Festival di Sanremo: gara sì o gara no?

Una interessante sentenza del TAR Liguria mette in discussione l'affidamento del Festival di Sanremo ai sensi della normativa applicabile ai Contratti pubblici

di Elena Serra - 10/12/2024

Una sentenza che ultimamente sta facendo discutere è la recente pronuncia del Tar Liguria n. 843 del 5 dicembre 2024, avente ad oggetto il marchio “Festival della canzone italiana”, di proprietà del Comune di Sanremo, utilizzato finora dalla RAI.

I fatti della controversia

Nel marzo 2023 una società operante nel settore musicale inviò al Comune di Sanremo una manifestazione di interesse, al fine di acquisire la titolarità dei diritti di sfruttamento economico e commerciale del Festival di Sanremo e del relativo Marchio, per curare l’organizzazione e lo svolgimento del Festival di Sanremo; ciò in vista della scadenza (in data 31 dicembre 2023) della convenzione stipulata dal Comune di Sanremo con RAI - Radiotelevisione Italiana S.p.A. per l’organizzazione e la realizzazione della 72ª e della 73ª edizione del “Festival della Canzone Italiana” e sul presupposto che il Comune avrebbe dovuto avviare una procedura di evidenza pubblica, cui la società era interessata a partecipare, concernente la 74ª edizione del Festival (che avrebbe avuto luogo nel 2024).

Alla Manifestazione di interesse il Comune non fornì alcun riscontro. La società adì quindi il TAR affinché valutasse la legittimità della convenzione, nel frattempo stipulata tra il Comune di Sanremo e RAI senza interpellare il mercato, per la concessione dell’uso in esclusiva del marchio “Festival della Canzone Italiana” e per lo svolgimento della 74ª e della 75ª edizione del “Festival della Canzone Italiana” per gli anni 2024 e 2025.

Si costituirono in giudizio la RAI e il Comune di Sanremo, chiedendo che il ricorso fosse respinto.

La decisione del TAR

La decisione ha, innanzitutto, confermato la legittimazione e l’interesse ad agire del ricorrente, trattandosi di impresa operante nel settore oggetto dell’affidamento contestato.

In base all’orientamento consolidato della giurisprudenza, infatti, nelle controversie ove si contesta un affidamento diretto o senza gara, si impone il riconoscimento di una legittimazione più ampia, riconosciuta anche all’operatore economico “di settore”, che “si spiega agevolmente alla luce del giudizio di assoluto disvalore manifestato dal diritto comunitario nei confronti di atti contrastanti con il principio essenziale della concorrenza” (Cons. St., Ad. Plen., n. 4/2011).

La pronuncia ha poi rilevato che, a fronte del corrispettivo pattuito per l’utilizzo del Marchio, il Comune si fosse obbligato ad eseguire una pluralità di prestazioni eterogenee (messa a disposizione di locali propri o, previa stipulazione di un contratto di locazione il cui canone era a carico del Comune, di locali di proprietà o comunque nella disponibilità di soggetti privati; acquisto di beni). Tali prestazioni andavano ben oltre la mera concessione dell’uso in esclusiva del Marchio (cui soltanto si riferiva l’intestazione della Convenzione).

Si è quindi affermato che la Convenzione RAI fosse un contratto attivo che offriva un’opportunità di guadagno a RAI.

Ma la qualificazione del contratto (come concessione o meno) non è stata considerata rilevante ai fini della decisione sulla sussistenza o meno dell’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica: ciò che contava, secondo i giudici, è che al Comune, a fronte (tra l’altro) della concessione dell’uso del Marchio, fosse erogato un corrispettivo e che a RAI venisse concessa un’opportunità di guadagno, rappresentata dalla possibilità di organizzare il Festival e di trarre profitto, sotto una molteplicità di profili, da tale organizzazione.

Trattandosi di un contratto attivo l’affidamento dello stesso non risulterebbe, secondo la pronuncia, disciplinato dal d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, il quale esclude espressamente i contratti attivi dal proprio ambito di applicazione (art. 13, co. 2 del Codice).

Tuttavia, ancorché escluso dall’ambito di applicazione del Codice, l’affidamento di un contratto attivo che offra un’opportunità di guadagno alla controparte dell’Amministrazione deve avvenire (in base a quanto stabilisce l’art. 13, co. 5 del Codice) nel rispetto (oltre che dei principi del risultato e della fiducia, stabiliti rispettivamente dall’art. 1 e dall’art. 2 del Codice) dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità (art. 3 del Codice, richiamato espressamente dall’art. 13, co. 5). Vale a dire, mediante l’interpello del mercato e il confronto di offerte concorrenti, nel rispetto della disciplina di cui alla legge di contabilità generale dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) e del relativo regolamento di attuazione (r.d. 23 maggio 1924, n. 827).

Tanto risulta, secondo la sentenza, non soltanto dal chiaro tenore letterale delle disposizioni sopra menzionate, ma altresì dalla consolidata elaborazione giurisprudenziale in materia (Cons. St., comm. spec., parere del 10 maggio 2018, n. 1241; Cons. St., sez. V, 29 gennaio 2020, n. 720; T.A.R. Lombardia (Milano), sez. II, 10 ottobre 2024, n. 2628).

Detti principi sono stati ritenuti violati nel caso di specie, in quanto il Comune, reiterando la prassi seguita fino a quel momento, aveva stipulato la Convenzione RAI in assenza di una procedura di evidenza pubblica, che sola consentiva di rispettare i principi sopra richiamati. Ciò è avvenuto, peraltro, nonostante la presentazione, da parte della società ricorrente, di una specifica Manifestazione di interesse, circostanza che rendeva palese la concreta possibilità di coinvolgere altri operatori e, dunque, di conseguire offerte migliori.

Le argomentazioni di RAI

Sono state invece ritenute non condivisibili le argomentazioni di RAI, la quale aveva evidenziato di aver sostenuto tutti i costi creativi e produttivi e di aver ideato e organizzato il Festival per decenni, nonché di poter vantare un diritto d’autore sull’opera dell’ingegno (il format), ai sensi dell’art. 167, legge 22 aprile 1941, n. 633 (che riconosce i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno anche in capo al possessore legittimo dei diritti medesimi).

I diritti di utilizzazione economica del format, pertanto, sarebbero nella titolarità esclusiva di RAI e non discenderebbero dalla concessione del Marchio da parte del Comune. Dunque, il Festival (che rappresenterebbe “il concorso canoro risultante dalla associazione tra il Marchio del Comune e il Format ideato da RAI”) non potrebbe essere oggetto di sfruttamento economico in difetto del consenso congiunto dei due condomini. Ne conseguirebbe l’impossibilità di associare il Marchio ad un format diverso da quello ideato e prodotto da RAI.

Tale ricostruzione non è stata ritenuta corretta da parte dei giudici, che, al contrario, hanno, tra l’altro, rilevato che l’infondatezza della tesi dell’indissolubilità del legame tra il Marchio e il format di RAI è dimostrata dalla stessa evoluzione del Festival di Sanremo; evoluzione caratterizzata (anche successivamente alla registrazione del Marchio, avvenuta, nel 2000) da frequenti mutamenti del format che, tuttavia, non hanno impedito di mantenere l’associazione tra il Marchio e il (di volta in volta mutato) format.

Ad ogni modo, la sentenza ha fatta salva l’organizzazione del Festival 2025, previsto per il prossimo febbraio, in ragione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

I dubbi sollevati dalla sentenza

La sentenza, a parere di chi scrive, solleva alcuni interrogativi che forse avrebbero meritato un approfondimento.

  • Che tipo di marchio è quello del “Festival della canzone italiana”? Un marchio collettivo pubblico ovvero un marchio idoneo a identificare una manifestazione di proprietà del Comune di Sanremo?
  • In che limiti un Comune, ente pubblico territoriale, può ottenere e sfruttare anche commercialmente un marchio (ai sensi di quanto disposto dall’art. 19 del d.lgs. 30/2005)?
  • Se il marchio, come indicato nella sentenza, è un segno che identifica un prodotto o un servizio o, come nel caso di specie, una manifestazione, è lecito affidare l’uso del marchio separatamente rispetto all’affidamento dell’organizzazione della manifestazione o di attività connessa alla manifestazione stessa?

Riguardo all’ultimo punto di cui innanzi, si evidenzia che l’affidamento a terzi, da parte di un Comune, dell’organizzazione di una manifestazione o di attività connessa, si sostanzierebbe nell’affidamento di sevizi (eventualmente in concessione), per il quale, quindi, la gara sarebbe assoggettata, non solo ai principi comunitari, bensì alle regole più stringenti del Codice dei contratti pubblici.

Sarà sicuramente interessante seguire lo sviluppo della vicenda nell’eventuale secondo grado del giudizio.

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