Testo Unico Edilizia e Salva Casa: la nuova sanatoria particolare

La Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 ha introdotto nel d.P.R. n. 380/2001 il nuovo art. 34-ter con una nuova particolare procedura di sanatoria edilizia

di Andrea Di Leo - 06/08/2024

Il nuovo art. 34-ter del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) è rubricato “Casi particolari di interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo” e rappresenta la più importante (ed utile) novità introdotta dalla Legge n. 105/2024, di conversione con modificazioni del Decreto Legge n. 69/2024 (Decreto Salva Casa). Anzi, si può affermare di trovarsi di fronte a una piccola rivoluzione copernicana.

Ciò premesso, i rilievi e le riflessioni, anche critiche, che suggerisce la norma (a prima lettura) sono varie.

Art. 34-ter, d.P.R. n. 380/2001

Prima di addentrarci nell’analisi di questa disposizione, di seguito il testo definitivo:

1. Gli interventi realizzati come varianti in corso d'opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima della data di entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e che non sono riconducibili ai casi di cui all'articolo 34-bis possono essere regolarizzati con le modalità di cui ai commi 2 e 3, sentite le amministrazioni competenti secondo la normativa di settore.

2. L'epoca di realizzazione delle varianti di cui al comma 1 è provata mediante la documentazione di cui all'articolo 9-bis, comma 1-bis, quarto e quinto periodo. Nei casi in cui sia impossibile accertare l'epoca di realizzazione della variante mediante la documentazione indicata nel primo periodo, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal capo VI del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

3. Nei casi di cui al comma 1, il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono regolarizzare l'intervento mediante presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività e il pagamento, a titolo di oblazione, di una somma determinata ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 5. L'amministrazione competente adotta i provvedimenti di cui all'articolo 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche nel caso in cui accerti l'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 36-bis, commi 4 e 6. Per gli interventi di cui al comma 1 eseguiti in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica resta fermo quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 5-bis.

4. Le parziali difformità, realizzate durante l'esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all'esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge, non annullabile ai sensi dell'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono soggette, in deroga a quanto previsto dall'articolo 34, alla disciplina delle tolleranze costruttive di cui all'articolo 34-bis.

La ratio “nascosta” della nuova disposizione

La norma, pur senza evocarlo espressamente, è chiaramente ispirata a un principio, quello del legittimo affidamento, che il Legislatore statale (anche in ossequio agli insegnamenti della giurisprudenza amministrativa, in primis Cons. Stato, Ad. Plen. 8/2017) mai menziona nel d.P.R. n. 380/2001, specie con riferimento alla tematica delle “irregolarità edilizie”.

Ma che la matrice delle due fattispecie (varianti ante ’77 e “agibilità sanante”, come da alcuni è stata ribattezzata) normate dall’art. 34-ter risieda in tale istituto è abbastanza pacifico, sol che si consideri che la nuova disposizione statale è mutuata da due disposizioni della L.R. Emilia Romagna 23/2004.

Si tratta, in particolare, dell’art. 19-bis, comma 2-ter, secondo cui:

Nell'osservanza del principio di certezza delle posizioni giuridiche e di tutela dell'affidamento dei privati, costituiscono altresì tolleranze costruttive le parziali difformità, realizzate nel passato durante i lavori per l'esecuzione di un titolo abilitativo, cui sia seguita, previo sopralluogo o ispezione da parte di funzionari incaricati, la certificazione di conformità edilizia e di agibilità nelle forme previste dalla legge nonché le parziali difformità rispetto al titolo abilitativo legittimamente rilasciato, che l'amministrazione comunale abbia espressamente accertato nell'ambito di un procedimento edilizio e che non abbia contestato come abuso edilizio o che non abbia considerato rilevanti ai fini dell'agibilità dell'immobile. È fatta salva la possibilità di assumere i provvedimenti di cui all'articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990, nei limiti e condizioni ivi previste”;

e dell’art. 17-bis, comma 1, in base al quale

“1. Al fine di salvaguardare il legittimo affidamento dei soggetti interessati e fatti salvi gli effetti civili e penali dell'illecito, non si procede alla demolizione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità durante i lavori per l'attuazione dei titoli abilitativi rilasciati prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli) e le stesse possono essere regolarizzate attraverso la presentazione di una SCIA (…)”.

Sennonché, il Legislatore statale, pur ricalcando (non senza riformulazioni, di dubbia utilità) le due norme della L.R. Emilia Romagna, “riunite” nel nuovo art. 34-ter, ha evitato di far riferimento al principio del legittimo affidamento (nonché dell’osservanza del principio di certezza delle posizioni giuridiche).

Si tratta di un “pudore” singolare, atteso che simili principi costituiscono ormai parte integrante del diritto amministrativo.

Ad ogni modo, pur in assenza di un formale richiamo all’interno del nuovo art. 34-ter, non pare possa negarsi che la ratio delle due fattispecie ivi codificate risieda nel principio del legittimo affidamento (nonché di quello, altrettanto se non più importante, di certezza delle posizioni giuridiche, ossia, del diritto).

I confini delle due fattispecie: un nodo irrisolto (anche) dal Salva Casa

Altra questione generale che merita di essere sottolineata in questa disamina a prima lettura attiene al fatto che ad essere regolarizzabili sono solo le varianti in corso d’opera qualificabili (oggi) come parziali difformità.

Il che porta - “drammaticamente” - l’attenzione sulla annosa ed irrisolta questione dell’assenza di una univoca definizione della nozione di parziale difformità in seno al d.P.R. n. 380/2001.

In particolare, come noto, il punctum dolens risiede nell’art. 32 del TUE dove il Legislatore statale ha scelto, per molte delle ipotesi di variazione essenziale (soglia al di sotto della quale si individua la parziale difformità), di rimettere alla legislazione regionale la definizione “puntuale” di tali ipotesi, ma con una norma di principio, il comma 2 dell’art. 32 che, in diverse fattispecie, ben può essere qualificata come una “delega in bianco” (ad avviso di chi scrive: di dubbia legittimità costituzionale, visti gli effetti di totale disomogeneità che ciò produce da regione a regione: il noto dossier ANCE fornisce al riguardo una riprova solare di tale criticità).

In ragione di tale irrisolta criticità (alcuni emendamenti al D.L. 69/2024 andavano nel senso di colmare questa lacuna, ma il legislatore in sede di conversione ha scelto di non intervenire sul punto), il nuovo art. 34-ter è allo stato destinato ad operare con geometria variabile da regione a regione.

A rendere il quadro ancor più incerto vi è anche la linea inaugurata dalla Corte costituzionale, con la sentenza 4 luglio 2024, n. 119, dove (per ora solo con riferimento alla legislazione del Piemonte, ma con principi facilmente estensibili ad altre normative) è emersa in modo lampante tutta l’incertezza circa fin dove possa spingersi il legislatore regionale nel quantificare le soglie quantitative atte ad individuare il delicato confine tra parziale difformità e variazione essenziale.

Si tratta, vista l’importanza della nuova disposizione, di una condizione francamente poco tollerabile.

Passiamo, adesso, in rassegna (sommaria, si sottolinea) le due fattispecie, le regole e le questioni interpretative che pone il nuovo art. 34-ter.

Le varianti ante ’77

I commi 1, 2 e 3 disciplinano la sanatoria di quegli interventi che, realizzati in parziale difformità da un titolo edilizio ante Legge n. 10/77 (Legge Bucalossi), non furono assentiti da un formale titolo in variante.

Il legislatore - riconoscendo di fatto l’ambiguità (da anni discussa e segnalata nel mondo dei tecnici) circa la necessità, prima della L. 10/77 di un titolo in corso d’opera/a fine lavori per varianti “minori” al progetto approvato - consente tale sanatoria senza collegare la stessa ad alcuna verifica di doppia (simmetrica, o meno) conformità.

La sanzione da versare è regolata tramite rinvio al regime delle “oblazioni” oggi dettato dall’art. 36-bis, comma 5.

Merita di essere segnalato che il comma 3, secondo periodo, nel regolare gli aspetti procedimentali inerenti al regime della particolare SCIA in sanatoria in esame dispone che “L'amministrazione competente adotta i provvedimenti di cui all'articolo 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche nel caso in cui accerti l'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere”.

In buona sostanza, il legislatore affida alle Amministrazioni uno strumento di extrema ratio, consentendo alle stesse di inibire (entro il termine di 30 gg dal deposito) la SCIA in sanatoria laddove, pur rispettati i requisiti individuati dalla norma (intervento assentito con titolo ante ’77, variazione realizzata in corso d’opera qualificabile come parziale difformità), venga in rilievo un interesse pubblico che giustifichi la rimozione delle parziali difformità oggetto di regolarizzazione.

Appare chiaro come un simile potere abbia un contenuto altamente discrezionale e costituirà, assai probabilmente, terreno fertile per interpretazioni, giurisprudenziali e non, non univoche.

Peraltro, anche in presenza di tale valutazione, nulla esclude che il destinatario dell’atto inibitorio e, quindi, dell’ordine di ripristino, possa valutare – ricorrendone i presupposti – di ricorrere ad una fiscalizzazione ex art. 34 comma 2.

La tolleranza delle parziali difformità seguite da abitabilità “espressa”

Il quarto e ultimo comma della nuova norma prevede che “Le parziali difformità, realizzate durante l'esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all'esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge, non annullabile ai sensi dell'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono soggette, in deroga a quanto previsto dall'articolo 34, alla disciplina delle tolleranze costruttive di cui all'articolo 34-bis”.

La formulazione della norma – non pienamente in linea con il “modello”, più lineare, della L.R. Emilia Romagna 23/2004 – pone alcuni interrogativi.

In primo luogo, occorre domandarsi cosa debba intendersi per avvenuto accertamento delle parziali difformità nel corso di un sopralluogo da parte dei funzionari.

Una lettura rigorosa, potrebbe portare a richiedere la verifica, quantomeno, di una menzione della difformità in un verbale, potendosi dubitare che possa bastare che la difformità “non poteva non essere stata visionata” dai funzionari stessi. Detto altrimenti, potrebbe ritenersi necessario quantomeno che, dalla documentazione agli atti (il verbale di sopralluogo, ad esempio) emerga la presenza della parziale difformità, se non addirittura la espressa e specifica menzione della stessa.

A tal proposito, alcune prassi risalenti (ancorate a particolari previsioni regolamentari locali) portavano i funzionari a verbalizzare talune difformità e a far versare un importo a mo’ di fiscalizzazione ante litteram: qui avremmo un accertamento espresso in uno al requisito del non esser l’accertamento stesso stato seguito da un ordine di ripristino.

Da evidenziare, inoltre, come la norma non chiarisca se (come dovrebbe ritenersi, ad avviso di chi scrive) il sopralluogo dei funzionari preposti alle verifiche circa la conformità edilizia possa corrispondere al sopralluogo svolto ai fini dell’abitabilità/agibilità. Ove così non fosse – e la norma è ambigua sul punto, aprendo a tale lettura – ne deriverebbe una applicabilità piuttosto ridotta della fattispecie.

Anche in questo caso, dunque, sebbene nei limiti di una disamina per ora sommaria, appare chiaro che la fattispecie, per come formulata, determinerà non pochi oscillamenti interpretativi.

Il possibile “concorso” tra le due fattispecie

Infine, occorre osservare come per le varianti/parziali difformità a titoli ante L. 10/77 sussista un potenziale concorso tra le due fattispecie.

Cosicché, pur in presenza delle condizioni di cui al comma 4, ben potrà scegliersi di presentare una SCIA in base ai commi 1-3, al fine di ottenere uno stato legittimo più “solido” (poiché concretizzabile in un titolo in sanatoria vero e proprio, anziché in una mera tolleranza, ancorché oggi idonea a “concorrere” nella determinazione dello stato legittimo ex art. 9-bis, TUE).

Ma è vero anche il contrario: si dia il caso di una SCIA inibita, in base al comma 3, secondo periodo, con conseguente ordine di demolizione. In tal caso, al ricorrere delle condizioni di cui al comma 4, nulla sembra impedire al privato di invocare la tolleranza e, per tale via, impedire, comunque, la rimozione della parziale difformità.

© Riproduzione riservata