Nullità dei contratti stipulati da società di ingegneria con privati: interviene la Corte Costituzionale
La decisione della Consulta: sono pienamente validi i contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della Legge Mercato e Concorrenza 2017
Sono pienamente legittimi i contratti stipulati dalle società di ingegneria con i privati anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124/2017 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), senza che si possa ravvisare un’incostituzionalità delle norme.
Contratti stipulati da società di ingegneria con privati: non sono nulli
A chiarirlo è stata la Corte Costituzionale con la sentenza del 21 novembre 2024, n. 184, in relazione alle questioni sollevate da una Corte d’Appello, chiamata a decidere sul rapporto contrattuale intercorrente tra un Condominio e una società di ingegneria cessionaria di un contratto, avente a oggetto attività propedeutiche e necessarie a ottenere il contributo pubblico per la riparazione dell’edificio condominiale, danneggiato dal sisma del 2009.
Il Condominio aveva comunicato il recesso dal contratto, adducendo delle inadempienze da parte della società di ingegneria, motivo per cui era nato un contenzioso con la richiesta di risarcimento danni.
Contro questa domanda, il Condominio ha anche eccepito la nullità della cessione del contratto nei confronti della società, per contrasto con il divieto di svolgere l’attività professionale nelle forme delle società commerciali. Quel divieto, previsto dalla legge n. 1815 del 1939, sarebbe venuto meno, a parere del Condominio, solo con la legge n. 183/2011, successiva alla cessione del contratto avvenuta in data 9 aprile 2009.
In primo grado, il Tribunale avevaa escluso la nullità dedotta dal Condominio, richiamando, a sostegno di tale impostazione, la sentenza della Corte di cassazione n. 22534/2022, che aveva avallato la tesi della norma di interpretazione autentica con riguardo alla disciplina censurata.
Il Condominio ha impugnato la sentenza di primo grado e la Corte d’appello ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124/2017, che considera validi i contratti conclusi, a partire dall’entrata in vigore della legge n. 266/1997, fra società di ingegneria di capitali o cooperative e soggetti privati.
Secondo la Corte d’Appello, le norme non potrebbero essere qualificate come di interpretazione autentica e non risponderebbero ad alcun interesse pubblico prioritario. Difetterebbero, pertanto, i presupposti necessari a rendere l’intervento legislativo retroattivo compatibile con il principio «di “ragionevolezza”», determinando un’ingiustificata disparità di trattamento non solo con le altre società di professionisti, ma anche con le società di ingegneria nella forma della società di persone.
Esercizio dell'attività professionale in forma associata: l'evoluzione normativa
In via preliminare, la Consulta ha ripercorso l’articolata evoluzione del quadro normativo che ha condotto alla introduzione dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017.
Tali disposizioni si raccordano all’art. 24 della legge n. 266 del 1997, il cui comma 1 ha previsto l’abrogazione del divieto disposto dall’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, norma quest’ultima, a sua volta, correlata con l’art. 1 della medesima legge.
Occorre dunque, spiegano i giudici costituzionali, risalire alla legge n. 1815 del 1939, oggi integralmente abrogata, la cui interpretazione giurisprudenziale si è orientata nel senso di una limitazione dell’esercizio dell’attività professionale all’ipotesi degli studi associati, «ove ad un contratto associativo con rilevanza interna, si sovrappone[va] il principio della personalità della prestazione professionale nei rapporti con i clienti».
Il ricorso alla forma delle società di persone veniva riconosciuto per fini meramente strumentali, quali la regolamentazione delle prestazioni del personale ausiliario, delle spese di studio, dell’uso di beni condivisi.
La violazione del divieto, tramite la stipula di contratti d’opera intellettuale con società alle quali era inibito l’esercizio dell’attività professionale, comportava la nullità dei contratti, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., per contrarietà alle norme imperative, di cui agli artt. 2 della legge n. 1815 del 1939 e 2231 cod. civ., in base al quale «[q]uando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione».
Il superamento della disciplina del 1939 ha avuto luogo gradualmente attraverso un processo di apertura dell’attività professionale, da parte di soggetti costituiti nelle forme societarie, che ha inizialmente interessato ambiti settoriali. In particolare, con riferimento alle società di ingegneria, si segnalano due gruppi di discipline:
- dapprima, sono state previste società di ingegneria costituite nelle due forme del commercial e del consulting engineering. A queste era permesso concludere contratti che non avessero a oggetto un’opera di progettazione di ingegneria civile interamente rientrante nell’attività professionale tipica dell’ingegnere o dell’architetto, sicché l’apporto intellettuale di tali professionisti doveva essere solo uno dei fattori del più complesso risultato promesso;
- con la legge n. 109 del 1994, si è consentito l’esercizio dell’attività professionale a società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o cooperative, permettendo loro di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.
Le norme della citata legge n. 109/1994 sono state, di seguito, abrogate e riprodotte nei codici dei contratti pubblici, che si sono succeduti nel tempo, e nei relativi regolamenti di attuazione.
Successivamente è intervenuta la legge n. 266 del 1997. L’art. 24, comma 1, di tale legge ha abrogato l’art. 2 della legge n. 1815 del 1939, eliminando, in generale, il divieto di costituire società professionali e di esercitare l’attività professionale nelle forme delle società di persone, di capitali e cooperative. Il comma 2 inoltre prevedeva la redazione di un regolamento attuativo, mai emanato.
Il quadro normativo si completa con l’art. 10, comma 11, della legge n. 183/2011 che ha abrogato integralmente la legge n. 1815 del 1939, non limitandosi, comunque, a svolgere una funzione demolitiva, ma in chiave costruttiva a regolamentare la costituzione delle società di professionisti e l’esercizio in tale forma dell’attività, facendo, nondimeno, salve le tipologie associative e societarie già in precedenza disciplinate da altre leggi.
Le disposizioni della legge sulla concorrenza
Spiega la Corte che l’”incriminato” art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, si fa carico di intervenire sull’incerta sorte di contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997. In particolare, il comma 148 prevede che:
- in applicazione dell’articolo 24, comma 1, della legge 7 agosto 1997, n. 266, sono validi a ogni effetto i rapporti contrattuali intercorsi, dalla data di entrata in vigore della medesima legge, tra soggetti privati e società di ingegneria, costituite in forma di società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, ovvero in forma di società cooperative di cui al capo I del titolo VI del medesimo libro quinto del codice civile (comma 1);
- Il comma 2 si riferisce, invece, ai contratti che coinvolgono le stesse società evocate nel primo periodo, ma che vengono conclusi a partire dall’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017. La previsione stabilisce, infatti, che, «[c]on riferimento ai contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le società di cui al presente comma sono tenute a stipulare una polizza di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti dalla responsabilità civile conseguente allo svolgimento delle attività professionali dedotte in contratto e a garantire che tali attività siano svolte da professionisti, nominativamente indicati, iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali»;
- infine, il comma 149 abroga la previsione che demandava a un decreto ministeriale la regolamentazione dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale da parte delle società di professionisti.
La decisione della Consulta
Alla luce del richiamato quadro normativo, devono ritenersi non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
Anzitutto, occorre precisare che i commi 148, secondo periodo, e 149 dell’art. 1 della legge n. 124 del 2017 non hanno efficacia ex tunc per cui non sono retroattive. Il secondo periodo del comma 148 si riferisce, infatti, ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge n. 124 del 2017. Parimenti, il comma 149 abroga ex nunc l’art. 24, comma 2, della legge n. 266 del 1997, posto che le norme che producono un effetto abrogativo hanno sempre efficacia dall’entrata in vigore della legge, salvo che il legislatore disponga altrimenti.
La previsione del comma 149 sembra, dunque, rispondere all’esigenza di escludere che possa essere tardivamente emanato il d.m. di cui all’art. 24, comma 2, fonte secondaria che andrebbe a sovrapporsi a quanto stabilito dal secondo periodo del comma 148.
Quanto all’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017, esso palesa i tratti di una norma di interpretazione autentica.
A fronte delle richiamate incertezze interpretative in merito ai contratti conclusi da società di professionisti, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 266 del 1997, il significato sostenuto dal legislatore con l’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 può ritenersi compatibile con il testo dell’art. 24 della legge n. 266 del 1997, ricostruito a livello sistematico.
L’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017 ha voluto, dunque, «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore», correggendo quella che era una imperfezione del dato normativo, che non aveva previsto le conseguenze dell’eventuale mancata adozione della disciplina secondaria. In particolare, il legislatore ha inteso chiarire che l’omessa previsione di tale disciplina secondaria, concernente i requisiti per l’esercizio dell’attività professionale, certamente non può inibire lo svolgimento di detta attività, ai sensi dell’art. 24, comma 1, della legge n. 266 del 1997, ove sussista – come nel caso delle società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o cooperative – una regolamentazione di fonte legale relativa ai requisiti di esercizio dell’attività da parte di società di professionisti.
La norma interpretativa, nel riferirsi alle società di ingegneria, la cui attività professionale era già regolamentata è conforme all’istanza di un corretto esercizio delle professioni intellettuali «nei confronti dei clienti, dei terzi, della collettività in generale, garanzia che si ritiene fornita essenzialmente dalla qualificazione professionale e soprattutto dalla responsabilità personale del professionista».
Risultano, pertanto, tutelate le esigenze riconducibili ai limiti dell’iniziativa economica privata, di cui all’art. 41, secondo comma, Cost.
Una volta assicurate tali istanze, la nullità non appare necessaria e, anzi, si palesa un rimedio sproporzionato al fine di assicurare la tutela dell’utilità sociale e degli altri interessi contemplati dal secondo comma dell’art. 41 Cost.
Contratti stipulati dalle società di ingegneria sono pienamente validi
Pertanto, l’affermata validità dei contratti stipulati con soggetti privati da società di ingegneria costituite nelle forme delle società di capitali o di società cooperative:
- rispetta i limiti di cui all’art. 41, secondo comma, Cost.
- è coerente con una piena tutela della libera iniziativa economica privata, di cui all’art. 41, primo comma, Cost., anche per come interpretato alla luce dei principi concorrenziali desumibili dal diritto dell’Unione europea. Nella normativa del diritto dell’Unione europea, gli obiettivi di tutela dei destinatari di servizi, di garanzia della qualità dei servizi e di tutela della salute costituiscono, infatti, motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare restrizioni alle libertà garantite dal diritto dell’Unione, ma non a vietarne del tutto l’esercizio.
Quanto agli altri interessi implicati, a fronte dell’efficacia ex tunc della norma interpretativa, occorre rilevare che l’art. 1, comma 148, della legge n. 124 del 2017, non soltanto non è irragionevole, in quanto persegue l’obiettivo di correggere, per quanto possibile, una imperfezione della tecnica legislativa, evitando che si traggano indebiti vantaggi da un «effet d’aubaine», dovuto a tale imperfezione, ma oltretutto non frustra interessi giuridicamente rilevanti o, comunque, meritevoli di tutela, né lede l’art. 24 Cost.
La norma di interpretazione autentica garantisce, infatti, che sia preservata la validità di contratti, la cui conclusione è idonea a ingenerare un affidamento sulla loro vincolatività ed efficacia. Per converso, non si può configurare un affidamento nella nullità del contratto.
Per le ragioni esposte, deve, dunque, ritenersi non irragionevole, né lesiva degli artt. 24 e 41 Cost. la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 148, primo periodo, della legge n. 124 del 2017.
In conclusione, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 148 e 149, della legge n. 124 del 2017, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e 41, commi secondo e terzo, Cost.
Documenti Allegati
Sentenza