Superbonus e donazione: si paga la plusvalenza in caso di vendita?
L’esperto risponde sulla necessità di pagare la plusvalenza nel caso di vendita di un immobile ricevuto in donazione che ha fruito del superbonus
Nel 2017 ho ricevuto in donazione la nuda proprietà di una casa dai miei genitori, che veniva affittata. Dopo il 2022 dopo la morte di mio padre, seguita a quella di mia madre, ho fatto il ricongiungimento dell'usufrutto. Nel 2023 ho deciso di usufruire del superbonus 90 e del bonus 50% per ristrutturare la casa con l'obiettivo di venderla. Preciso che la casa era stata costruita a cavallo tra gli anni '70 ed '80 su un terreno che i miei genitori avevano acquistato e sul quale avevano costruito la casa stessa lavorando anche in prima persona. Per questo motivo mi è molto difficile ricostruire le spese di costruzione. Al momento della donazione era stato dichiarato un valore di 400.000 euro. Devo pagare la tassa sul capital gain anche se la casa è stata donata? Come si deve calcolare il valore di acquisto in assenza di una compravendita se non quella del terreno?
L’esperto risponde: il Superbonus e la plusvalenza
In tema di superbonus di cui all’art. 119 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), ci sono stati diversi interventi che non solo hanno modificato le regole in corso, ma che influiranno sui comportamenti presenti e futuri dei contribuenti che hanno aderito all’agevolazione.
Una fra tutte è l’introduzione della plusvalenza sulla cessione degli immobili su cui sono stati realizzati interventi edilizi agevolati con contributi statali. In particolare, l'art. 1, comma 64, lettere a) e b) della L. 30 dicembre 2023, n. 213, ha modificato sia l’articolo 67 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, introducendo, tra l’altro, la lettera b-bis), sia l’articolo 68 del TUIR.
In base a queste modifiche, chi ha fruito del superbonus deve fare molta attenzione prima di cedere l’immobile poiché il ricavato può essere in parte oggetto di tassazione.
In pratica, per questi soggetti il limite ordinario dei cinque anni previsto dal comma 1, lettera b) dell’art. 67 del TUIR, si estende a dieci anni. Sono esclusi gli immobili acquisiti per successione e quelli che siano stati adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni antecedenti alla cessione o, qualora tra la data di acquisto o di costruzione e la cessione sia decorso un periodo inferiore a dieci anni, per la maggior parte di tale periodo.
Di conseguenza, ad esclusione degli immobili esenti, se si vuole vendere un appartamento su cui sono stati realizzati degli interventi ai sensi dell’art. 119 del D.L. 34/2020 convertito con modificazioni in L. 77/2020, devono trascorrere dieci anni dalla data di fine lavori indicata nella comunicazione fatta al Comune per non cadere nell’imposizione fiscale.
Superbonus 110, 90, 70 e 65%: cosa cambia
Il legislatore, però, nella modifica all’art. 68 del TUIR, in cui si individua il metodo di calcolo della plusvalenza, ha limitato i “danni” per coloro che hanno fruito di aliquote diverse dal 110 per cento, come ad esempio il 90% applicato nel 2023, il 70% per l’anno in corso e il 65% per il prossimo anno. Infatti, per questi soggetti si applica solo l’articolo 67 del TUIR seguendo il metodo tradizionale: prezzo di vendita meno i costi sostenuti (prezzo d’acquisto o di costruzione eventualmente incrementato in base alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, spese di manutenzione straordinaria compresa quella realizzata con il superbonus, spese notarili).
Vale la stessa regola per coloro che hanno fruito dell’aliquota del 110% ma hanno portato in detrazione le spese sostenute nella dichiarazione dei redditi.
Invece, per coloro che hanno fruito dell’aliquota del 110% per gli interventi edilizi ed hanno esercitato le opzioni di cui all'articolo 121, comma 1, lettere a) e b), del citato decreto-legge n. 34 del 2020 (cessione del credito o sconto in fattura) la strada si fa più impervia. Infatti, nel caso in cui i lavori si siano conclusi da non più di cinque anni all'atto della cessione, non si tiene conto delle spese relative a tali interventi; nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi da più di cinque anni all'atto della cessione, nella determinazione dei costi inerenti al bene si tiene conto del 50 per cento di tali spese.
La risposta al caso specifico
Premesso che la gentile lettrice è proprietaria di un immobile non adibito ad abitazione principale e che è stato ricevuto in donazione, nonostante si trovi in una situazione di non facile individuazione dei valori da prendere in considerazione, c’è per lei una buona notizia: le spese sostenute con il superbonus sono considerate costi ad incremento del prezzo di partenza che, nel caso specifico, è il costo di costruzione poiché, nel caso in cui gli immobili siano stati acquisiti per donazione, si assume come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante. Il motivo per cui i costi del superbonus sono considerati deducibili è che per essi è stata applicata l’aliquota del 90%. Stessa sorte per le spese detraibili al 50%.
In conclusione, in applicazione della lettera b-bis) del comma 1 articolo 67 TUIR, la donataria dovrà calcolare la base imponibile su cui applicare la plusvalenza sul prezzo di vendita poiché è trascorso ad oggi solo un anno dalla conclusione dei lavori. Pertanto, il costo di costruzione (presumibilmente, nel caso specifico, determinato a seguito di perizia tecnica) sarà incrementato dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, delle spese di manutenzione straordinaria detratte al 50% e delle spese sostenute per gli interventi realizzati con il superbonus al 90%). La differenza tra il prezzo di vendita e i costi deducibili determinerà la base imponibile su cui calcolare la plusvalenza.
Nella risposta ad interpello n. 204 del 24 marzo 2021 l’Agenzia delle Entrate, in ordine alle modalità di calcolo della plusvalenza ai sensi dell’articolo 68 del TUIR, ha richiamato la sentenza n. 16538 del 22 giugno 2018 con cui la Corte di Cassazione, facendo riferimento a precedenti pronunce, ha affermato che "premesso che il prezzo di acquisto od il costo di costruzione deve essere incrementato dei soli costi inerenti al bene, (...) sono a tal fine rilevanti le spese incrementative. Per spese incrementative, in giurisprudenza, s'intendono "quelle spese che determinano un aumento della consistenza economica del bene o che incidono sul suo valore, nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo". Non possono, quindi, essere incluse tra le spese incrementative quelle che non apportano maggior consistenza o maggior valore all'immobile, perché attengono solo alla manutenzione e/o alla buona gestione del bene". Sulla base di tale principio, la Corte di Cassazione conclude affermando che "sono costi inerenti al bene, in quanto tali deducibili ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile, solo quelli che attengono al costo di acquisto (spese notarili, di mediazione, imposte di registro, ipotecarie e catastali, cioè i costi inerenti al prezzo di acquisto (...) o che si risolvono in aumento di valore del bene, perdurante al momento in cui si verifica il presupposto impositivo (ad esempio, le spese sostenute per liberare l'immobile da oneri, servitù ed altri vincoli, oppure le spese che abbiano determinato un aumento della consistenza economica del bene). D'altro canto, non rientrano negli oneri deducibili le spese che attengono alla normale gestione del bene e che non ne abbiano determinato un aumento di valore, perdurante al momento in cui viene realizzata l'operazione imponibile. L'onere della prova della deducibilità del costo grava sul contribuente, che deve dimostrare, non solo di aver sostenuto le spese, ma anche la loro inerenza ed il carattere incrementativo del valore del bene".
A cura di Dott. Luciano
Ficarelli
Dottore Commercialista
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Esperto in bonus edilizi
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