Cessioni immobiliari a un prezzo inferiore del mutuo: la Cassazione sui ricavi non dichiarati
È soggetto a tassazione il maggior reddito derivante dalla cessione di immobili, provato tramite la differenza tra il prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato
L’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, senza che ciò comporti una violazione delle norme in materia di onere della prova.
Tassazione dovuta per maggiori ricavi non dichiarati: l'ordinanza della Cassazione
Richiama un consolidato principio di diritto la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 27 settembre 2024, n. 25854, con cui ha cassato la sentenza della CTR, rinviando a nuovo giudizio il contenzioso tra l’Agenzia delle Entrate e una società di compravendita immobiliare, per il recupero della tassazione sui maggiori ricavi non dichiarati e derivanti dalla cessione di immobili per cui erano indicati prezzi di vendita che, a seguito di indagini bancarie, si erano rivelati inferiori all’importo dei mutui accesi dagli acquirenti e alle perizie redatte per l’accensione dei mutui.
Secondo il FISCO, la CTR non avrebbe valutato adeguatamente gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio sull’inattendibilità del prezzo indicato nelle compravendite, svalutando il fatto che i mutui accesi dagli acquirenti riguardavano somme ben superiori al prezzo in questione considerando come fatto notorio che gli acquirenti ottengano perizie sovrastimate per conseguire somme maggiori a titolo di mutuo.
Spiegano gli ermellini che la documentazione bancaria e la perizia di stima redatta ai fini della erogazione del mutuo, recanti un valore superiore a quello dichiarato negli atti di trasferimento, rappresentano elementi a supporto del quadro indiziario idoneo a giustificare l’accertamento dell’Ufficio.
Questo perché, affermano i giudici di Piazza Cavour:
«in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili può essere fondato anche soltanto sull’esistenza di uno scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova».
Il fatto notorio non costituisce prova
Non solo: la CTR ha errato anche nel qualificare come “fatto notorio”, il «dato di comune esperienza che vengano effettuate perizie che sovrastimano l’immobile per consentire la stipulazione di contratti di mutuo di maggior importo».
Si tratta di una motivazione che ha violato i principi di diritto costantemente affermati da questa Corte, secondo cui:
- il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile;
- restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonché quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d'analoghe controversie.
Da qui la scelta di cassare la sentenza della CTR e di rinviare la questione a nuovo giudizio con diversa composizione della Corte.
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Ordinanza