Queste, infatti, sono chiamate ex lege a restituire somme ricavate dalla vendita dei dispositivi medici, nonostante il relativo prezzo sia stato fissato all’esito di gare pubbliche governate dai criteri di serietà e di sostenibilità dell’offerta. La misura così imposta sarebbe dunque incongrua, in quanto priva di un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra il diritto di iniziativa economica privata e l’utilità sociale, avuto anche riguardo alla ritardata fissazione del tetto di spesa annua regionale, intervenuta con Decreto del Ministero della Salute solo nel 2022, quando cioè il periodo di riferimento (annualità dal 2015 al 2018) era da tempo decorso.
Le disposizioni censurate non avrebbero consentito di conoscere alle imprese fornitrici, in sede di gara, la prestazione economica loro richiesta, non essendo stati previamente determinati né il tetto regionale di spesa né le relative modalità di calcolo, con conseguente «incertezza del sinallagma contrattuale».
L’incongruità della misura deriverebbe anche dalla circostanza che l’entità del riparto è calcolato in proporzione ai fatturati degli operatori economici, senza considerare che il fatturato aziendale coincide con i ricavi e non con il guadagno effettivo del fornitore e, come tale, non può ritenersi espressione della effettiva capacità contributiva degli operatori.
Sono state poi evidenziate le conseguenti difficoltà economiche delle imprese, soprattutto piccole e medie, che potrebbero determinarne la chiusura e il fallimento, con il rischio di blocco delle forniture ospedaliere.
La sentenza della Corte costituzionale n. 140/2024
Ebbene, la Corte Costituzione, con la sentenza n. 140 del 22 luglio 2024 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità del “payback” sollevate dal Tar Lazio, affermando che “l’iniziativa economica privata incontra il limite dell’utilità sociale, il che la rende compatibile con la possibile previsione legale di un contributo di solidarietà”.
Nella sentenza si legge inoltre che “la finalità della disciplina censurata è quella di garantire la razionalizzazione della spesa sanitaria. A tale finalità – peraltro strettamente funzionale anche alla tutela della salute – risponde la fissazione di un tetto di spesa nazionale e regionale per l’acquisto di dispositivi medici. In un contesto di forte complessità ed eterogeneità delle spese sanitarie, il tetto serve ad allocare risorse certe per l’acquisto dei dispositivi, affinché esse siano in equilibrio con altre voci di uscita finanziaria. (…) Considerate le plurime e rilevanti finalità perseguite dal legislatore, il meccanismo in esame, per come operante nel circoscritto periodo di cui al comma 9-bis, non risulta irragionevole né sproporzionato”.
Il meccanismo del “payback” viene quindi dichiarato legittimo e ragionevole in quanto pone a carico delle imprese un contributo solidaristico che trova giustificazione nell’esigenza di assicurare la dotazione di dispositivi medici “in presenza di una generale situazione economico-finanziaria altamente critica, che non consente ai bilanci dello Stato e delle regioni, finanziate con risorse della collettività, di far fronte in modo esaustivo alle spese richieste”.
La costituzionalità di tale meccanismo trova quindi, quale presupposto, una situazione eccezionale e straordinaria che giustifica un contributo di solidarietà.
Fa però riflettere il fatto che la sentenza, nonostante quanto sancito in termini di legittimità del “payback” ammetta, espressamente, che tale meccanismo “presenta criticità con riguardo, soprattutto, alla tutela delle aspettative delle imprese e alla certezza dei rapporti giuridici”.
Vengono quindi dichiarati come secondari e cedevoli i principi di certezza dei rapporti giuridici e tutela dell’affidamento dell’operatore economico; principi che, al contrario, insieme alla buona fede, dovrebbero essere fondamentali e inderogabili nei rapporti tra fornitore e Pubblica amministrazione, ai sensi del d.lgs. 36/2023 (Codice Appalti).
La riduzione dell’onere del “payback” e la sentenza della Corte costituzionale n. 139/2024
La legittimità e proporzionalità del meccanismo del “payback” viene affermata dalla Consulta anche a fronte della generalizzata riduzione di tale onere, dovuta ad altra pronuncia della stessa Corte costituzionale: la sentenza n. 139/2024, anch’essa del 22 luglio 2024.
Si deve premettere che l’art. 8 del d.l. n. 34 del 2023 ha istituito, presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo con dotazione pari a 1.085 milioni di euro per l’anno 2023.
Tale fondo è esplicitamente raccordato al ripiano del tetto di spesa regionale per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 e viene assegnato, pro quota, a ciascuna regione e provincia autonoma che ha superato il tetto di spesa, in proporzione agli importi spettanti per quelle quattro annualità.
Il comma 3 del citato art. 8, poi, ha introdotto una misura a beneficio delle aziende fornitrici dei dispositivi medici che non abbiano instaurato controversie, o che intendano abbandonarle, avverso i provvedimenti regionali di recupero. Subordinatamente a quest’ultima condizione, le imprese sono dunque chiamate al pagamento di un importo più esiguo (solo il 48 per cento della quota di ripiano determinata nei loro confronti).
Su tali previsioni ha appunto inciso la sentenza della Corte costituzionale n. 139/204, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 34 del 2023, istitutivo del sopra menzionato fondo di 1.085 milioni di euro «nella parte in cui non estende a tutte le aziende fornitrici di dispositivi medici la riduzione al 48 per cento della quota determinata dai provvedimenti regionali e provinciali di cui all’art. 9-ter, comma 9-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 ».
Grazie a tale sentenza viene quindi riconosciuta a tutte le imprese la riduzione dell’importo dovuto a titolo di “payback”, a prescindere dalla scelta di abbandonare il contenzioso in corso.
Tale riduzione viene definita dalla Corte costituzionale nella sentenza n.140/2024 come “una riduzione significativa, che rende l’onere a carico delle imprese, limitatamente al suddetto periodo, non sproporzionato”.
In altre parole, la legittimità e proporzionalità del “payback” deriverebbe, tra l’atro, dal fatto che l’onere risulta ridotto per tutte le aziende e non solo per quelle che abbiano rinunciato ai contenziosi.
Quali sono le prospettive future?
Se le conclusioni della Corte Costituzionale hanno sollevato forti perplessità, un segnale positivo si ritrova nella sentenza n. 139/2024, laddove, citando il rapporto della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica per l’anno 2023, presagisce:
- una ridefinizione di più ampia portata della disciplina, già ventilata dallo stesso legislatore all’art. 3-bis, comma 1, del decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51, ove si fa rifermento ad una futura nuova disciplina per la gestione della spesa relativa ai dispositivi medici,
- un nuovo stanziamento di risorse per ripianare lo sforamento dei tetti di spesa, secondo le modalità già individuate con l’istituzione del fondo di cui al decreto-legge n. 34 del 2023.
Si attende quindi, per il futuro, un intervento del legislatore!
Ad ogni modo, nonostante la pronuncia di legittimità costituzionale del “payback”, si deve precisare che non risultano ancora definiti i numerosi contenziosi promossi dalle aziende per l’impugnazione dei provvedimenti attuativi di tale meccanismo.
Nulla esclude che - come auspicano migliaia di aziende di questo comparto - il Tar o il Consiglio di Stato valutino illegittimi detti provvedimenti per altri vizi specifici sollevati dalle imprese ricorrenti, o che venga rinviata alla Corte di Giustizia UE la questione della loro compatibilità con le note direttive europee in materia di affidamenti pubblici.
Del resto, paiono fin troppo penalizzate le aziende che forniscono il sistema sanitario di dispositivi medici, considerata anche l’imposizione fiscale introdotta dall’art. 28 del D.lgs. 137/2022, che prevede il versamento di una quota pari allo 0,75% del fatturato.
Concludendo, non si può che constatare che le battaglie legali per le aziende fornitrici della sanità pubblica non sono finite!