Riserve negli appalti pubblici: la richiesta deve essere tempestiva
È tardiva la riserva iscritta unicamente alla cessazione del fatto continuativo o nel corso dello stesso, e non segnalata alla prima contabilità utile
Per potere essere considerate tempestive, le riserve negli appalti pubblici vanno iscritte quando l’appaltatore ha la percezione del verificarsi del danno, ben potendo effettuare la quantificazione del danno in un momento successivo.
Riserve negli appalti: no a iscrizioni tardive
A spiegarlo è il tribunale di Ascoli Piceno con la sentenza del 29 ottobre 2024, n. 662, dichiarando la tardività delle riserve iscritte da un’impresa soltanto al terzo SAL dei lavori di miglioramento sismico e messa in sicurezza, e che aveva più volte lamentato rallentamenti e problematiche progettuali che avrebbero influito sull’esecuzione dei lavori, senza però di fatto provvedere concretamente.
Spiega il tribunale che l’appaltatore, per fare valere le proprie ragioni, deve seguire precise procedure, formali e vincolate, stabilite dalle norme speciali sui lavori pubblici. Il rispetto rigido di tali procedure, confermato, negli anni, dall’unanime giurisprudenza è condizione essenziale perché le richieste possano essere ritenute tempestive, ammissibili e, dunque, possano essere esaminate nel merito.
Riserve negli appalti pubblici: le norme di riferimento
In particolare, il DM n. 49/2018 ha previsto all’art. 9 che “il direttore dei lavori, per la gestione delle contestazioni su aspetti tecnici e delle riserve, si attiene alla relativa disciplina prevista dalla stazione appaltante e riportata nel capitolato d’appalto”, ovvero, in mancanza di indicazioni specifiche, come in questo caso, si attiene alle norme del d.Lgs. n. 163/2006 e del d.P.R. n. 207/2010 laddove non in contrasto con quelle contenute nello stesso d.Lgs. n. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici) che nel caso saranno prevalenti.
Ne discende che la disciplina di riferimento in ordine alle riserve e, in particolare, alla loro tempestività ed ammissibilità, sarà quella di cui all’art.191 del d.P.R. n. 207/2010 ove si prevede:
- al comma 2, che “le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell'appalto idoneo a riceverle, successivo all'insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell'esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nel registro di contabilità all'atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono abbandonate”;
- al comma 3 che “le riserve devono essere formulate in modo specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano. In particolare, le riserve devono contenere a pena di inammissibilità la precisa quantificazione delle somme che l'esecutore, ritiene gli siano dovute”;
- al comma 4, che “la quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all'importo iscritto”.
La disciplina è completata, poi, dall’art. 190 dello stesso d.P.R. n. 207/1010 che:
- al comma 3 prescrive che “se l'esecutore, ha firmato con riserva, qualora l'esplicazione e la quantificazione non siano possibili al momento della formulazione della stessa, egli esplica, a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni, le sue riserve, scrivendo e firmando nel registro le corrispondenti domande di indennità e indicando con precisione le cifre di compenso cui crede aver diritto, e le ragioni di ciascuna domanda”;
- al comma 5 che “nel caso in cui l'esecutore non ha pagina firmato il registro nel termine di cui al comma 2, oppure lo ha fatto con riserva, ma senza esplicare le sue riserve nel modo e nel termine sopraindicati, i fatti registrati si intendono definitivamente accertati, e l'esecutore decade dal diritto di far valere in qualunque termine e modo le riserve o le domande che ad essi si riferiscono”.
Vi è poi l’art. 201 del d.P.R. n. citato prevede che l’appaltatore, al momento della firma del conto finale, “non può iscrivere domande per oggetto o per importo diverse da quelle formulate nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori, e deve confermare le riserve già iscritte sino a quel momento negli atti contabili per le quali non siano intervenuti la transazione di cui all'articolo 239 del codice o l'accordo bonario di cui all'articolo 240 del codice, eventualmente aggiornandone l'importo” ma “se l'esecutore non firma il conto finale nel termine sopra indicato, o se lo sottoscrive senza confermare le domande già formulate nel registro di contabilità, il conto finale si ha come da lui definitivamente accettato”.
Dalla normativa primaria e secondaria richiamata, risalta che, in tema di riserve negli appalti pubblici, il legislatore ha imposto all’appaltatore (ed impone tutt’ora, anche a seguito delle modifiche normative intervenute) delle stringenti regole da rispettare, finalizzate al delicato bilanciamento tra l’interesse privatistico ad ottenere la giusta remunerazione per l’opera prestata in favore della pubblica amministrazione e l’interesse pubblicistico al contenimento della spesa pubblica.
Ed infatti, nell’alveo della disciplina degli appalti pubblici, la riserva:
- consente all'Amministrazione committente di verificare i fatti suscettibili di produrre un incremento delle spese previste con una immediatezza che ne rende più sicuro e meno dispendioso l'accertamento;
- assicura la continua evidenza delle spese dell'opera, in relazione alla corretta utilizzazione ed eventuale integrazione dei mezzi finanziari all'uopo predisposti, nonché di mettere l'Amministrazione in grado di adottare tempestivamente altre possibili determinazioni, in armonia con il bilancio pubblico, fino ad esercitare la potestà di risoluzione unilaterale del contratto.
Le verifiche dell'appaltatore
Infine, l’art. 205 all’ultimo inciso del comma II prevede che “non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell’articolo 26”.
Ciò comunque non significa che l’impresa che abbia ritualmente visionato ed accettato il progetto predisposto dalla stazione appaltante non possa formulare contestazioni avverso quel medesimo progetto allorchè, in corso d’opera, lo stesso si manifesti – in tutto o in parte – non eseguibile.
È chiaro, infatti, che la P.A. ha l’obbligo di porre alla base di un appalto pubblico un progetto realmente esecutivo con la conseguenza che la dichiarazione di accettazione dell’appalto – benché la dichiarazione in ordine al controllo ed all’accettazione degli elaborati progettuali effettuata dall’appaltatore non possa dirsi una mera affermazione di stile - non pone in capo all’appaltatore un obbligo ed un onere idoneo a sollevare l’appaltante dai propri compiti di istituto, compiti derivanti e discendenti da norme imperative inderogabili, quali sono le norme di cui al Codice dei contratti, norme che sarebbero derogate di fatto se si pretendesse che l’accettazione dell’esecuzione fosse completamente liberatoria della PA rispetto ai propri doveri.
Se alcuna preclusione – per tale via – potrebbe essere eccepita all’appaltatore alla possibilità di formulare riserve in ordine alla effettiva eseguibilità di un progetto apparentemente corretto, dall’altra l’iscrizione delle riserve deve essere tempestiva.
In questo caso invece, sebbene le anomalie dell’appalto fossero evidenti subito dopo la consegna dei lavori e nonostante la stessa impresa avesse più volte, nel corso del rapporto, sottolineato l’esigenza di un tempestivo intervento con una perizia in variante, essa ha iscritto la relativa riserva di andamento anomalo soltanto in sede di III SAL, successivamente all’adozione della perizia in variante, ossia dopo quasi due anni dalla consegna dei lavori e dopo la sottoscrizione – senza riserve e, dunque, con la piena accettazione - di ben due SAL.
Se l’impresa era già da tempo pienamente consapevole dell’andamento anomalo dell’appalto e della circostanza che tale situazione stava iniziando a provocarle danni economici avrebbe dovuto iscrivere la relativa riserva al momento della sottoscrizione del primo atto contabile, ossia il I SAL.
Riserve tempestive e tardive: criteri di valutazione
Le rigide tempistiche di iscrizione delle riserve, previste a pena di decadenza, hanno indotto la giurisprudenza di merito e di legittimità ad adottare soluzioni restrittive in ordine all’individuazione del tempo di insorgenza dei danni.
È evidente, dunque, che l’imprenditore possa essere tenuto ad iscrivere la relativa riserva soltanto allorché i danni che lamenta di avere patito si siano già manifestati. È chiaro, infatti, che non potrebbe essere richiesta a nessuno la previsione di danni futuri.
Per comprendere da quale momento sorge l’onere in capo all’appaltatore di iscrivere la relativa riserva, la più recente giurisprudenza, anche in omaggio alla ratio dell’intera normativa, ha condivisibilmente ritenuto che al fine di valutare la tempestività dell’iscrizione della riserva negli atti contabili occorre accertare non il momento della cessazione del fatto dannoso ma l’istante in cui il danno sia percepibile da un imprenditore medio secondo buona fede e media diligenza ovvero quando si rende palese la rilevanza causale del fatto dannoso, in perfetta aderenza al principio della tempestività cui si è più volte fatto.
Ne deriva che la riserva iscritta unicamente alla cessazione del fatto continuativo o nel corso dello stesso qualora, come nel caso di specie, l’appaltatore abbia avuto contezza della portata del danno nel corso dei lavori e non abbia iscritto riserva alla prima contabilità utile andrà dichiarata tardiva.
Come ha anche specificato la Corte di Cassazione, “nei pubblici appalti, è obbligo dell’impresa inserire una riserva nella contabilità contestualmente all’insorgenza e percezione del fatto dannoso; in particolare, in relazione ai fatti produttivi di danno continuativo, la riserva va iscritta contestualmente o immediatamente dopo l’insorgenza del fatto lesivo, percepibile con la normale diligenza, mentre il “quantum” può essere successivamente indicato”.
Ne consegue che, ove l’appaltatore non abbia la necessità di attendere la concreta esecuzione dei lavori per avere consapevolezza del preteso maggior onere che tale fatto dannoso comporta, è tardiva la riserva formulata solo nel s.a.l. successivo.