Abusi edilizi, sanatoria e demolizione: interviene il Consiglio di Stato
La sentenza del Consiglio di Stato chiarisce la natura dell’ordine di demolizione e i suoi destinatari, ed entra nel merito delle variazioni essenziali e del cambio d’uso rilevante
La gestione delle difformità edilizie e l’applicazione delle procedure previste dal Testo Unico Edilizia (il d.P.R. n. 380/2001) sono aspetti centrali nella regolamentazione delle costruzioni e nella tutela del territorio. In particolare, la sanatoria edilizia, uno strumento volto a regolarizzare opere realizzate in difformità dalle norme, rappresenta spesso un punto di tensione tra il diritto del privato e l’interesse pubblico alla salvaguardia dell’urbanistica e del paesaggio.
Testo Unico Edilizia e Salva Casa: nuovi orientamenti giurisprudenziali
Con l’entrata in vigore della Legge n. 105/2024, di conversione con modifiche del D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa), il panorama normativo è cambiato significativamente. Le modifiche introdotte hanno interessato in modo rilevante le procedure di sanatoria e il cambio di destinazione d’uso, con l’obiettivo di armonizzare la normativa alle crescenti esigenze del territorio. Una sfida che al momento stenta ad avviarsi.
Nel frattempo, la giustizia amministrativa si trova a gestire casistiche precedenti il Salva Casa ricordando orientamenti giurisprudenziali che nei prossimi mesi potrebbero cambiare notevolmente. Si pensi al cambio di destinazione d’uso, che oggi possiede una vera e propria disciplina innovativa (art. 23-ter), o le procedure di sanatoria previste per le variazioni essenziali, oggi gestibili utilizzando il nuovo art. 36-bis.
Molto interessante è un recentissimo intervento del Consiglio di Stato (la sentenza 11 dicembre 2024, n. 10000) che affronta un caso di abusi edilizi, illustrando i principi applicativi del Testo Unico Edilizia e il ruolo della sanatoria. Si tratta di un esempio emblematico che evidenzia i limiti entro cui le opere abusive possono essere regolarizzate e i criteri stringenti adottati per la tutela del territorio.
In questo approfondimento, proveremo a definire i dettagli tecnici della vicenda, le motivazioni giuridiche sottese alla decisione e gli orientamenti chiave della giurisprudenza in tema di sanatoria edilizia e repressione degli abusi che, come anticipato, potrebbero cambiare nel prossimo futuro per i contenziosi avviati post Salva Casa.
Gli abusi contestati e il ricorso
Nel caso di specie, viene appellata una decisione del TAR che aveva rigettato un ricorso proposto per l’annullamento del diniego di accertamento di conformità ex art. 36 del Testo Unico Edilizia (TUE) e della successiva ordinanza di demolizione.
In particolare, gli abusi contestati riguardavano:
- un cambio di destinazione d’uso rilevante: un locale cantina, originariamente destinato a deposito, era stato trasformato in uno spazio residenziale dotato di impianti e arredi domestici;
- la realizzazione di nuovi volumi: sono stati costruiti un box auto e un manufatto adibito a deposito su aree pertinenziali condominiali, con caratteristiche strutturali non conformi alle concessioni originarie;
- i vincoli paesaggistici: le opere si trovano in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, aggravando la situazione degli interventi non autorizzati.
L’appellante ha presentato il ricorso adducendo a plurime motivazioni tra le quali:
- i proprietari dell’immobile non sarebbero gli esecutori dell’abuso e non vi sarebbero specifiche esigenze di interesse pubblico che rendano necessario l’intervento repressivo a danno del proprietario estraneo alla realizzazione dell’abuso;
- l’insufficienza motivazionale della sentenza di primo grado che fonderebbe il giudizio sulla rilevanza urbanistica delle trasformazioni oggetto di sanatoria unicamente sulle (errate) qualificazioni giuridiche delle stesse, senza alcun riferimento in ordine alla sussistenza o meno della c.d. dedotta “doppia conformità” urbanistica;
- il TAR si sarebbe sostituito alle valutazioni espresse dal Comune per aver qualificato i poteri repressivi esercitati dal Comune ex art. 31 TUE, qualificando gli abusi in termini di “variazioni essenziali” ex art. 32 medesimo TU e quindi in termini maggiormente afflittivi (con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale) rispetto alla sanzione meno afflittiva ex art. 33 prevista per le mere ristrutturazioni, andando così a violare anche il principio di proporzionalità della misura sanzionatoria.
Le motivazioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso, fondando la propria decisione sui seguenti punti:
- natura vincolata delle ordinanze di demolizione: il ripristino della legalità urbanistica è considerato un obbligo dell’amministrazione, indipendentemente dal tempo trascorso o dalla buona fede del proprietario;
- conformità urbanistica: la mancata dimostrazione della “doppia conformità” delle opere (al momento della realizzazione e della domanda di sanatoria) ha impedito la regolarizzazione degli abusi;
- vincolo paesaggistico: la presenza di vincoli stringenti ha escluso la possibilità di sanare le opere abusive, ritenute incompatibili con la tutela del territorio.
Gli orientamenti chiave della sentenza possono essere così riassunti:
- carattere reale delle sanzioni edilizie: le ordinanze di demolizione sono applicabili a chiunque si trovi nella posizione di rimuovere l’abuso, indipendentemente dalla responsabilità nella sua realizzazione;
- prevalenza della tutela pubblica: il ripristino della legalità urbanistica prevale sull’affidamento del privato, anche in presenza di errori amministrativi o ritardi nell’adozione delle misure sanzionatorie;
- vincolatività degli strumenti urbanistici: le deroghe alle norme urbanistiche e paesaggistiche sono strettamente limitate e non possono essere estese in assenza di espresse previsioni legislative.
Natura ordine di demolizione
Il Consiglio di Stato, relativamente alla natura dell’ordine di demolizione, ha ricordato un orientamento dell’Adunanza Plenaria che, in presenza di violazioni edilizie, ha confermato l’irrilevanza:
- sia del tempo in cui è stato commesso l’abuso con riferimento al momento in cui la P.A. ha adottato la doverosa misura sanzionatoria;
- sia della estraneità del proprietario del bene alla realizzazione delle opere contestate dall’amministrazione.
Pur in presenza delle suddette circostanze, l’ente territoriale non è obbligato a fornire una particolare motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, che giustifichino l’adozione dell’ordine di demolizione: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 9/2017).
Sanatoria e cambio di destinazione d’uso
Errate anche le tesi atte a censurare l’insufficienza motivazionale della sentenza impugnata che, a dire dei ricorrenti, fonderebbe il giudizio sulla rilevanza urbanistica delle trasformazioni oggetto di sanatoria unicamente sulle (errate) qualificazioni giuridiche delle stesse, senza alcun riferimento in ordine alla sussistenza o meno della c.d. dedotta “doppia conformità” urbanistica.
Relativamente alla doppia conformità edilizia e urbanistica di cui all’art. 36 del TUE, il Consiglio di Stato ha ricordato che l’onere di provarla incombe sul proprietario. “Il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell'opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all'epoca di realizzazione dell'abuso sia a quella di presentazione dell'istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che in sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l'onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l'ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985 ), attesa la finalità dell'istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria”.
Nel caso di specie, l’appellante non avrebbe fornito alcun elemento idoneo a confutare i rilievi opposti dal Comune, considerati corretti dal TAR.
Relativamente al locale interrato, “concessionato” come vano cantina, emerge dalla documentazione che è stato trasformato con un insieme sistematico di opere in un vano residenziale (e non solo accessorio pertinenziale) collegato all’appartamento al piano rialzato. Il vano è stato munito di un ambiente wc, di un angolo cottura, di impianti idrico ed elettrico. In sostanza è stato dotato di una serie di opere funzionali ad un effettivo uso abitativo, come rilevabile dalle riproduzioni fotografiche allegate alla domanda di sanatoria. Secondo il Consiglio di Stato, correttamente il primo giudice ha richiamato a riguardo la costante giurisprudenza che qualifica questo tipo di trasformazioni edilizie rilevanti, equiparabili alle nuove volumetrie, per il fatto che determinano un illegittimo aggravio del carico urbanistico.
Al riguardo, esiste un orientamento per cui, premesso che gli standard urbanistici hanno una “funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità di vita”, la destinazione del piano in questione (interrato, ma analogo discorso vale per il sottotetto) ad abitazione ha determinato un incremento delle volumetrie e delle superfici “utili” – ossia utilmente fruibili – con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1 lett. a) d.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce “variazione essenziale” ogni “mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968”.
Da ciò consegue che non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un locale cantina in un vano abitabile; a differenza dell’ipotesi in cui un garage venga trasformato - con o senza opere- in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, “la trasformazione in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire”.
Facendo applicazione dei predetti principi al caso di specie è, quindi, evidente che le opere realizzate al piano interrato determinano un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante con le correlate conseguenze in termini di qualificazione dell’intervento e delle connesse conseguenze sanzionatorie, ove a nulla rileva il fatto che in sede di domanda di sanatoria non è stata richiesta la trasformazione d’uso, posto che il mutamento è già stato funzionalmente realizzato e, in questo caso, non compatibile con le norme del piano urbanistico che nella siffatta zona urbanistica non ammette nuove volumetrie e nuovi usi abitativi.
Conclusioni
La sentenza del Consiglio di Stato rappresenta un punto di riferimento significativo nel panorama giurisprudenziale riguardante gli abusi edilizi e l’applicazione delle norme del Testo Unico Edilizia. In un contesto in cui la gestione del territorio è sempre più orientata alla tutela dell’ambiente e alla sostenibilità, le decisioni giudiziarie confermano l’importanza di una rigorosa osservanza delle normative urbanistiche e paesaggistiche.
Il caso di specie evidenzia come le procedure di sanatoria edilizia siano soggette a vincoli stringenti, in particolare quando le opere in questione incidono su aree sottoposte a vincolo paesaggistico o presentano trasformazioni incompatibili con gli strumenti urbanistici. Il Consiglio di Stato ha ribadito che il ripristino dello stato dei luoghi, attraverso l’ordinanza di demolizione, è una misura necessaria per garantire il rispetto della legalità urbanistica, anche a fronte di lunghe tempistiche amministrative o dell’estraneità del proprietario attuale rispetto agli abusi contestati.
Con le modifiche introdotte dalla Legge n. 105/2024, il quadro normativo è notevolmente cambiato e, soprattutto con specifico riferimento ai cambi d’uso e alla gestione delle variazioni essenziali, si attendono nuovi indirizzi della giurisprudenza.
Documenti Allegati
Sentenza Consiglio di Stato 11 dicembre 2024, n. 10000