Bonus edilizi e lavori mai eseguiti: basta cedere il credito per configurare il reato di truffa

Anche se chi ha ricevuto il credito illegale non l’ha ancora compensato, la truffa è già avvenuta. Lo conferma una nuova sentenza della Cassazione, con una lettura più severa delle precedenti

di Cristian Angeli - 07/11/2024

Quello dei bonus edilizi è un mondo in continua evoluzione, e non solo a causa dei numerosi interventi normativi che si sono susseguiti negli ultimi anni cambiando il volto delle varie detrazioni. È anche la giurisprudenza, infatti, a maturare progressivamente, e a offrire orientamenti sempre nuovi, che solo il tempo potrà svelare.

Cessione crediti illegali: la Corte di Cassazione sul reato di truffa

Uno dei temi che sta impegnando le aule di giustizia, in particolare, riguarda le conseguenze penali cui vanno incontro coloro che ottengono le detrazioni edilizie in maniera fraudolenta, senza cioè possedere realmente i necessari requisiti, primo tra tutti la concreta esecuzione dei lavori agevolabili.

I reati che possono configurarsi, in tali casi, sono essenzialmente due: l’indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.) e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.), più grave del primo. Una recente sentenza emanata dalla Cassazione lo scorso 30 ottobre (la n. 40015/2024) chiarisce però che l’emissione di false fatture che attestano lavori agevolabili con bonus edilizi mai eseguiti rientra necessariamente nel reato di truffa, il quale tra l’altro si configura a prescindere dalla circostanza che il credito d’imposta non spettante, una volta ceduto, sia stato o meno monetizzato da chi lo ha ricevuto.

Si tratta di un orientamento che si discosta da quello più “morbido” adottato precedentemente dagli stessi Ermellini e che manifesta, in sostanza, un inasprirsi delle possibili conseguenze penali per chi mette in atto simili raggiri.

I fatti di causa

I due imputati che hanno fatto ricorso per Cassazione, risultavano gravemente indiziati del delitto di concorso in truffa aggravata ai danni dello Stato, in relazione all'ottenimento di importi a titolo di Bonus Facciate per lavori mai eseguiti. Per tale ragione, nei confronti degli stessi era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari tramite un’ordinanza contro la quale i due si sono opposti.

Secondo la loro difesa, nel dettaglio, i fatti andavano sussunti nella meno grave fattispecie di cui all'art. 316-ter c.p. (indebita percezione di erogazioni pubbliche) piuttosto che nella truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche, venendo a mancare gli elementi costitutivi di quest’ultimo reato, consistenti nell’induzione di taluno in errore, nel conseguimento di un ingiusto profitto e nel cagionare un danno ad altri.

La truffa avviene con la cessione

Ebbene, secondo la Suprema Corte la ricostruzione della difesa non è accettabile, poiché una volta ceduto il credito d’imposta illegale, si verificano eccome tutti i presupposti della truffa aggravata.

Come si legge nella sentenza n. 40015/2024, nel dettaglio, “il reato è perfezionato a seguito della prima cessione poiché appaiono realizzati tutti gli elementi costitutivi della truffa ex art. 640-bis cod. pen. costituiti dalla induzione in errore della p.a., effettuata tramite l'utilizzazione di fatture per lavori mai eseguiti o di differente importo, dal danno conseguente per la pubblica amministrazione risultata debitrice di somme non dovute, ed anche dall'ingiusto profitto, già percepito a seguito della prima cessione del credito”.

Le fatture false “ingannano” la p.a.

In alcuni passaggi della pronuncia, inoltre, viene evidenziato come ogni qualvolta venga riconosciuto un credito d’imposta derivante da bonus edilizi in relazione a lavori mai eseguiti, il reato che si consuma non può essere che quello più grave della truffa aggravata. Ciò in quanto, nelle parole degli Ermellini, “il riconoscimento del credito di imposta previsto dalla legislazione in materia di bonus edilizi a seguito della trasmissione di false fatture attestanti l'esecuzione di opere in realtà mai effettuate integra una condotta riconducibile al parametro di cui all'art. 640-bis cod. pen. e non anche alla più lieve fattispecie dell'art. 316-ter cod. pen. posto che il riconoscimento del credito da parte dell'ente pubblico è avvenuto a seguito dell'induzione in errore dello stesso”.

Un orientamento più aspro del precedente

Come accennato, la sentenza offre qualche elemento di principio in più, discostandosi esplicitamente dall’orientamento espresso dalla stessa Corte con la sentenza n. 23402 emanata lo scorso giugno. Tale precedente pronuncia, infatti, non riteneva sufficiente l’aver ceduto il credito d’imposta per considerarsi commesso il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato tramite falsa asseverazione in ordine al completamento delle opere agevolabili. Per configurarsi detto reato, cioè, secondo il precedente orientamento, sarebbe altresì necessario che chi ha ricevuto il credito illegale lo abbia compensato, poiché solo in quel momento viene effettivamente conseguito l'ingiusto profitto, con conseguente danno per la p.a.

Ebbene, la nuova sentenza sconfessa tale principio, proprio in base al fatto che una volta ceduto il credito d’imposta, sono integrati – come detto – tutti gli elementi del reato di truffa aggravata, ingiusto profitto compreso, dato che i soggetti hanno comunque ricevuto un pagamento dal cessionario che ha acquistato il credito.

Possibili conseguenze

Non è possibile dire quali potranno essere gli effetti applicativi di un simile orientamento, ne se, ad esempio, verrà applicato nel caso di opere parzialmente realizzate, ovvero contabilizzate (e fatturate/asseverate) in misura superiore a quella reale.

Il principio, tuttavia, sembrerebbe applicabile anche in simili fattispecie, con conseguenze che potrebbero risultare molto gravose.

A cura di Cristian Angeli,
ingegnere esperto di agevolazioni fiscali applicate all’edilizia
e di contenziosi civili
www.cristianangeli.it

 

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