La gestione delle difformità edilizie dopo il Salva Casa

Il Decreto Salva Casa ha modificato le disposizioni relative alla gestione delle difformità edilizie. Vediamo come e quali sono le criticità rimaste

di Gianluca Oreto - 17/10/2024

Solleticato da un articolo dell’amico Arch. Marco Campagna dal bellissimo titolo “La CILA tardiva è morta” ho pensato di fare il punto su alcune delle disposizioni contenute nel d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) dopo la “rivoluzione” arrivata con la Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa).

Difformità edilizie tra tolleranze e abusi formali, parziali e sostanziali

Preliminarmente occorre considerare che non tutte le difformità edilizie scaturiscono in veri e propri abusi. La nuova versione dell’art. 34-bis del Testo Unico Edilizia (TUE) prevede un’ampia casistica di tolleranze costruttive-esecutive che non costituiscono più una violazione edilizia da sanare. Per queste tolleranze occorre considerare:

  • se gli interventi sono stati realizzati entro il 24 maggio 2024 – in questo caso si applicano le nuove percentuali di tolleranza dal 2 al 6% in funzione della superficie utile della singola unità immobiliare;
  • se gli interventi sono stati realizzati a partire dal 25 maggio 2024 – in questo caso si applica sempre la tolleranza del 2%.

Fuori dai casi che rientrano nelle tolleranze, una difformità può essere relativa:

  • all’assenza di titolo abilitativo;
  • alla realizzazione di un intervento che non rispetta le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia (norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

Nel primo caso, è sempre opportuno distinguere i casi in cui per la realizzazione dell’intervento era necessario:

  • presentare una comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA);
  • presentare una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) “leggera”:
  • presentare una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) alternativa a permesso di costruire “pesante”;
  • richiedere il permesso di costruire.

Nel secondo caso, invece, la demolizione dell’abuso e il ripristino dello stato dei luoghi è la prima soluzione attivabile dalla P.A. Successivamente all’ordinanza di demolizione, e nei soli casi previsti agli articoli 33 (Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità), 34 (Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire) e 38 (Interventi eseguiti in base a permesso annullato) del TUE, è possibile verificare la possibilità di sanzione alternativa alla demolizione il cui pagamento, dopo la modifica al comma 1-bis, art. 9-bis, del TUE, concorre allo stato legittimo dell’immobile.

CILA tardiva

Fuori dai casi di:

  • edilizia libera (art. 6, TUE);
  • permesso di costruire (art. 10, TUE) e quindi SCIA alternativa (art. 23, TUE);
  • SCIA (art. 22, TUE);

l’art. 6-bis del TUE dispone che l’intervento possa essere realizzato a seguito di presentazione di CILA.

Per meglio chiarire, con la Tabella A allegata al D.Lgs. n. 222/2016 (Decreto SCIA 2) il legislatore ha effettuato una ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi. Tra gli interventi soggetti a CILA sono riportati:

  • manutenzione straordinaria “leggera”;
  • restauro e risanamento conservativo “leggero”;
  • eliminazione delle barriere architettoniche.

Il comma 5, art. 6-bis, del TUE dispone “La mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione”.

Ciò significa che avere realizzato uno dei suddetti interventi (manutenzione straordinaria, restauro,…) in assenza di CILA non corrisponde ad un “abuso edilizio” (che necessiterebbe di una procedura di sanatoria). In questo caso l’intervento è regolarizzabile dal punto di vista amministrativo mediante CILA tardiva a fine lavori o in corso d’opera).

Variazioni essenziali, abusi parziali e totale difformità

A questo punto è possibile passare alle diverse fattispecie di “difformità” edilizie che possono essere suddivide in 3 categorie:

  • variazioni essenziali;
  • abusi parziali;
  • totale difformità;

ognuna delle quali prevede una diversa modalità di regolarizzazione.

Con il Salva Casa il legislatore ha deciso di introdurre 2 nuove casistiche di regolarizzazione degli interventi eseguiti in parziale difformità dal titolo:

  • quelli realizzati come varianti in corso d'opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima della data di entrata in vigore della Legge n. 10/1977;
  • quelle realizzate durante l'esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all'esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge, non annullabile.

Nel primo caso l’intervento è regolarizzabile mediante presentazione di SCIA e pagamento, a titolo di oblazione, di una somma determinata ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 5, del TUE.

Il secondo caso, invece, è soggetto alla stessa disciplina prevista per le tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis.

Il problema da risolvere

Tutto ciò premesso, resta un gigantesco problema che al momento è stato affrontato dalla giurisprudenza amministrativa. Mentre le variazioni essenziali sono definite all’art. 32 del TUE e dalle norme regionali che ne hanno definito le specificità (con parecchie differenze tra Regione e Regione), resta una nebbia fitta sulla definizione di “abuso parziale” e “abuso totale”.

Oltretutto, fa notare l’amico Marco Campagna nel suo approfondimento, siamo certi che nel concetto di abuso parziale (regolarizzabili tramite art. 36-bsi, del TUE) non rientrino anche gli interventi realizzati in assenza di CILA? Se così fosse, la CILA tardiva diventerebbe uno strumento non più utilizzabile.

Su questo preciso punto, la mia personale opinione è che i casi gestibili mediante CILA tardiva resteranno tali. Resta, però, il dubbio (tale perché non affrontato all’interno del TUE) sulla definizione di abuso parziale.

Una recentissima sentenza del TAR Lazio (che non ha risolto il problema ma lo ha nuovamente messo in evidenza) rileva come all’interno del TUE “non esiste una compiuta definizione della categoria dei lavori ed interventi eseguiti in parziale difformità”. Definizione che il legislatore dovrebbe inserire nella normativa edilizia anche solo per non vanificare gli obiettivi del nuovo art. 36-bis che ha previsto una sanatoria semplificata proprio per questa tipologia di abuso.

Ai problemi già conosciuti dal legislatore (modulistica unificata e definizione sanzioni per la sanatoria), il legislatore dovrebbe, dunque, attivarsi per colmare quello che risulta essere un vero e proprio vuoto normativo.

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