Abusi minori e sanatoria paesaggistica postuma: gli effetti del Salva Casa
La nuova sanatoria semplificata di cui all’art. 36-bis del Testo Unico Edilizia ha ampliato le previsioni di cui all’art. 167 del Codice dei beni culturali
A differenza del nome “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)” (anche conosciuto semplicemente come “Testo Unico Edilizia”), il d.P.R. n. 380/2001 di unico ha davvero poco. Benché questa norma nasca con l’intento di unificare in un solo testo il D.Lgs. n. 378/2001 (“Testo unico delle disposizioni legislative in materia edilizia - Testo B”) e il d.P.R. n. 379/2001 (“Disposizioni regolamentari in materia edilizia - Testo C”), tra normativa collegata, disposizioni attuative e modifiche del legislatore, occorre sempre la dovuta cautela.
Abusi minori e sanatoria paesaggistica postuma: gli effetti del Salva Casa
Un argomento di particolare interesse è rappresentato dalla sanatoria edilizia degli “abusi minori” nel caso di assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica. Tema all’interno del quale, fino alla riforma operata dal “Salva Casa”, è sempre stato necessario prendere in considerazione l’art. 36 del Testo Unico Edilizia e l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Su questo argomento, e sulle innovazioni del D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa) convertito in Legge n. 105/2024, registriamo (su gentile e puntuale segnalazione dell’Avv. Andrea Di Leo di Legal Team) un’interessante pronuncia del Consiglio di Stato (sentenza 4 novembre 2024, n. 8722) che tratta le modifiche normative relative all’autorizzazione paesaggistica postuma.
Il caso di specie riguarda un ricorso per l’annullamento di una decisione di primo grado proposto da una Regione. In particolare, i giudici di primo grado avevano accolto il ricorso proposto da un privato per l’annullamento della determinazione, contenente in allegato il calcolo della sanzione per le opere realizzate in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, in applicazione dell’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, ora art. 167 del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004.
In primo grado i giudici hanno ritenuto il credito della Regione prescritto, dovendo trovare applicazione nel caso di specie «pacificamente» il termine individuato dall’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che per il diritto a riscuotere le somme dovute per violazioni amministrative lo fissa in cinque anni dalla loro commissione. Il dies a quo, infatti, individuato nella data di cessazione della qualificazione come contra ius della costruzione, andava ravvisato nella concessione in sanatoria, sicché la pretesa pecuniaria sarebbe ampiamente fuori termine.
Il caso di specie e il ricorso
Il caso di specie può essere così riassunto:
- pratica di condono edilizio avviata il 27 settembre 1986;
- rilascio da parte della Regione del nulla osta paesaggistico il 3 giugno 1999, recante l’esplicito riconoscimento che le opere realizzate non arrecavano danno ai beni tutelati “in quanto si inseriscono coerentemente nel contesto urbano interessato, perché non contrastano con la tipologia edilizia dell’intorno»;
- l’indennità prevista dalla legge n. 1497/1939, ne differiva la determinazione ad un successivo provvedimento, che avrebbe dovuto specificare anche le modalità di pagamento, sulla base della perizia contestualmente affidata all’Ufficio del Genio civile;
- l’11 gennaio 2002 viene rilasciato il permesso di costruire straordinario;
- nel 2008 e nel 20014 viene richiesta al privato una valutazione peritale dell’indennità prevista dalla Legge n. 1497/1939, a cui il privato non da riscontro;
- il 18 febbraio 2019 viene notificato al privato il provvedimento con la quantificazione d’ufficio dell’importo.
Questo provvedimento viene impugnato dinanzi al TAR che lo ritiene prescritto, dovendo trovare applicazione il termine individuato dall’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che per il diritto a riscuotere le somme dovute per violazioni amministrative lo fissa in cinque anni dalla loro commissione. Secondo il TAR, il dies a quo individuato nella data di cessazione della qualificazione come contra ius della costruzione, andava ravvisato nella concessione in sanatoria, risalente, all’11 gennaio 2002, sicché la pretesa pecuniaria sarebbe ampiamente fuori termine.
Quindi il ricorso in secondo grado che la Regione affida a due motivazioni:
- con la prima argomenta sul fatto che venendo all’evidenza un’attività abusiva che dà luogo ad un illecito permanente, a cui deve conseguire una misura ripristinatoria dello stato dei luoghi, seppure la stessa assuma la veste formale di sanzione amministrativa non può trovare applicazione l’art. 28 della legge n. 689/1981;
- con la seconda afferma che la possibilità di prescrizione del credito non può che riferirsi alla fase della riscossione delle somme oggetto di ingiunzione e non al potere dell’amministrazione di ingiungerle.
La sanzione pecuniaria “paesaggistica”
Come rilevato dal Consiglio di Stato, la questione afferisce all’esatta natura della misura pecuniaria prevista in passato dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, attualmente dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, per i casi di c.d. sanatoria paesaggistica.
Preliminarmente i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito le differenze tra le sanzioni di cui all’art. 15 della Legge n. 1497/1939 e quella di cui all’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004.
Ai sensi del citato art. 15, la condanna al pagamento di una somma di denaro consegue ad una scelta dell’amministrazione competente che può scegliere tra la demolizione e il “pagamento d'una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione”.
Tale casistica risulta essere diversa rispetto alla sanzione alternativa alla demolizione di cui agli artt. 33 e 34 del TUE, nei quali la fiscalizzazione dell’abuso edilizio segue l’ordinanza di demolizione e consegue alla riscontrata impossibilità “tecnica” di demolire l’intervento, in assoluto, ovvero senza pregiudizio per la parte “lecita” dello stesso.
Sanatoria edilizia e Sanatoria paesaggisica
A questo punto il Consiglio di Stato ricorda che sanatoria edilizia e sanatoria paesaggistica non si identificano, stante che la seconda è integrata nella prima sub specie di avallo postumo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo nei soli casi di condono, non consentito se non a condizioni date per l’accertamento di conformità.
Nel vigore della legge n. 1497 del 1939, pur in assenza di esplicita disciplina, la sanabilità postuma degli illeciti paesaggistici veniva desunta proprio dalla formulazione del citato art. 15. Con riferimento al condono edilizio, o sanatoria straordinaria, ha poi provveduto l’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, cui fa rinvio anche la successiva normativa condonistica, in forza del quale «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso».
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha costantemente affermato, quanto all’oggetto della valutazione paesaggistica nel contesto del procedimento di condono edilizio, che il richiamato parere «ha natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per essere entrambi gli atti il presupposto legittimante la trasformazione urbanistica edilizia della zona protetta, sicché resta fermo il potere ministeriale di annullamento del parere favorevole alla sanatoria di un manufatto realizzato in zona vincolata, in quanto strumento affidato dall’ordinamento allo Stato, con estrema difesa del paesaggio, valore costituzionale primario».
Pure sotto il vigore dell’art. 151 del d.lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999 (che ha riprodotto l’art. 7 della legge n. 1947/39), era opinione diffusa nella giurisprudenza amministrativa che l’autorizzazione paesaggistica potesse essere rilasciata in sanatoria purché in presenza del (solo) presupposto della compatibilità attuale dell’intervento abusivo con il paesaggio, in termini di mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione allo stato dei luoghi antecedente all’edificazione. Addirittura si reputava che per un immobile in area sottoposta a vincolo paesaggistico, anche la sanatoria ordinaria poteva essere conseguita sotto il profilo edilizio-urbanistico se sussisteva la “doppia conformità” a norma del richiamato art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché, in precedenza, dell’art. 13 della legge n.47/85. Sotto il profilo paesaggistico, era ritenuta sufficiente la valutazione positiva dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione circa la mancanza di danno al paesaggio, applicando la sanzione pecuniaria di cui all’art. 164 del medesimo decreto legislativo e ferma restando la possibilità di annullamento da parte del Ministero nei successivi 60 giorni.
La svolta del Codice dei beni culturali e del paesaggio
L’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 ha segnato una decisa svolta in senso restrittivo, stante che nella sua stesura originaria prevedeva quale regola generale il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma, affermando che tale titolo non può essere rilasciato «in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».
Con il D.Lgs. n. 157/2006 (primo correttivo al Codice dei beni culturali e del paesaggio) la materia è stata profondamente innovata, stemperando la tassatività di tale divieto assoluto. La novellata formulazione del comma 12 dell’art. 146 ha ribadito il divieto di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ma solo «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5», così ammettendolo nelle ipotesi di minore consistenza espressamente declinate in tale disposizione.
Il successivo D.Lgs. n. 63/2008 ha confermato tale disposizione – tuttora vigente – anche se l’ha spostata al comma 4. Il comma 5 dell’art. 167, replicando, ma solo nelle sue linee essenziali, la formulazione dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, prevede dunque che in caso di accertata compatibilità paesaggistica, «[…] il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione».
La scelta del legislatore di consentire l’autorizzazione paesaggistica postuma esclusivamente per i c.d. “abusi minori” è in linea con i principi costituzionali della ragionevolezza e della parità di trattamento, oltre che con quelli dell’ordinamento comunitario, perché si muove su un piano di coerenza con l’accentuato profilo costituzionale dell’interesse pubblico alla preservazione del paesaggio.
La natura della sanzione pecuniaria
La (re)introdotta possibilità di sanatoria paesaggistica degli abusi minori ingloba in sé la possibilità di irrogare una sanzione pecuniaria che solo in relazione ai criteri di individuazione mutua la formulazione del “vecchio” art. 15 della legge n. 1497/1939. Nell’impostazione del legislatore del 2006, cioè, è la natura minimale dell’abuso, per come configurata a monte e tassativamente dal legislatore, a consentirne la sanatoria, in quanto valutato per tipologia e consistenza inidoneo a produrre un danno ambientale.
In tale logica la somma di denaro tiene luogo della demolizione che resta il rimedio generale, a valere sempre e comunque, ove non sia stata richiesta una legittimazione postuma. Impostazione totalmente diversa da quella seguita dal legislatore del 1939, che facoltizzava l’Amministrazione a far demolire o monetizzare, senza indicare la casistica di riferimento, ma rimettendone la valutazione all’organo titolare del potere sanzionatorio, e comunque al di fuori del procedimento di sanatoria, pur costituendo quest’ultimo l’avvio tipico dell’accertamento dell’illecito.
Nel sistema del D.Lgs. n. 42 del 2004 la concessione della sanatoria implica l’irrogazione della sanzione, che dunque tiene luogo della demolizione e per tale ragione ne mutua tutte le caratteristiche reali, ivi inclusa la sostanziale imprescrittibilità. Tale sanzione, cioè, pur se di carattere pecuniario, partecipa della medesima natura di ricomposizione dell’ordine urbanistico della legalità violata e di soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio che connota quella ripristinatoria. Il potere di irrogarla è posto a presidio dell’interesse pubblico di rango costituzionale alla preservazione del paesaggio ed è esercitabile finché perdura l’illecito, che ha natura permanente e cessa soltanto con la rimessione in pristino o con il pagamento della sanzione irrogata.
La scadenza della sanzione
Una volta chiarita la diversa natura dei due rimedi, è evidente che per il provvedimento sanzionatorio ex art. 15, l. n. 1497/1939 non può essere adottato sine die e ad libitum dell’amministrazione, ma è assoggettato ai normali termini prescrizionali previsti al riguardo.
Il Consiglio di Stato ha, infine, ricordato che il rilascio dei titoli (quello edilizio e anche quello paesaggistico, nel caso di presenza del relativo vincolo) fa cessare la permanenza dei relativi illeciti.
Per il principio di legalità, le opere edilizie si possono considerare supportate da un titolo solo se quello richiesto dalla legge è rilasciato prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità), così come – sotto il profilo paesaggistico – le opere si possono considerare supportate da un titolo solo se la relativa autorizzazione è rilasciata e diventa efficace prima della loro realizzazione o successivamente (nei casi consentiti di condono o di accertamento di conformità).
Nel caso di specie, la Regione ha rilasciato il previsto nulla osta ritenendo le opere prive di impatto negativo sul paesaggio in data 3 giugno 1999, con riserva di indicare l’entità dell’indennizzo dovuto, in misura pari all’utile conseguito (giusta la riscontrata assenza di danno) sulla base di apposita perizia richiesta al Genio civile.
L’11 gennaio 2001 il Comune ha rilasciato il condono, sulla base di tale parere favorevole, così facendo venir meno la natura illecita della costruzione, tanto sotto il profilo edilizio che paesaggistico. Ciò ha portato alla regolarizzazione del manufatto, con conseguente cessazione dell’illecito permanente costituito dalla sua avvenuta realizzazione sine titulo.
La richiesta di corresponsione della sanzione prevista dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 è stata avanzata solo nel 2019, ovvero circa 17 anni dopo l’avvenuta legittimazione dell’abuso. Ciò non comporta l’applicabilità dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, stante che, come chiarito dall’art. 159 del medesimo, recante la disciplina transitoria, lo consente con riferimento ai procedimenti in corso, non a quelli ormai perfezionati con l’atto conclusivo (la sanatoria anche paesaggistica del 2002). All’atto della richiesta, dunque, la sanzione era ineludibilmente prescritta.
Gli effetti del Salva Casa
Molto interessante è l’analisi dei giudici di secondo grado relativa agli effetti del Salva Casa che, con l’inserimento nel TUE dell’art. 36-bis, con il comma 5-bis ha disciplinato una nuova forma di accertamento di conformità per interventi eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati, ampliando di fatto le previsioni di cui all’art. 167, e delegando (nuovamente) al parere la valutazione di compatibilità paesaggistica, e dunque un giudizio di merito che, ove negativo, implicherà la demolizione, in luogo della sanzione pecuniaria.
Ricordiamo che il citato comma 5-bis, art. 36-bis, del TUE dispone:
Nelle ipotesi di cui al comma 4, qualora sia accertata la compatibilità paesaggistica, si applica altresì una sanzione determinata previa perizia di stima ed equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione; in caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui all'articolo 167, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 4 novembre 2024, n. 8722