Ordine di demolizione e condono pendente: necessario provare che si tratti della stessa opera

Il provvedimento sanzionatorio è pienamente legittimo se non si riscontra una piena sovrapponibilità con il manufatto oggetto dell'istanza di sanatoria

di Redazione tecnica - 05/12/2024

La realizzazione di un manufatto su un terrazzo pertinenziale va qualificata come intervento di ristrutturazione, abusiva qualora effettuato senza il necessario titolo edilizio.

Non solo: il relativo ordine di demolizione, pur se non motivato nel dettaglio, è pienamente legittimo, non potendo l’Amministrazione esprimersi in maniera diversa, anche se l’abuso è stato commesso da un altro soggetto che non sia l’attuale proprietario e pure in presenza di istanza di condono, se non si prova che si tratti della stessa opera.

Veranda abusiva: il TAR su ordine di demolizione e istanza di condono

Sono questi, in sintesi, i punti cardine della sentenza del TAR Lazio del 2 dicembre 2024, n. 21651, con cui ha respinto il ricorso contro per l’annullamento dell’ordine di rimozione o demolizione di una veranda con cui era stato chiuso il terrazzo pertinenziale di un appartamento, a cui era stata data la destinazione di salone.

Preliminarmente, il TAR ha evidenziato come il provvedimento contenesse una espressa e chiara qualificazione dell’abuso, ricondotto alla categoria della ristrutturazione edilizia realizzata senza titolo.

In particolare, la chiusura del terrazzo pertinenziale dell’appartamento, ha determinato un inequivocabile aumento di superficie utile residenziale ed aumento di volumetria mediante ampliamento dell’appartamento, escludendo che l’opera potesse essere qualificata come meramente pertinenziale ed inidonea a creare aumento di volumetria, per come sostenuto da parte ricorrente.

Si tratta di un’opera che, in considerazione della tipologia costruttiva, integra un nuovo organismo edilizio, idoneo a determinare una trasformazione permanente del territorio e che assume, quindi, rilevanza edilizia e urbanistica, avente rilievo funzionale rispetto all’unità immobiliare cui accede di cui determina aumento di superficie, con modifica dell’area, incidendo sulle caratteristiche dell’immobile.

La struttura non può essere ricondotta a mera pertinenza, in quanto gli elementi di chiusura del terrazzo – con struttura in legno coperto da tavolato, guaine e tegole, tamponato in parte in muratura e in parte con finestrature in alluminio e vetri, accorpata all’appartamento ed avente destinazione a salone – determina un aumento di superficie utile residenziale.

Si tratta di un’opera che ha determinato una permanente trasformazione del territorio, aumentando la superficie utile, motivo per cui è stata correttamente qualificata come ristrutturazione edilizia necessitante di titolo edilizio.

Sul punto, ricorda il TAR, sulla base di un orientamento consolidato nella giurisprudenza amministrativa, la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tali, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica.

Deve, quindi, escludersi tale qualificazione con riferimento ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera c.d. principale e non siano coessenziali alla stessa, come nel caso in esame, dove viene in rilievo la realizzazione di un ampliamento, realizzato in aderenza al manufatto principale mediante chiusura del terrazzo pertinenziale, comunicante con il manufatto principale, trattandosi quindi di una edificazione con aumento di superficie utile e suscettibile di autonoma utilizzazione, come dimostra la stessa conformazione funzionale dell’ampliamento.

 

Ordine di demolizione: è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento?

Inoltre con riferimento alla materia degli illeciti edilizi, per costante giurisprudenza, l'esercizio del potere repressivo costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione, non assistita da particolari garanzie partecipative e, pertanto, i relativi provvedimenti, quali l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti doverosi per la cui adozione non è necessario l'invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto, i quali nessuna utilità potrebbero arrecare ai fini della determinazione finale del contenuto del provvedimento.

Ne risulta l’irrilevanza di profili procedimentali che avrebbero precluso una effettiva partecipazione degli interessati al procedimento in quanto, costituendo l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi attività vincolata della pubblica amministrazione, ai fini dell'adozione dell'ordine di demolizione, non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all'annullamento dell'atto alla stregua dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990.

La comunicazione di avvio del procedimento deve, quindi, ritenersi superflua ai fini dell'adozione degli atti di repressione degli illeciti edilizi, venendo in rilievo procedimenti tipizzati, in quanto compiutamente disciplinati dalla legge speciale e caratterizzati dal compimento di meri accertamenti tecnici sulla consistenza e sul carattere abusivo delle opere realizzate, che non richiedono alcun apporto partecipativo del destinatario.

L'ordine di demolizione conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, in quanto atto dovuto non deve quindi essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge, che si basa su un presupposto di fatto, ossia l'abuso, di cui parte ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.

Peraltro, non può dubitarsi dell'operatività, in tali casi, dell'art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990, a mente del quale il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento quando si tratta di provvedimenti vincolati.

Ciò anche alla luce delle modifiche apportate all’articolato per effetto dell’art.12, comma 1, lett. d) del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120 e della sua valenza processuale che ne comporta l’applicabilità ai giudizi in corso: esso ha inserito, a conclusione del comma 2 dell’art. 21 octies cit., un limite all’applicazione della regola secondo cui “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, specificando che tale previsione “non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis”.

Tale novella, di cui all’art. 12, comma 1, lett. d) del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, opera solamente in relazione ai provvedimenti discrezionali, essendo solo questi gli atti in relazione ai quali è ammessa la prova, da parte dell’Amministrazione, dell’irrilevanza della violazione delle garanzie procedimentali, posto che agli atti vincolati continua a trovare applicazione la più rigorosa disciplina di cui al comma 1 dell’art. 21 octies della legge n. 241/90, secondo cui “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

 

Destinatari dell’ordine di demolizione

Inoltre il presupposto per l'adozione di un ordine di demolizione non è l'accertamento di responsabilità nella commissione dell'illecito, ma l'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia e non assistita da titoli legittimanti. Sicché il soggetto tenuto ad eseguire l'ordine viene individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l'abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta.

Ai sensi dell’art. 31, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), nonché dell’articolo 15, comma 1, della Legge Regionale del Lazio n. 15/2008, la legittimazione passiva in relazione all’ordine di demolizione deve essere riconosciuta in via autonoma in capo al proprietario e al responsabile dell’illecito edilizio, non potendo ritenersi che il non aver indirizzato il provvedimento sanzionatorio nei confronti del responsabile dell’abuso osti all’adozione dell’ordine di demolizione a carico del proprietario non responsabile.

La sanzione demolitoria non assume una finalità punitiva, non presupponendo l’accertamento della responsabilità dell’illecito, ma soltanto l’esistenza di una situazione dei luoghi non legittimata dal previo rilascio di titoli edilizi abilitativi.

L’eventuale nuovo acquirente dell’immobile abusivo o subentrante nella relativa proprietà succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione, pur essendo l’abuso commesso prima della traslazione della proprietà, salva, la facoltà di rivalsa del privato sul dante causa; opinare diversamente consentirebbe di eludere in modo agevole la normativa edilizia, a danno del territorio.

Come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, "ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario di un ordine di demolizione, l'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, nell'individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell'abuso, considera evidentemente quale soggetto passivo della demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l'abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta, in quanto il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non coincide con l'accertamento di responsabilità storiche nella commissione dell'illecito, ma è correlato all'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella codificata nella normativa urbanistico-edilizia, e all'individuazione di un soggetto il quale abbia la titolarità a eseguire l'ordine ripristinatorio, ossia il proprietario, in virtù del suo diritto dominicale" .

L'ordinanza di demolizione costituisce, infatti, una misura di carattere reale, volta a reprimere un illecito di natura permanente, e ciò legittima l'individuazione del proprietario tra i soggetti che simile illecito è onerato a rimuovere.

Il carattere reale e l'ambulatorietà del provvedimento demolitorio sono stati ribaditi, affermandosi che "la misura repressiva della demolizione mira a colpire una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica, cioè l'avvenuta abusiva realizzazione di opere edilizie in contrasto con la disciplina urbanistica e ha lo scopo di ripristinare l'ordine urbanistico violato, attraverso la demolizione dell'opera stessa. Da tale natura ripristinatoria consegue che la sanzione demolitoria può essere legittimamente irrogata nei confronti del proprietario del bene, anche se diverso dal responsabile dell'abuso e anche se estraneo alla commissione dell'abuso stesso e ciò in quanto l'abusività dell'opera è una connotazione di natura reale: segue l'immobile anche nei successivi trasferimenti del medesimo, con l'effetto che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall'attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell'abuso medesimo”.

In alcuna violazione di legge è, pertanto, incorsa l’Amministrazione nell’individuare quali destinatario dell’ordine di demolizione oggetto dell’odierna impugnazione il proprietario dell’immobile che, allo stato, è l’unico soggetto in grado di eseguire l’ordine rimuovendo gli abusi e rispristinando lo stato dei luoghi.

 

Istanza di condono e ordine di demolizione: necessario dimostrare la coincidenza tra le opere

Concludono infine i giudici che, in riferimento alla presunta illegittimità dell'ordine di demolizione stante la pendenza di un’istanza di condono, non può predicarsi alcuna corrispondenza tra le istanze di condono presentate e l’abuso che forma oggetto del gravato ordine di demolizione, considerata la diversità delle opere – nuova costruzione con due piani fuori terra e uno entro terra oggetto della richiesta di condono, ampliamento mediante chiusura del terrazzo oggetto dell’ordine di demolizione – nonché la diversità della strada su cui insistono.

Mancando, quindi, la prova della riconducibilità dell’opera che forma oggetto del gravato ordine di demolizione alle opere oggetto di istanza di condono, ed emergendo invece indici inequivoci che depongono per la loro non sovrapponibilità, il TAR non ha considerato accettabile la censura articolata sulla base del presupposto della pendenza dell’istanza di condono.

In definitiva, il ricorso è stato respinto.

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