Recupero sottotetti, sopraelevazioni e sanatoria edilizia: interessante sentenza del Consiglio di Stato
La violazione del contraddittorio procedimentale è idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento anche nei procedimenti vincolati, quale quello di sanatoria
Attualmente, con l'entrata in vigore della Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024 (Salva Casa), che ha apportato modifiche significative al Testo Unico Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), il recupero dei sottotetti e la sanatoria edilizia sono temi di grande interesse. Nell’attesa che le nuove disposizioni comincino a produrre effetti tangibili, il dato di fatto è rappresentato dagli interventi della giustizia amministrativa.
Recupero sottotetti e sopraelevazione: interviene il Consiglio di Stato
Il recupero dei sottotetti a fini abitativi è una pratica regolata dalla normativa regionale e nazionale, con l’obiettivo di limitare il consumo di suolo e favorire l’efficienza energetica. Tuttavia, sul recupero dei sottotetti occorre fare la dovuta cautela. Lo dimostra una interessante pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza n. 7631/2024) che riguarda una richiesta di riforma di una precedente decisione di primo grado, che a sua volta aveva confermato l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune e relativa ad una istanza di accertamento di conformità sulla quale si era formato il “silenzio-rigetto”.
Nel caso di specie, i ricorrenti avevano richiesto la sanatoria edilizia per un intervento che prevedeva una sopraelevazione e il recupero del sottotetto. Tuttavia, la Commissione Igienico Edilizia Comunale ha negato l’autorizzazione, ritenendo non applicabile la normativa sul recupero sottotetti in quanto il nuovo piano creato non rispettava le altezze minime e i requisiti urbanistici.
Il ricorso
A questo punto segue l’ordine di demolizione che viene impugnato prima al TAR (che lo respinge) e poi in secondo grado sulla base delle seguenti doglianze:
- il procedimento di sanatoria non si sarebbe concluso con un provvedimento espresso, atteso che è stato soltanto comunicato il parere sfavorevole espresso dalla Commissione edilizia, peraltro, non vincolante;
- anche a voler considerare la mera comunicazione del parere della Commissione edilizia l’atto conclusivo del procedimento, quest’ultima è stata comunque adottata in violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990;
- la manifestazione delle ragioni ostative all’accoglimento della sanatoria con particolare riferimento alla natura delle opere realizzate e alla loro riconducibilità alla pertinente disciplina edilizia e urbanistica avrebbero consentito ai ricorrenti di svolgere le opportune controdeduzioni con il raggiungimento delle finalità partecipative che la giurisprudenza ritiene inderogabili;
- non sarebbe comprensibile come la realizzazione di un intervento diverso solo nella disposizione degli spazi e nelle modalità di realizzazione, senza aumento di sagoma, volume e superfici utili, possa essere ritenuto “incompatibile” con le previsioni di PRGC per la sola (e non chiara) ragione per cui i ricorrenti avrebbero richiesto di sanare gli abusi contestati, valutando e considerando “quale sottotetto il secondo piano dell’edificio, il cui volume, ormai, non si trova più a contatto con la sagoma di copertura dell’edificio”;
- sia il provvedimento impugnato, quanto la sentenza del TAR Piemonte, sarebbero del tutto privi di una adeguata motivazione;
- il provvedimento di diniego non farebbe alcun riferimento a quali siano gli elementi di fatto che non consentirebbero l’accertamento di conformità ex art. 36 d.p.r. n. 380/2001 e la loro correlazione con le norme di piano.
Accertamento di conformità ex art. 36: il silenzio è rigetto
Preliminarmente, il Consiglio di Stato ha ricordato che la richiesta di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 è soggetta al requisito della doppia conformità. L’intervento, cioè, deve risultare conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Nel caso di specie, all’istanza di sanatoria non è seguito alcun provvedimento se non l’ordinanza di demolizione che l’ha implicitamente respinta prendendo atto del parere contrario espresso dalla Commissione edilizia comunale.
Ai sensi del comma 3, art. 36, del Testo Unico Edilizia, il silenzio sull’istanza di sanatoria ha significato di rigetto.
Il preavviso di rigetto
Per quanto riguarda il preavviso di rigetto, il Consiglio di Stato ha ricordato un principio consolidato per il quale lo stesso, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego che non sia stato preceduto dall'invio della comunicazione di cui all'art. 10-bis (Comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza) della Legge n. 241/1990, in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e, dunque, della possibilità di un apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda.
In linea generale, la violazione del contraddittorio procedimentale è idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento anche nei procedimenti vincolati, quale quello di sanatoria, quando il contraddittorio procedimentale con il privato interessato avrebbe potuto fornire all'Amministrazione elementi utili ai fini della decisione, ad esempio in ordine alla ricostruzione dei fatti o all'esatta interpretazione delle norme da applicare.
Dunque, affinché la violazione dell'art. 10-bis della Legge n. 241/1990 possa inficiare la legittimità del provvedimento impugnato, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie garanzie partecipative, ma è anche tenuto ad indicare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento.
Ne deriva che la violazione del citato art. 10-bis è idonea a determinare l’annullamento del diniego di condono o sanatoria, qualora, alla stregua degli elementi deduttivi e istruttori forniti dalla parte privata, sia dubbio che, in caso in osservanza delle disposizioni procedimentali violate, il contenuto dispositivo dell’atto sarebbe stato identico a quello in concreto assunto.
Cosa che nel caso di specie non è avvenuta. Per cui trova, comunque, applicazione il disposto di cui all’art. 21-octies, comma 2, prima parte, della legge n. 241 del 1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Recupero sottotetti e normativa regionale
Relativamente alle censure di “merito”, il Consiglio di Stato ha ricordato la normativa regionale:
- la legge regionale che ha promosso il recupero a fini abitativi dei sottotetti con l’obiettivo di limitare il consumo di suolo e di favorire il contenimento dei consumi energetici, ha stabilito che, negli edifici esistenti destinati o da destinarsi in tutto in parte a residenza, è consentito il recupero a solo scopo residenziale del piano sottotetto, purché risulti legittimamente realizzato al 31 dicembre 2012;
- la stessa legge regionale definisce “sottotetti” i volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici compresi nella sagoma di copertura.
Nel caso di specie, a seguito della trasformazione realizzata, l’originario piano secondo sottotetto è diventato un piano secondo, sovrastato da un terzo piano sottotetto, in quanto il volume del secondo piano dell’edificio non si trova più a contatto con la sagoma di copertura dell’edificio stesso.
I piani fuori terra dell’edificio, in sostanza, da due sono diventati tre.
L’amministrazione comunale, quindi, ha compiutamente dimostrato come non risultava applicabile alla fattispecie la disciplina regionale sul recupero ai fini abilitativi dei sottotetti, in quanto, a seguito della realizzazione del progetto, il secondo piano sottotetto è diventato un piano vero e proprio e il sottotetto è divenuto un nuovo piano, il terzo.
Inoltre, il parere contrario della Commissione ha evidenziato che la difformità delle opere alla disciplina urbanistico/edilizia al momento dell’abuso ed al momento della presentazione dell’istanza discende anche dal fatto che le altezze dei vani al piano secondo sono inferiori ai ml 2,70 minimi prescritti dal DM 5 luglio 1975 e dal fatto che la aumento di SUL ammesso dal Piano Regolatore risulta già usufruito interamente con permesso di costruire e varianti.
In definitiva, l’appello è stato respinto in quanto infondato.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 18 settembre 2024, n. 7631