Stato legittimo, cambio di destinazione d’uso e autorizzazione paesaggistica: interviene il Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato chiarisce le modalità di definizione dello stato legittimo nel caso di assenza del titolo edilizio integrale originario e la legittimità di un cambio di destinazione d’uso in sanatoria

di Gianluca Oreto - 19/09/2024

Come recentemente chiarito dal Consiglio di Stato, l’avvenuta presentazione di un’istanza di sanatoria ai sensi di una norma sopravvenuta nel corso di un giudizio non incide direttamente sulla stessa né sull’eventuale ordine di demolizione emesso. Ciò che cambia è l’efficacia degli atti che resta sospesa fino alla definizione della pronuncia sulla nuova istanza.

Testo Unico Edilizia e Salva Casa

Una pronuncia molto interessante soprattutto perché dal 28 luglio 2024 sono ufficialmente in vigore (anche se in attesa di essere metabolizzate correttamente) le modifiche al d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) apportate dal Decreto Legge n. 69/2024 (Decreto Salva Casa), convertito in Legge n. 105/2024.

Modifiche che, come anticipato, non hanno un effetto diretto sui procedimenti già definiti né sulle sentenze rese sulla base della precedente versione del Testo Unico Edilizia (TUE), come la sentenza del Consiglio di Stato 9 settembre 2024, n. 7485 che ci consente di approfondire due delle tematiche recentemente “sconvolte” dal Decreto Salva Casa:

  • la definizione dello stato legittimo ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del TUE;
  • la sanatoria per un cambio di destinazione d’uso con possibilità di accertamento “a posteriori” della compatibilità paesaggistica.

Il caso

Il caso oggetto della sentenza riguarda il ricorso presentato per l’annullamento di una decisione di primo grado e la conseguente riforma dell’operato della P.A. che aveva accolto una richiesta di SCIA in sanatoria per cambio di destinazione d’uso finalizzato a destinare alcuni locali (cantina e piano terra) al commercio (bar-tabacchi).

Nel caso di specie, il controinteressato aveva:

  • prima presentato una SCIA per la realizzazione d’interventi di manutenzione straordinaria con divisione e mutamento di destinazione d’uso di una parte del fabbricato di proprietà;
  • poi presentato una SCIA per dare avvio all’attività commerciale;
  • infine chiesto e ottenuto l’accertamento di compatibilità paesaggistica, previo parere favorevole della Soprintendenza, e il permesso di costruire in sanatoria per il cambio di destinazione d’uso del locale adibito ad attività commerciale di bar-tabacchi.

Il ricorso è stato presentato dal titolare di un bar nelle vicinanze che ha chiesto al Comune di revocare in autotutela la prima SCIA. Richiesta che è stata respinta prima dal Comune stesso e poi dal TAR.

In particolare, il Tribunale di primo grado ha giudicato infondata la tesi della ricorrente circa l’illiceità urbanistica del locale, prima destinato a deposito e ora ad attività commerciale, ritenendolo legittimato dalla prima licenza edilizia; inoltre, ha considerato sanabile il mutamento di destinazione d’uso del locale in quanto non ha comportato alcuna modifica strutturale né alcun aumento di superficie e/o volume.

In appello, il ricorrente ha contestato che diversamente da quanto ritenuto dal TAR:

  • non sia stata fornita alcuna valida prova della pregressa legittimità dei locali, dato che la relativa licenza non è mai stata rinvenuta negli archivi comunali;
  • il cambio di destinazione dei locali da deposito e cantina a bar-tabacchi ha determinato un aumento di superficie utile, dunque non potrebbe essere sanato né sotto il profilo edilizio, né sotto quello paesaggistico.

Stato legittimo

Premesso che la definizione di “stato legittimo” ai sensi dell’art. 9-bis, comma 1-bis, del TUE, è mutata a seguito del Decreto Salva Casa, nel caso oggetto della contesa è stato fornito un principio di prova del titolo che ha legittimato i locali in questione, mediante produzione in primo grado della licenza edilizia, sia pure mancante degli elaborati progettuali. A tal proposito, con nota del Servizio Tecnico del Comune, nel fornire riscontro al TAR che aveva disposto l’acquisizione degli allegati alla concessione edilizia, ha riferito che «dopo attente ricerche compiute negli uffici comunali non è stato possibile rinvenire la documentazione richiesta», probabilmente a causa del fatto che l’Ente «negli anni ha cambiato più volte sede e che, all’epoca, le domande in materia edilizia venivano presentate con soli documenti cartacei».

Mancando dunque una copia del titolo integrale, ma essendovi un principio di prova dello stesso, lo stato legittimo dell’immobile può essere dimostrato in giudizio mediante “documenti probanti”, il che è quanto accaduto nel caso di specie.

Nel caso di specie, infatti, vi sono infatti elementi che conducono a presumere che il locale cantina e ripostiglio sia stato legittimato proprio dalla licenza, consistenti nel fatto che questa riguardava la «costruzione di un locale deposito ricadente nel perimetro abitato» in una via che successivamente ha cambiato nome ed era stata rilasciata al padre dell’appellato, il quale non era proprietario di altri edifici nel Comune, come allegato e non specificamente contestato. Vi è, dunque, coincidenza dell’immobile, del soggetto cui è stato rilasciato il titolo e della destinazione d’uso.

Cambio di destinazione d’uso in sanatoria e compatibilità paesaggistica

In riferimento al secondo motivo, il Consiglio di Stato ha ricordato che l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) consente l’accertamento “a posteriori” della compatibilità paesaggistica di un intervento (per il quale, secondo la regola generale dettata dall’art. 146 del medesimo D.Lgs., l’autorizzazione paesaggistica deve essere chiesta prima dell’esecuzione), limitandolo a casi eccezionali, consistenti nei “abusi minori” specificati dal comma 4 a mente del quale:

L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380
”.

È a tal fine necessario che i lavori “non abbiano determinato creazione di superfici utili”. Come specificato dalla giurisprudenza, il concetto di “superficie utile”, non essendo definito dal codice dei beni culturali e del paesaggio, deve essere definito facendo riferimento al significato tecnico-giuridico che ha in materia urbanistico-edilizia.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha richiamato la definizione contenuta nello schema di Regolamento edilizio tipo, secondo cui per “superficie utile” s’intende la «superficie di pavimento degli spazi di un edificio misurata al netto della superficie accessoria», la quale, a sua volta, comprende gli spazi di un edificio «aventi carattere di servizio», tra cui sono espressamente inclusi «le cantine poste al piano interrato, seminterrato o al primo piano fuori terra» e «i depositi».

Sebbene, infatti, anche la Corte costituzionale ne abbia chiaramente negato la natura di fonte regolamentare statale, che come tale sarebbe invasiva della potestà riconosciuta alle Regioni nelle materie di legislazione concorrente, riconoscendole piuttosto una mera funzione di raccordo e coordinamento meramente tecnico e redazionale (Corte cost., sent. n. 125 del 2017), in assenza di indicazioni alternative, anche da parte del legislatore primario, in ambiti specifici, quali quello paesaggistico, non può non accedersi a tali chiare indicazioni definitorie.

La definizione di superficie accessoria così ricostruita si attaglia alla fattispecie in esame anche alla luce delle sue peculiarità, poiché vero è che l’intervento riguarda la sola modifica di destinazione d’uso di locali già esistenti, senza aumento della superficie e della volumetria “geometriche”, ma esso è comunque tale da determinare un sicuro impatto urbanistico, anche perché comporta che gli spazi che ne sono oggetto vengano funzionalmente disgiunti da quelli soprastanti, aventi destinazione residenziale.

Nel caso di specie, dunque, la Soprintendenza ha rilasciato un parere favorevole sul presupposto che non vi sia stato aumento di superficie intesa come «grandezza geometrica», mentre avrebbe dovuto valutare l’incremento della “superficie utile” determinato dal passaggio di una cantina-deposito, oltretutto a servizio di un’abitazione, in un bar tabacchi.

Come osservato in giurisprudenza, infatti, «nel caso della superficie, anche un intervento realizzato in invarianza (ma che abbia modificato la composizione relativa della superficie e la sua concreta utilizzabilità) può esulare dall’ambito di quelli di carattere “minore”».

Il cambio di destinazione di locali già utilizzati quali cantina e deposito in laboratorio per la preparazione di alimenti, sala con angolo bar-tabacchi e servizi igienici con antibagno comporta infatti la trasformazione di superficie accessoria in superficie utile, con aumento di quest’ultima e, di conseguenza, la realizzazione dell’intervento in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non può essere sanato a posteriori.

Proprio per questo motivo, in riforma della sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello.

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