Superbonus e lavori mai eseguiti: possibile rivalersi sull’impresa?

Una recente sentenza ha negato strumenti di tutela al committente anche se l’appaltatore ha “incassato” (senza compensarli) crediti d’imposta non spettanti, poiché in tal caso il danno è solo “ipotetico e futuro”

di Cristian Angeli - 03/01/2025

Nel percorso che ha portato all’accesso ai bonus edilizi, sono entrati in gioco numerosi attori, sia sul piano tecnico che giuridico. Tuttavia, il beneficiario della detrazione rimane sempre il committente, che è anche il primo a rispondere in caso di problematiche. Se, infatti, per qualsiasi motivo il bonus non risultasse spettante, sarà il beneficiario a dover affrontare il recupero fiscale.

Superbonus: chi ne risponde

Il successo della pratica dipende, però, in misura significativa dall’operato di altri soggetti, in primis l’impresa incaricata di eseguire i lavori. Le detrazioni edilizie, infatti, sono strettamente collegate alla realizzazione degli interventi previsti; di conseguenza, se il costruttore non rispetta gli impegni assunti con il contratto d’appalto – ad esempio, interrompendo i lavori e “abbandonando” il committente – il diritto al bonus non matura.

Tale situazione può avere conseguenze rilevanti per il committente. Non solo rischia di vedere il proprio immobile non ristrutturato, ma perde anche l’opportunità di beneficiare del vantaggio fiscale che aveva previsto.

Il problema, però, non si limita a questo. Come accennato, il beneficiario potrebbe trovarsi a fronteggiare un atto di recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate. Questo può accadere anche quando il mancato riconoscimento del bonus sia direttamente attribuibile a comportamenti fraudolenti dell’impresa esecutrice. Tuttavia, non sempre in questi casi si riesce ad ottenere “giustizia”, come dimostra la sentenza n. 776 del Tribunale di Lodi, emessa il 25 novembre scorso.

I fatti di causa

A sollevare la causa è stato il proprietario di una villetta che ha stipulato un contratto d’appalto con un’impresa edile per la sua ristrutturazione “a costo zero”, in quanto agevolabile con il Superbonus al 110%. Infatti, il contratto prevedeva il ricorso allo sconto in fattura, e con lo stesso l’appaltatore si impegnava a terminare i lavori entro i tempi previsti dalla normativa per accedere al Superbonus.

Tuttavia, l’appaltatore non dava neanche inizio ai lavori, e il committente ha dunque chiesto al Tribunale innanzitutto la risoluzione del contratto per inadempimento.

Tra i danni subiti, però, il proprietario ha lamentato anche quello relativo alla possibilità che l’Agenzia delle Entrate emani nei suoi confronti un atto di recupero fiscale. Infatti, accedendo al proprio cassetto fiscale, il ricorrente ha scoperto che nonostante i lavori non fossero mai avvenuti, venendo meno quindi la base per la maturazione del Superbonus, l’appaltatore aveva comunque provveduto a “riscuotere” il credito d’imposta, inviando all’AdE la comunicazione di avvenuta cessione del credito tramite un intermediario al quale il committente non aveva mai conferito alcuna delega.

Senza compensazione non c’è danno

Per quanto il Giudice abbia accertato l’inadempimento dell’appaltatore, accogliendo la richiesta di risoluzione del contratto, quest’ultimo non ha ritenuto possibile ristorare il committente dei danni relativi al rischio (concreto) di subire un recupero fiscale.

La decisione, nel dettaglio, si basa su un principio formulato tanto dal Fisco quanto dalla giurisprudenza, ma che, come vedremo, non è privo di profili d’incertezza. Si tratta, cioè, del principio secondo il quale quando un credito d’imposta illecito viene ceduto e il suo acquirente (in questo caso l’impresa) non lo ha ancora compensato, non sorge alcun danno per le casse erariali, che si verifica solo quando il credito viene monetizzato da chi lo ha ricevuto. Infatti, spiega il Tribunale di Lodi, “la documentazione versata in atti non consente di verificare se i crediti ceduti siano stati materialmente riscossi o compensati dalla società convenuta. Conseguentemente, qualora il credito non sia stato goduto dall’autore dell’illecito, non si configura alcuna perdita economica ai danni dello Stato e l’Agenzia dell’Entrate non vanterà alcun titolo per richiedere la restituzione di somme mai erogate”. Pertanto, considerato anche che il proprietario “non ha neppure allegato di aver ricevuto comunicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate concernenti attività di verifica connesse ai benefici fiscali oggetto di causa o richieste di rimborso delle somme cedute”, il Giudice ha concluso che “il danno lamentato appare quindi, ad oggi, ipotetico e futuro”.

Il recupero dei crediti ceduti secondo l’AdE

Come accennato, una simile decisione appare coerente con il parere delle Entrate. Nel dettaglio, all’interno della risposta a interpello n. 440/2023, l’amministrazione ha spiegato che l’assenza dei requisiti previsti dalle norme sulle detrazioni edilizie “determina il recupero dell’ammontare della detrazione indebitamente fruita – anche sotto forma di sconto in fattura o attraverso la cessione del credito – maggiorato di interessi e sanzioni, sempre in capo al soggetto beneficiario, titolare dell’agevolazione fiscale”.

Dopodiché, però, l’AdE prosegue distinguendo in base alla modalità di fruizione del bonus. Se, cioè, il contribuente ha utilizzato il credito d’imposta direttamente in dichiarazione, ecco che “la violazione si configura in ciascuna annualità nella quale la stessa viene esposta in dichiarazione ed utilizzata, e consiste nel minor versamento dell'imposta dovuta”. Se, invece, il contribuente ha optato per la cessione del credito, allora “la violazione si configura solo nel momento in cui il credito ceduto è indebitamente utilizzato in compensazione da parte del cessionario, e cioè quando si concretizza il danno erariale”.

Giurisprudenza contraddittoria

In parole povere, per l’AdE se il beneficiario di un bonus edilizio non è più nella disponibilità del relativo credito (poiché lo ha ceduto) e quest’ultimo è “fermo” nel cassetto fiscale del soggetto che l’ha ricevuto, non scatta alcun obbligo di restituzione, poiché il danno per le casse statali non si è ancora verificato.

Ciò non significa, però, che un committente che si trovi nella situazione vissuta dall’attore della causa decisa dal Tribunale di Lodi non corra alcun rischio, anzi.

Il tema, in realtà, è ancora incerto, poiché la stessa giurisprudenza di legittimità si sta esprimendo in termini contraddittori. Ad esempio, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37138/2023, ha ritenuto consumato il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter C.P.), anche in assenza di compensazione, poiché “con il riconoscimento del credito di imposta, immediatamente monetizzabile, il reato è già consumato in quanto l'ente erogatore (lo stato ndr.) non è più nella possibilità di recuperare quanto erogato ed il soggetto beneficiario ha già avuto l'accrescimento del proprio patrimonio”.

In un’altra occasione, invece, con la sentenza n. 23402/2024 la Cassazione ha ritenuto non consumato il diverso reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis cp) commesso attraverso la costituzione di un credito fiscale fittizio a seguito della falsa asseverazione in ordine al completamento di opere agevolabili con Superbonus e la successiva cessione a terzi di tale credito, poiché detto reato “si perfeziona con la riscossione o con la compensazione del credito, in quanto solo in quel momento è conseguito l'ingiusto profitto, con conseguente danno per l'amministrazione”.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di agevolazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it

© Riproduzione riservata