Servizi tecnici e Codice Appalti: le norme da cambiare a tutela dei professionisti

Confprofessioni interviene in Audizione sulle Risoluzioni dedicate alla revisione del nuovo Codice dei Contratti. Diverse le modifiche proposte

di Redazione tecnica - 11/09/2024

Equo compenso, subappalto, requisiti degli OE, livelli di progettazione. C’è questo e tanto altro nel documento di Confprofessioni, audita in VIII Commissione Ambiente alla Camera, nelli’ambito della discussione sulle Risoluzioni per le modifiche al Codice dei Contratti Pubblici 7-00220 Mazzetti , 7-00229 Manes, 7-00234 Santillo e 7-00247 Milani.

Equo Compenso e servizi tecnici: le proposte di Confprofessioni per il Codice dei Contratti

Sulle possibili correzioni al D.Lgs. n. 36/2023, il presidente della Confederazione, dott. Gaetano Stella, ha espresso un generale apprezzamento sulle risoluzioni, “che mirano a fornire dei chiarimenti ai dubbi interpretativi emersi, in sede applicativa, dopo il primo anno di vita del nuovo Codice, e possono rappresentare un’ottima base di partenza in vista di un possibile decreto correttivo e integrativo”.

Un argomento che sta a cuore alla Confederazione, tra i partecipanti al tavolo tecnico di consultazione che si è insediato lo scorso 1° luglio presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sfociato nella “consultazione digitale”, con cui ogni operatore e associazione invitato ha potuto inviare il proprio contributo di idee e proposte per l’elaborazione di un eventuale provvedimento migliorativo del testo.

Continua Stella: “Il Codice dei contratti pubblici rappresenta l’infrastruttura normativa sulla quale trovano attuazione le opere pubbliche e il nostro Paese non può permettersi disfunzioni derivanti dalle imperfezioni di questa impalcatura o scelte che implichino complicazioni nella realizzazione delle opere. Fino ad oggi il recepimento delle direttive europee in tema di contratti pubblici ha consentito all’Italia di ridurre drasticamente l’opacità e i fenomeni di corruzione che avevano caratterizzato i lavori pubblici nel recente passato. La leale concorrenza è quindi diventato il “metodo” per il conseguimento di risultati oggettivi e verificabili. Nella trama del Codice vi è lo sforzo per trovare un equilibrio tra esigenze a volte contrapposte, come la semplificazione delle procedure e la celerità dell’affidamento e dell’esecuzione dell’opera rispetto alla necessità di trasparenza, che hanno creato tanti problemi per lo sviluppo del settore".

"Al contempo – conclude Stella nel suo intervento introduttivo - condividiamo l’obiettivo delle risoluzioni oggetto di esame, di apportare correttivi mirati al Codice, al fine di garantire migliori risultati nella progettazione ed esecuzione delle opere pubbliche ed una maggiore concorrenza sul libero mercato”.

Dopo avere esaminato singolarmente le risoluzioni, Confprofessioni ha riportato quindi l’attenzione su alcuni profili ritenuti altrettanto meritevoli di interventi, per tutelare al massimo la qualità del progetto ed il suo controllo durante tutte le fasi: programmazione, progettazione ed esecuzione.

Equo compenso

Secondo Confprofessioni, la formulazione dell’art. 8 del Codice, secondo cui, salvo casi eccezionali, «la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso» offre una risposta ai dubbi fin qui emersi circa l’applicabilità della disciplina dell’equo compenso alle prestazioni rese nell’ambito di appalti pubblici. Una formulazione tanto più esplicita laddove letta alla luce della legge sull’equo compenso (l. 49/2023), la quale afferma espressamente la sua piena applicabilità alle pubbliche amministrazioni. Il quadro normativo fa dunque propendere per una piena applicabilità delle garanzie dell’equo compenso anche ai contratti pubblici.

Per dirimere però equivoci ed impedire abusi a danno dei professionisti, Confprofessioni chiede che il principio dell’equo compenso, sancito dalla legge n. 49/2023, sia espressamente confermato nell’applicazione del codice degli appalti. Conseguentemente, andrebbe espressamente prevista, per le gare di servizi di ingegneria e architettura, l’applicabilità di ribassi solo sulle spese accessorie, fermi restando i parametri stabiliti con decreto quali misura dell’equo compenso.

Non manca quindi il richiamo al recente parere dell’ANAC che ridimensiona l’applicabilità del principio dell’equo compenso ai contratti pubblici, escludendo, in linea di massima, che questi contratti siano inquadrabili nella figura di un rapporto asimmetrico tra contraente e professionista, non ritenendolo condivisibile.

Secondo Confprofessioni, i contratti pubblici, e in particolare nel caso della fornitura di servizi di ingegneria e architettura, sono l’esempio emblematico di un’asimmetria tra le parti che deve dar luogo all’applicazione della garanzia dell’equo compenso; viceversa, il valore di garanzia della nuova legge, fortemente voluta da tutti i partiti, su istanza pressante delle parti sociali, rischierebbe di perdersi nel nulla.

RUP

Strettamente collegato all’equo compenso, nel disciplinare la figura del RUP l’art. 15, al comma 6, dispone che le risorse finanziarie impiegate per gli incarichi diretti di assistenza non devono superare l’1% dell’importo posto a base di gara. La previsione di un limite percentuale rischia di porsi in contrasto con la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023.

Confprofessioni chiede che all’art. 15, comma 6, sia eliminato il seguente periodo: “… e possono destinare risorse finanziarie non superiori all’1 per cento dell’importo posto a base di gara per l’affidamento diretto da parte del RUP di incarichi di assistenza al medesimo”. Si ritiene infatti che la funzione di supporto al RUP vada ricondotta nell’ambito dell’equo compenso previsto dalle tabelle professionali di affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, nei limiti definiti dell’affidamento diretto.

Appalto integrato

Ricorda Confprofessioni che l’art. 59 del d.Lgs. n. 50/2016 vietava in toto il ricorso a tale tipologia di affidamento, anche a seguito della precedente applicazione della legge 109/94 che aveva portato ad allungamenti dei tempi di esecuzione e a maggiorazione dei costi complessivi delle opere. Il comma 2 non circoscrive in modo chiaro l’ambito di applicazione dell’appalto integrato lasciando alla stazione appaltante la motivazione della scelta semplicemente “con riferimento alle esigenze tecniche, tenendo sempre conto del rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto”.

Sulla base di quanto scritto da ANAC nel suo rapporto del 2023 al Parlamento, ed al fine di limitare la sua applicazione alle opere dove ci possano essere peculiarità e vantaggi, Confprofessioni suggerisce di prevedere che l’affidamento di un contratto avente ad oggetto sia la progettazione esecutiva sia l’esecuzione dei lavori, sia motivato “in ragione dell’elevato contenuto tecnologico delle opere da eseguire e alle esigenze di innovazione integrata tra progettazione”.

Inoltre è necessario introdurre limiti agli aumenti di costi nella fase esecutiva, tenuto conto delle disfunzioni frequentemente riscontrate negli appalti integrati in termini di incrementi di costo e varianti.

Accordi quadro

L’articolo non si coordina con l’art. 58 che promuove – in aderenza ai principi europei – la suddivisione in lotti per favorire le imprese piccole e medie. Mentre era stato previsto per soddisfare le esigenze di acquisto standardizzate, ma l’Accordo quadro oggi viene ampiamente utilizzato per affidare i servizi di ingegneria e architettura che, per loro natura, sono servizi intellettuali e non standardizzabili, uscendo dal libero mercato e finendo in un mercato secondario dove i grossi player si aggiudicano gli accordi, per poi girarli, in lotti di ridotta dimensione, ai liberi professionisti. Questa procedura può portare al mancato rispetto del principio dell’equo compenso, sul mercato secondario, e ad un conseguente impoverimento nel controllo della progettazione. Pertanto il ricorso all’Accordo quadro per l’affidamento dei servizi intellettuali dovrebbe essere fortemente limitato.

Confprofessioni suggerisce di aggiungere in fondo al comma 1 dell’articolo 59, il seguente paragrafo: “Relativamente ai servizi di ingegneria ed architettura può essere previsto solo per attività di manutenzione ordinaria e comunque per attività progettuali fortemente ripetitive”.

Requisiti tecnico economici

In tema di gare, Confprofessioni evidenzia la necessità di ampliare temporalmente i requisiti tecnico economici previsti per gli appalti di servizi ingegneria e architettura, di cui al comma 11, dell’art. 100. “Le statistiche dimostrano come il limite dei tre anni circoscriva fortemente la partecipazione a gran parte dei liberi professionisti. Va tenuto conto infatti che i servizi di ingegneria e architettura siano caratterizzati da tempistiche significativamente più ampie di quelle indicate, anche a causa dei tempi di approvazione delle opere da parte delle stazioni appaltanti. Tale limitazione imposta non comporta alcun vantaggio alla qualità dell’offerta, mentre invece ne limita la concorrenza a svantaggio dell’ente appaltante”.

Pertanto all’interno del comma 11, Confprofessioni propone di modificare la parte relativa al fatturato da “maturato nel triennio precedente” a “maturato nei migliori tre dei cinque anni precedenti” in modo da tener conto anche eventi anormali che possano causare drastici cali di fatturato (come avvenuto durante la pandemia); mentre la parte relativa alla capacità tecnica e professionale andrebbe modificata da “triennio” a “dieci anni”, per permette di valutare un curriculum professionale e consentire l’inserimento di servizi tecnici iniziati e completati con le naturali tempistiche, aumentando così la concorrenza e favorendo anche la partecipazione da parte dei giovani professionisti.

 

Direzione lavori e collaudo

Ricorda la Confederazione che le disposizioni di cui al comma 6, dell’art. 114 e al comma 4, dell’art. 116 riservano ai dipendenti della pubblica amministrazione lo svolgimento di attività fondamentali nell’economia di un appalto quali la direzione lavori e il collaudo.

Un’impostazione che si scontra con una razionale distribuzione dei compiti e delle responsabilità relative all’esecuzione dell’opera: “Alla pubblica amministrazione dovrebbe spettare, infatti, la programmazione e il controllo sull’opera pubblica, mentre la progettazione, direzione e collaudo dei lavori devono rimanere in capo ai liberi professionisti. Tale impostazione sottrae ai liberi professionisti attività e spazi di mercato rilevanti, a discapito del principio di libertà di accesso e concorrenza sancito dal nuovo Codice, oberando le amministrazioni di ulteriori compiti che spesso non hanno la capacità funzionale e le risorse sufficienti per soddisfarli”.

Confprofessioni propone quindi che la direzione lavori ed il collaudo siano riservati preferibilmente ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni solo in assenza di lavori complessi e di rischi di interferenze.

Inoltre, alla luce anche delle responsabilità che sempre più spesso vengono, in sede giudiziaria, imputate al direttore dei lavori, nell’articolato del Codice all’art. 114 (Direzione dei lavori e dell’esecuzione dei contratti) deve essere chiarito che il direttore dei lavori rappresenta il garante totale dei lavori e, conseguentemente, tutte le attività di realizzazione, ivi comprese le varianti migliorative proposte dall’appaltatore, devono essere presidiate ed approvate da tale figura. Per questa ragione si ritiene che tale ruolo di direzione dei lavori, proprio allo scopo di evitare stravolgimenti del progetto con conseguenti maggiori costi e incrementi della tempistica, debba, di norma, essere svolto dal progettista stesso dell’opera.

 

Subappalto

Nel previgente D.M. 50/2016 era vietato il subappalto delle prestazioni di ingegneri e architetti. Il nuovo Codice si limita a vietarlo in maniera integrale, incaricando le stazioni appaltanti di indicare, motivando, quali prestazioni del contratto siano da eseguire a cura dell’aggiudicatario in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto.

Secondo la Confederazione il subappalto dequalifica la libera professione, consentendo di trasformare il lavoro autonomo in lavoro subordinato, con un mercato al massimo ribasso e potendo portare ad una minore qualità del progetto. Si propone quindi di limitare il subappalto nelle prestazioni di servizi di ingegneria e architettura alle sole prestazioni specialistiche (per esempio acustica e prevenzione incendi), incaricando le stazioni appaltanti di indicare quali siano le prestazioni subappaltabili e che debbano essere dichiarate dall’operatore economico in fase di gara.

 

Collegio Consultivo Tecnico e modalità di costituzione

Dal combinato disposto delle due previsioni emergono alcune criticità:

  • un possibile conflitto con i compiti di Direzione dei Lavori e di Collaudatori in corso d’opera su decisioni da adottare durante la fase di esecuzione dei lavori (a mero titolo esemplificativo le decisioni che riguardano le scelte dei materiali);
  • un possibile contrasto con le norme che regolano le procedure di Accordo Bonario per le controversie sulle riserve iscritte dall’Appaltatore sul Registro di Contabilità;
  • Incongruenze sui compensi ai membri del CCT;
  • Il limite di non più di cinque incarichi in contemporanea.

Al fine di prevenire l’insorgere di contenzioso, che è peraltro la finalità dell’istituto del CCT, e salvaguardare i tempi di realizzazione dell’opera è necessario chiarire che laddove sorga un contrasto tra le decisioni della DL e quelle del CCT, sono queste ultime a prevalere.

Confprofessioni propone quindi le seguenti modifiche:

  • all’art. 215 dopo il comma 2, inserire il seguente: “2-bis. Le decisioni del Collegio consultivo tecnico prevalgono su quelle eventualmente prese dalla Direzione Lavori”;
  • ove il CCT sia costituito e insediato, le riserve scritte dall’Appaltatore sul Registro di contabilità devono essere sottoposte a parere consultivo del CCT;
  • all’art. 1, dell’Allegato V.2, eliminare il comma 5;
  • all’art. 4, co.1, dell’Allegato V.2, eliminare il seguente periodo: “Ogni componente del Collegio consultivo tecnico non può ricoprire più di cinque incarichi contemporaneamente e comunque non può svolgere più di 10 incarichi ogni due anni”.

 

PFTE

Infine, i contenuti del PFTE previsti nell’Allegato I.7, Sezione II, art. 6 del nuovo Codice pongono questo livello della progettazione, in realtà, ben al di là di quello che la sua definizione lascerebbe pensare, generando rallentamenti nell’approvazione dei progetti, con ricorso alla necessaria procedura di validazione, che portano a confronti continui tra progettisti e gruppi di validazione sull’effettiva portata del PFTE, con frequenti richieste di redazione di elementi progettuali di livello esecutivo già in questa fase.

Si richiede quindi di demarcare in modo più chiaro quali siano le differenze tra PFTE e progetto esecutivo, anche in merito alla predisposizione di calcoli e schemi funzionali, all’esigenza di presentare già nella prima fase progettuale le analisi dei prezzi. Il tutto anche nella considerazione di un corretto coordinamento con il decreto “parametri” che stabilisce il corretto compenso professionale in funzione delle prestazioni effettivamente richieste.

© Riproduzione riservata

Documenti Allegati