Demolizione e ricostruzione: ristrutturazione edilizia o nuova costruzione?

Un intervento di demolizione e ricostruzione va considerato “ristrutturazione edilizia” o “nuova costruzione” ai sensi del d.P.R. n. 380/2001? Lo chiarisce il Consiglio di Stato

di Redazione tecnica - 16/01/2025

Un intervento di demolizione e ricostruzione può rientrare alternativamente tra le definizioni di “ristrutturazione edilizia” e “nuova costruzione” di cui all’art. 3, comma 1, lettere d) ed e), del Testo Unico dell'Edilizia (il d.P.R. n. 380/2001).

Demolizione e ricostruzione: interviene il Consiglio di Stato

Le condizioni per stabilirlo sono sancite proprio alla citata lettera d) che nel corso degli ultimi anni ha subito parecchie modifiche che, spesso, sono servite solo a complicare. Lo dimostrano i copiosi interventi della giustizia amministrativa cui si aggiunge la sentenza del Consiglio di Stato 23 dicembre 2024, n. 10307

Preliminarmente, si ricorda che l’art. 3, comma 1, lettera d), del Testo Unico Edilizia (TUE), fornisce una precisa definizione di “ristrutturazione edilizia” dalla quale è possibile estrapolare i seguenti ultimi 4 periodi:

  1. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico;
  2. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana.
  3. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
  4. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 14444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.

Il caso di specie

Nel caso oggetto dell’intervento del Consiglio di Stato viene appellata una sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione-rimessa in pristino, relativa ad un intervento che il ricorrente riteneva potesse rientrare tra quelli di edilizia libera o di manutenzione straordinaria, oppure in subordine di “ristrutturazione ricostruttiva parziale”.

Proprio sulla base di questo rilievo, viene contestata l'erronea applicazione della sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del TUE, sostenendo che nel caso di specie si tratterebbe di attività edilizia non richiedente il permesso di costruire.

Il Consiglio di Stato ha confermato che l’intervento non può qualificarsi come attività edilizia libera né è riconducibile agli interventi di manutenzione straordinaria, per i quali è sufficiente la sola comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione comunale, dal momento che la norma esclude da tale fattispecie gli interventi che, come nel caso di specie, riguardino le parti strutturali dell'edificio.

L’intervento, invece, è riconducibile alla ristrutturazione ricostruttiva ex art. 3, lett. d), del testo unico, ossia quale ripristino di edificio crollato mantenendo sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente senza incrementi di volumetria che, quindi, richiederebbe la segnalazione certificata di inizio attività di cui all’art. 22 del TUE.

Dall’esame della documentazione progettuale e fotografica è emerso che la ricostruzione, benché mediante l’utilizzo di materiali diversi, è avvenuta in modo del tutto fedele per sagoma, volume ed altezze (circostanza confermata anche nella sentenza di primo grado).

La consistenza preesistente

Secondo il Consiglio di Stato, essendo ben nota la consistenza del preesistente, non può trovare applicazione la giurisprudenza che qualifica come nuova opera la ricostruzione su ruderi o su di un edificio demolito, trattandosi di pronunce che fanno riferimento a fattispecie di immobile demolito già da lungo tempo, per il quale mancano elementi sufficienti a testimoniare le dimensioni e le caratteristiche dell'edificio da recuperare.

L'intervento di demolizione e ricostruzione si distingue dalla nuova costruzione per l'assenza di variazioni del volume, dell'altezza o della sagoma dell'edificio. Tali criteri hanno un ancor maggiore pregio interpretativo a seguito dell'ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal D.Lgs. n. 301 del 2002 in quanto proprio perché non vi è più il limite della “fedele ricostruzione” si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi, per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi.

L'art. 10, comma 1, lett. c del d.p.r. n. 380/2001 dispone che sono soggetti a permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici”.

Ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), del d.p.r. n. 380 del 2001, per qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente.

Nel caso di specie non sono state ravvisate modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, per cui è stata esclusa la necessità del permesso di costruire.

Ai sensi dell'art. 31, l. 5 agosto 1978 n. 457 la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi, dovendo essere altrimenti l'intervento qualificato come di nuova costruzione.

Tale principio giurisprudenziale è stato espressamente recepito all'art. 3 comma 1 lettera d) del d.p.r. 380 del 2001, per cui “Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.

Il limite del rispetto della sagoma dell'edificio preesistente è stato infatti eliminato con la modifica dell'art. 3 comma 1 lettera d), a seguito del D.L. n. 69/2013, mentre nel testo attualmente vigente è stato reintrodotto per gli interventi realizzati in zone A, “il rispetto di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente” e sono esclusi incrementi di volumetria.

Serve il permesso di costruire?

Il Consiglio di Stato ha, dunque, escluso la necessità del permesso di costruire in una fattispecie dove peraltro la ricostruzione non è dipesa da una demolizione volontariamente effettuata, ma ha costituito il necessario intervento di ripristino, a seguito di un evento atmosferico che ha distrutto il precedente fabbricato, di ciò che era già stato legittimamente autorizzato.

A fronte dell’invio da parte dell’appellante della comunicazione di avvio delle opere di manutenzione per il fedele ripristino del chiosco danneggiato dagli eventi naturali (cui ha fatto peraltro seguito anche la comunicazione di fine lavori), il comune avrebbe dovuto:

  • da una parte, prendere atto che si trattava di fedele ricostruzione del manufatto andato distrutto e, quindi, escludere che fosse necessario il permesso di costruire;
  • dall’altra, esprimersi tempestivamente sulla validità della ridetta comunicazione avviando una interlocuzione procedimentale con l’appellante, il quale avrebbe così potuto avere contezza del titolo necessario per l’intervento da eseguire e richiederlo senza incorrere in sanzioni.

L’amministrazione ha l’obbligo di rispettare, nell’esercizio dell'attività autoritativa, non solo le norme di diritto pubblico ma anche le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, trattandosi di condotta esigibile non solo dal privato, dovendosi fare applicazione dell’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990, che prevede che i rapporti tra il cittadino e la p.a. sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede.

L’operato della P.A.

Il Consiglio di Stato ha, inoltre, osservato come il Comune non abbia tenuto nel debito conto neanche le osservazioni procedimentali che l’appellante ha potuto presentare soltanto in occasione della tardiva attivazione del contraddittorio, ossia dopo aver avviato il procedimento di repressione di abusi edilizi, a tanto non potendo sopperire la mera parziale riproduzione del parere dell’avvocatura comunale.

Alla luce delle suddette considerazioni, l’appello è stato accolto ed è stata censurata l’omessa valutazione da parte del Comune dell’apporto fornito in sede procedimentale, sia quanto al motivo con cui è stato dedotto il difetto di istruttoria per non aver considerato che il manufatto consiste in una fedele ricostruzione di quello crollato e non necessitava di permesso di costruire.

In definitiva, il comune avrebbe dovuto, nell’ottica della leale collaborazione, indicare all’appellante il titolo necessario per eseguire l’intervento per cui è causa, ossia la SCIA di cui all’art. 22 del testo unico.

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