Cambio di destinazione d’uso: gli effetti del Salva Casa sulle procedure sanzionatorie in corso

Un’interessante sentenza del Consiglio di Stato entra nel merito della portata applicativa della Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa) sui procedimenti in corso

di Gianluca Oreto - 18/09/2024

Dalla pubblicazione della Legge n. 105/2024 di conversione del Decreto Legge n. 69/2024 (Decreto Salva Casa), arrivano sempre più spesso domande della serie: “adesso posso sanare?” oppure “posso richiedere un riesame della pratica?”. Domande assolutamente lecite da parte di chi evidentemente si basa sui titoli dei giornali generalisti (spesso votati allo scoop e non alla reale e puntuale informazione) e che non conosce la normativa edilizia.

Cambio di destinazione d’uso: ius superveniens

Ha risposto, parzialmente, a queste domande una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza n. 7486 del 9 settembre 2024) che ci consente di approfondire il tema del cambio di destinazione d’uso alla luce delle modifiche apportate all’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e sul quale risulta opportuno un distinguo tra gli effetti penali e civili che può avere la pubblicazione di una nuova norma (ius superveniens).

Occorre ricordare che nel nostro ordinamento vige il principio di irretroattività delle leggi. I rapporti giuridici regolati da una norma non possono essere modificati dalla pubblicazione di una nuova (a meno che non sia espressamente previsto ma senza toccare i rapporti già definiti e consolidati). Lo prevede:

  • l’art. 25, comma 2, della Costituzione italiana dispone “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
  • l’art. 11 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 262 (Preleggi) dispone “La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Dal punto di vista civile, però, una legge ordinaria potrebbe derogare al principio ed avere effetti retroattivi anche sui procedimenti in corso.

Il cambio di destinazione d’uso

Ne è prova, la citata sentenza n. 7486/2024 del Consiglio di Stato che riguarda un ricorso presentato per l’annullamento di una decisione di primo grado che aveva confermato un diniego di accertamento di conformità e un’ordinanza di ripristino.

Il caso riguarda un’istanza di accertamento di conformità presentata ai sensi dell’art. 36 del Testo Unico Edilizia (TUE) per il cambio di destinazione d’uso da deposito (categoria catastale C/2) a residenza (categoria catastale A/3) dei locali di una unità posta al piano rialzato.

Particolare non trascurabile: siamo in un Comune ricompreso nella zona rossa vesuviana, dove non è consentito il cambio di destinazione d’uso ai fini residenziali perché costituisce aumento del carico antropico.

La vicenda prosegue in secondo grado con l’accertamento da parte dei giudici dell’effettiva insistenza dell’immobile sulla zona rossa vesuviana. Accertamento che viene confermato e da cui ne consegue il corretto operato della P.A. oltre che dei giudici di primo grado.

Gli effetti del Salva Casa

Ciò che interessa maggiormente è la parte in cui il ricorrente, in vista dell’udienza, ha riferito e documentato di aver presentato istanza di sanatoria del cambio di destinazione da deposito a residenza sulla base della nuova versione dell’art. 23-ter del Testo Unico Edilizia come modificato dal Decreto Salva Casa (all’epoca non ancora convertito in legge).

Sul punto i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato un principio ormai consolidato della giurisprudenza per cui l’avvenuta presentazione di un’istanza di sanatoria edilizia successiva ad un ordine di demolizione non incide sulla legittimità dello stesso ma solo sulla sua efficacia.

Stesso discorso vale sulla definizione del giudizio in corso.

Ciò che cambia, però, è che anche in caso di rigetto (come in effetti è stato) l’efficacia degli atti impugnati rimarrebbe sospesa fino alla pronuncia del Comune sulla nuova domanda di sanatoria presentata ai sensi del Salva Casa che:

  • se favorevole per il privato, rappresenterebbe una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento sulla base della nuova normativa, a prescindere dall’esito della sentenza;
  • se sfavorevole, riprenderebbe efficacia l’ingiunzione di ripristino.

Cambio di destinazione d’uso: cambia qualcosa nel caso di specie?

Provando a ragionare sul caso di specie (pur con le ridotte informazioni), occorre ricordare alcuni aspetti fondamentali della nuova versione dell’art. 23-ter:

  1. il comma 1-ter consente il mutamento di destinazione d'uso tra le categorie funzionali residenziale (a), turistico-ricettiva (a-bis), produttiva e direzionale (b) e commerciale (c), di una singola unità immobiliare ubicata in immobili ricompresi nelle zone A), B) e C) di cui all'art. 2 del DM n. 1444/1968, nel rispetto delle condizioni di cui al successivo comma 1-quater e delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni;
  2. il successivo comma 1-quater conferma che il cambio di destinazione d’uso delle singole u.i. tra le categorie indicate al comma 1-ter, è sempre consentito, ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, inclusa la finalizzazione del mutamento alla forma di utilizzo dell'unità immobiliare conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell'immobile;
  3. l’ultimo periodo del comma 1-quater dispone una specifica disciplina per le u.i. poste al primo piano fuori terra o seminterrate, per le quali il cambio di destinazione d'uso è disciplinato dalla legislazione regionale, che prevede i casi in cui gli strumenti urbanistici comunali possono individuare specifiche zone nelle quali il cambio di destinazione d’uso verticale citato si applica anche alle unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate;
  4. il primo periodo del comma 3 dispone che “Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo, che trovano in ogni caso applicazione diretta, fatta salva la possibilità per le regioni medesime di prevedere livelli ulteriori di semplificazione”.

Nel caso di specie:

  • l’accertamento di conformità chiede la sanatoria di un cambio di destinazione d’uso verticale (ovvero tra categorie funzionali diverse) da magazzino a residenza;
  • stiamo parlando di un immobile posto a piano rialzato, dunque, al primo piano fuori terra;
  • la licenza edilizia rilasciata nel 1957 per la costruzione del fabbricato di due piani, compreso il piano rialzato, prevedeva che la stessa è concessa, tra l’altro, all’espressa condizione “che i locali a piano rialzato non siano destinati per abitazioni” (e per questo tali locali sono qualificati come “deposito” nella cartografia allegata al titolo);
  • l’immobile è stato incluso nella zona rossa non dalla Deliberazione del Consiglio comunale ma dalla perimetrazione da parte del Dipartimento della Protezione civile.

In definitiva, a parere di chi scrive, l’avvenuta sopravvenienza del Decreto Salva Casa non avrebbe alcun effetto sulle possibilità di approvazione dell’ultima istanza di sanatoria, con la conseguenza che dopo il suo rigetto, riprenderebbero a decorrere i termini per il ripristino dello stato dei luoghi (nel frattempo sospesi).

© Riproduzione riservata