Clausole revisione prezzi: i limiti imposti dal Codice Appalti
La revisione dei prezzi è consentita alle sole condizioni indicate nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili e senza alterare la natura generale del contratto
La revisione dei prezzi negli appalti di servizi e forniture, in assenza di specifiche previsioni derogatorie al d.lgs. n. 50/2016, è consentita solo entro i limiti stabiliti dall’art. 106, comma 1, lett. a), del Codice dei Contratti Pubblici. Tale revisione può essere disposta esclusivamente nei casi previsti dalla norma, che devono essere considerati tassativi poiché derogano ai principi di evidenza pubblica.
Fuori da una disciplina contrattuale o normativa più stringente, la revisione dei prezzi non rappresenta un obbligo per l'amministrazione né un diritto automatico per il fornitore. Essa è subordinata al raggiungimento di un accordo tra le parti.
Revisione prezzi: il TAR sulle clausole contrattuali
A chiarire questi aspetti è il TAR Veneto con la sentenza del 20 dicembre 2024, n. 3020. La decisione ha respinto il ricorso di un Operatore Economico (OE) che richiedeva la revisione dei prezzi nell’ambito di un appalto per la gestione e manutenzione di un servizio della durata di 7 anni. Il contratto prevedeva una clausola di revisione prezzi a partire dal secondo anno, basata sulla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per l’intera collettività (indice NIC), anche in relazione ai consumi di energia termica ed elettrica.
Il servizio è stato affidato nel 2021 e, alla fine dello stesso anno, l’OE ha richiesto l’introduzione di nuovi indici di revisione dei prezzi unitari, sostenendo che l’eccezionale aumento dei costi energetici non poteva essere previsto al momento della stipula del contratto. La richiesta è stata ribadita nel 2023, ma la Stazione Appaltante (SA) ha deciso di non accoglierla.
Da qui è nato il ricorso, motivato dal fatto che, in presenza di condizioni eccezionali e imprevedibili, sarebbe stato necessario riconoscere all’appaltatore un adeguamento revisionale più significativo.
Clausola di revisione prezzi: i limiti imposti dal Codice dei Contratti
L’OE ha anche sostenuto che l’art. 106, comma 1, lett. a) e comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 fosse stato violato. Secondo il ricorrente, la clausola di revisione basata sull’indice ISTAT (NIC) non era sufficiente a compensare l’aumento dei prezzi verificatosi nel 2022 e nell’ultimo trimestre del 2021, a seguito della pandemia e del conflitto in Ucraina.
Il TAR Veneto non ha accolto questa tesi. La logica del d.lgs. n. 50/2016 è infatti quella di evitare che la clausola revisionale possa alterare in modo sostanziale il contratto, compromettendo la concorrenza nella gara d’appalto. La regola generale è il divieto di clausole revisionali, salvo i casi derogatori tassativamente previsti, nei quali una revisione è consentita solo a condizione che:
- non sia necessaria una nuova procedura di affidamento;
- non vengano apportate modifiche tali da alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro.
Questa impostazione è volta a tutelare la concorrenza e prevenire potenziali effetti elusivi del meccanismo della gara pubblica. Essendo una norma derogatoria rispetto al principio della gara, essa non consente interpretazioni analogiche o estensive.
Appalti di servizi: non applicabile la norma sulle varianti in corso d'opera
Nel caso in esame, la revisione prezzi è prevista ma partire dall’anno 2022, con la conseguenza che occorre fare riferimento alla lett. a) dell’art. 106, d.lgs. n. 50 del 2016.
Non risulta invece applicabile il disposto di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016, che fa testuale ed espresso riferimento a quelle “modifiche dell’oggetto del contratto” che si correlano alle “varianti in corso d’opera”, che sono quelle modifiche che riguardano l’oggetto del contratto sul versante dei lavori da eseguire.
Non solo: specifica il TAR che l’art. 7, comma 2-ter, d.l. 30 aprile 2022, n. 36 “si interpreta nel senso che tra le circostanze indicate al primo periodo sono incluse anche quelle impreviste ed imprevedibili che alterano in maniera significativa il costo dei materiali necessari alla realizzazione dell’opera”, è inequivocabilmente riferito al solo settore dei lavori pubblici, facendo espresso riferimento ai “materiali” e all’“opera”.
Il riferimento all’“opera” e alla “variante in corso d’opera” – che l’impresa aggiudicataria può proporre per far fronte all’aumento dei costi dei materiali – confermano che la lett. c) del comma 1 dell’art. 106, d.lgs. n. 50 del 2016 si riferisce ai soli appalti di lavori, confermato da ANAC nel parere in funzione consultiva n. 14/2024.
Nemmeno possono essere applicate al caso di specie le norme in materia di revisione dei prezzi previste dalla legislazione speciale successiva al Codice dei contratti pubblici del 2016 (e, segnatamente, l'art. 29 del D.L. n. 4/2022 e l'art. 26 del D.L. n. 50/2022). Considerata la natura eccezionale di tali previsioni, non ne è possibile un'interpretazione analogica o estensiva oltre i casi ivi previsti.
Revisione prezzi: no a deroghe se esistono clausole chiare e precise
In definitiva, la fattispecie rientra nell’ambito di applicazione di cui all’art. 106, comma 1, lett. a), ai sensi del quale la revisione dei prezzi è consentita alle sole condizioni ivi indicate vale a dire se prevista “nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili” e sempre che non alteri la natura generale del contratto.
Al di fuori di tali ipotesi, il contraente privato non può pretendere una revisione dei prezzi pattuiti neanche in presenza di eventi eccezionali e imprevedibili.
Ne consegue, in mancanza di apposita previsione contrattuale, l'infondatezza della pretesa della società ricorrente per la quale l'amministrazione avrebbe dovuto avviare un'attività istruttoria volta all'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale. Risulta quindi legittima la decisione della SA di riconoscere la revisione dei prezzi esclusivamente nei limiti di quanto contrattualmente previsto.
Inoltre non si può pretendere che l’Amministrazione dovesse rinegoziare il contratto in base al disposto dell’art. 9 del d.lgs. n. 36 del 2023 e in base alle disposizioni del codice civile in tema di revisione prezzi nel contratto di appalto (art. 1664 c.c.) e in tema di buona fede contrattuale:
- la disposizione sopravvenuta di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 36 del 2023 non ha portata retroattiva poiché non è norma interpretativa né applicativa di un principio generale già presente nell'ordinamento, ma introduce ex novo il rimedio generale di manutenzione del contratto;
- quanto alle disposizioni del codice civile in tema di revisione prezzi nel contratto di appalto, il rinvio non è praticabile per la disciplina della revisione dei prezzi, dato che questa è espressamente contemplata nell'art. 106, comma 1, lett. a). Essendo quest’ultima norma speciale per gli appalti di lavori, servizi e forniture della pubblica amministrazione, prevale sulla normativa del codice civile in tema di revisione dei prezzi per il contratto tipico di appalto (art. 1664, comma 1, c.c.).
La sentenza del TAR
Il ricorso è stato respinto: al di fuori di una disciplina contrattuale o normativa specifica più stringente, la revisione dei prezzi non costituisce né un dovere in capo all'amministrazione, né un diritto del fornitore ma un'evenienza rimessa al raggiungimento di un comune accordo delle parti.
Le modifiche contrattuali dell'art. 106, comma 2 (e dal comma 1, lett. c) sono previste dal legislatore come praticabili da parte dell'amministrazione committente, unica titolare del potere di modifica, ed è rimessa all'appaltatore soltanto la facoltà di accettarle o meno, salvo che, in presenza di determinate situazioni, sia obbligato a sottostarvi: in sintesi, sono modifiche possibili, ma che presuppongono l'accordo tra le parti, promosso però dalla stazione appaltante e regolato dalla legge nel preminente interesse del mercato e della concorrenza, nonché al fine di delimitare lo ius variandi del committente pubblico.
Esula dall'ambito applicativo dell'art. 106, comma 2 (e comma 1, lett. c) l'iniziativa dell'appaltatore volta ad ottenere la modifica dei prezzi contrattuali reputati non più remunerativi.
Ciò precisato, non può escludersi che l'impresa appaltatrice formuli una richiesta di modifica contrattuale che l'amministrazione potrebbe accettare in quanto rispettosa delle condizioni dell'art. 106, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, ma la relativa pretesa, se respinta dall'amministrazione, non è tutelabile in giudizio invocando l'applicazione di quella norma.
Documenti Allegati
Sentenza