La comunicazione di avvio del procedimento in edilizia: interviene il TAR
Il TAR interviene su un delicato caso di abusivismo edilizio, ricordando la ratio della comunicazione di avvio del procedimento
L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di repressione di abusi edilizi non vizia il provvedimento adottato laddove lo stesso risulti adeguatamente motivato in riferimento alla realizzazione di opere in assenza di titolo e con il richiamo alla normativa violata, non occorrendo alcuna specifica valutazione dell’interesse pubblico sotteso e della relativa comparazione con gli interessi privati coinvolti né la comunicazione del preavviso di rigetto.
L’avvio del procedimento in edilizia
Questo è un principio consolidato della giustizia amministrativa in riferimento al potere-dovere della pubblica amministrazione di vigilare sull’attività urbanistico-edilizia ed intervenire in caso di mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi - art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).
Un potere-dovere che va correttamente bilanciato con quanto prevede l’art. 7 della Legge n. 241/1990 (Norme in materia di diritto amministrativo) a mente del quale la pubblica amministrazione:
- da una parte deve comunicare l’avvio del procedimento;
- dall’altra può adottare, anche prima della effettuazione della comunicazione di avvio del procedimento, provvedimenti cautelari.
Il citato art. 7 della legge n. 241/1990, dunque, rappresenta un cardine del procedimento amministrativo, stabilendo l'obbligo per la Pubblica Amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti interessati. Un principio che garantisce trasparenza, contraddittorio e partecipazione attiva, fondamentali nei procedimenti edilizi regolati dal Testo Unico Edilizia.
La nuova sentenza del TAR
Sul rispetto della citata Legge n. 241/1990 nei procedimenti edilizi è intervenuto il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia con la sentenza n. 9 del 7 gennaio 2025 che evidenzia quando l’omissione della comunicazione di avvio da parte del Comune viola i diritti dei destinatari. Sebbene la demolizione rappresenti un provvedimento vincolato, infatti, la complessità del caso e le difformità edilizie rilevate possono richiedere un maggiore approfondimento istruttorio, nel rispetto del principio di collaborazione tra amministrazione e privati.
Il caso trattato dai giudici del TAR entra nel merito anche del “non finito architettonico”, tema spesso trascurato ma di grande rilevanza in edilizia. La sentenza tocca marginalmente questo fenomeno, riferendosi a edifici parzialmente completati ma dotati di autonomia funzionale. La giurisprudenza recente (Cons. St., Ad. plen., n. 14/2024) ha stabilito che tali costruzioni possono essere considerate regolari, purché le difformità siano lievi e non alterino i requisiti essenziali.
Nel caso in esame, le irregolarità riguardavano elementi secondari come sottotetti e prospetti. Tuttavia, l’assenza di un’adeguata istruttoria ha impedito di valutare se tali difformità potessero rientrare nelle tolleranze costruttive o essere sanate, perpetuando uno stato di degrado e abbandono.
Le tolleranze costruttive post Salva Casa
La sentenza evidenzia come le modifiche introdotte dalla Legge n. 105/2024, di conversione con modifiche del D.L. n. 69/2024 (Decreto Salva Casa), hanno ampliato le possibilità di sanatoria per difformità edilizie, rafforzando il ruolo dell'avviso di avvio del procedimento.
Con il Salva Casa, infatti, il legislatore ha introdotto nuove fattispecie di tolleranze costruttive che dovrebbero incentivare l’amministrazione ad un approccio più flessibile e meno repressivo nei confronti di irregolarità minori.
Nel caso di specie, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento repressivo ha privato i destinatari della possibilità di avvalersi delle novità normative, limitando l’applicazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. Inoltre, l’assenza di contraddittorio ha ostacolato un'adeguata ponderazione delle alternative disponibili, come la richiesta di accertamento di conformità o la sanatoria delle opere.
Secondo il TAR, in special modo, ma non soltanto, per gli abusi risalenti nel tempo, l’inoltro dell’avviso, di cui all’art. 7 della Legge n. 241/1990, consente di meglio approfondire l’epoca della costruzione al fine:
- di comprendere meglio qual sia il regime giuridico in ordine al titolo edilizio assente o carente;
- di applicare il regime repressivo predicabile in concreto, per come esso è mutato e si è evoluto nel tempo, a partire dalla fondamentale legge 17 agosto 1942, n. 1150 (“Legge urbanistica”), passando oltre per le successive modifiche intervenute, fino a giungere alla legge 28 febbraio 1985, n. 47 (“Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”), e per terminare con il testo unico di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
La partecipazione al procedimento repressivo
In verità, la partecipazione al procedimento, voluta dal legislatore, al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, salvo ove osti l’urgenza, specie se può condurre all’adozione di un atto amministrativo sfavorevole, costituisce un principio generale dell’azione amministrativa, che non può essere sminuito nella sua rilevanza intrinseca ogni qual volta sussista una ragione particolare valida, per assicurarne una sua proficua applicazione, sia per l’amministrazione, sia per i soggetti incisi, i quali possono entrambi meglio ritrarre nel dialogo, ossia dal confronto intercorso per mezzo di parole comunicate (verbalmente o per iscritto) tra due o più soggetti agenti, la “consistenza” di ciò che si intende fare.
In tale dimensione, lo scopo per cui è prevista la partecipazione al procedimento da parte del (futuro) destinatario del provvedimento è duplice e contrassegna:
- sia una finalità difensiva, atta a consentire un proficuo contraddittorio già in sede procedimentale;
- sia una finalità collaborativa, utile anche per la stessa amministrazione, che in tal modo può formare meglio il provvedimento finale in modo più attagliato al caso concreto.
Le parziali difformità
In tal modo, il principio secondo cui l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, considerando che la partecipazione al procedimento non potrebbe determinare alcun esito diverso, conosce un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del titolo edilizio, ma) per parziale difformità (dal medesimo), ovvero per variazione essenziale, ove fosse controversa e controvertibile in punto di fatto (e/o di diritto) l'entità della stessa variazione e fosse indi necessario condurre un apposito accertamento specifico, in primis nella sede amministrativa, meglio se, per l’appunto, in contraddittorio, o rectius garantendo la partecipazione.
Tale dialogo nel procedimento risulta essere funzionale a ottimizzare la comprensione stessa dei fatti e del diritto, da applicarsi nel processo, senza debordare, nell’interesse pubblico, in inutili misure repressive nei confronti dei soggetti ingiunti e senza compromettere il canone della proporzionalità.
Il caso di specie
Nel caso di specie sono stati confermati i seguenti “fatti”:
- talune demolizioni sono state operate;
- altre demolizioni sono apparse insufficienti;
- il bene non è stato confiscato;
- non sembra sia stata accertata la violazione di prescrizioni di tutela paesaggistica e ambientale;
- l’immobile versa in condizioni di abbandono e risulterebbe oggetto di proprietà di società cessate e/o “fallite” da molto tempo;
- sembrano residuare violazioni edilizie relative ai sottotetti, alla variazione dei prospetti e delle disposizioni interne e altre piccole variazioni, a suo tempo realizzate in difformità del titolo edilizio rilasciato e non già in radicale assenza dello stesso.
Proprio in considerazione del caso estremamente complesso (ed in alcuni casi dubbio), il TAR ha confermato che – al fine, da un lato, di evitare l’emanazione di provvedimenti, che non possano trovare alcuna fattiva applicazione e, dall’altro, di determinare consolidamenti di costruzioni non recuperabili e/o non abbattute e quindi di ruderi, che finiscano sì per compromettere in concreto il paesaggio o l’ambiente – un maggiore approfondimento istruttorio e apporto motivazionale, da parte dell’amministrazione comunale, e, soprattutto, l’inoltro del prescritto ex lege “avviso di inizio del procedimento” (artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990 cit.) a tutti i soggetti legittimati (anche per come mutati nel tempo), considerata la natura personale della comunicazione di avvio del procedimento (art. 7 comma 1, e art. 8, comma 1, legge n. 241 cit.).
Conclusioni
In conclusione, la sentenza del TAR ha ribadito l’importanza della Legge n. 241/1990 nel garantire procedimenti amministrativi equi e trasparenti. In edilizia, il rispetto dell’avviso di inizio procedimento è fondamentale per tutelare i diritti dei privati e per consentire all’amministrazione di adottare provvedimenti proporzionati e conformi al d.P.R. n. 380/2001. Le modifiche introdotte dal Decreto Salva Casa, infine, hanno rafforzato ulteriormente il ruolo della partecipazione procedimentale, sottolineando l’esigenza di un approccio collaborativo e orientato alla semplificazione normativa.
Documenti Allegati
Sentenza TAR Puglia 7 gennaio 2025, n. 9