Servizi tecnici: da equo compenso a equo ribasso
Il Consiglio di Stato prende posizione sulla ribassabilità dei compensi professionali e non rileva alcuna antinomia tra equo compenso e disciplina dei contratti pubblici
Secondo il Consiglio di Stato più che di equo compenso, è corretto parlare di equo ribasso, nel caso di appalti per l’affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
Appalti pubblici ed equo compenso: per il Consiglio di Stato diventa equo ribasso
È destinata a far discutere la sentenza del Consiglio di Stato del 27 gennaio 2025, n. 594, che ha riformato la “celebre” sentenza del TAR Veneto 3 aprile 2024, n. 632, con cui il tribunale amministrativo, nell’ambito di una procedura per l’affidamento di servizi SIA per l’adeguamento antincendio e antisismico di una struttura ospedaliera, aveva accolto il ricorso e annullato l’aggiudicazione in favore di un OE per violazione della normativa sull’equo compenso.
La sentenza del TAR
Questi i punti cardine della sentenza di primo grado:
- non vi è alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016: mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici, il compenso del professionista è soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”;
- sarebbe proprio su queste ultime che potrebbe manifestarsi la pressione concorrenziale, ferma restando invece la determinazione del compenso in termini di equità ai sensi della legge n. 49/2023 – la quale, sotto tale aspetto, stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell'art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1;
- e due tipologie di decreti ministeriali, ossia il d.m. 17 giugno 2016 e il d.m. n. 140/2012 adottato ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, sono costruiti con l’applicazione degli stessi parametri e la valorizzazione delle medesime voci;
- lo stesso art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 disciplina unitariamente sia la determinazione dei compensi liquidabili giudizialmente al professionista, sia la determinazione degli importi da porre a base di gara da parte delle Amministrazioni.
Da ciò il primo giudice ha fatto derivare che:
- il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del d.m. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa;
- il confronto competitivo potrebbe comunque dispiegarsi sulle altre componenti di prezzo come spese e oneri accessori: nel caso di specie, il bando di gara non ha previsto, espressamente, l’applicazione della legge sul c.d. “equo compenso” e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente “compenso” del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi eterointegrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata secondo il meccanismo delle nullità di protezione. Ciò anche per evitare dolose o maliziose deduzioni postume della nullità successivamente alla stipula del contratto con conseguente riconduzione ad equità ed alterazione postuma dell’offerta.
Il TAR ha quindi concluso che nel caso di specie il ribasso offerto dall’aggiudicatario fosse superiore in entrambi i lotti al valore delle uniche voci soggette a ribasso (ossia spese e accessori) stante l’inderogabilità della voce sui compensi, motivo per cui l’aggiudicazione è stata giudicata affetta da illegittimità per violazione della disciplina imperativa sull’equo compenso.
La tesi della Stazione Appaltante
Da qui l’appello della SA, secondo cui:
- i decreti ministeriali che fissano i parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, indicano anche la possibilità per il Giudice di procedere ad un aumento percentuale (c.d. “massimi”) o ad una riduzione percentuale (c.d. “minimi”) entro un range fissato dal decreto;
- di contro, il decreto cui rinvia la disciplina sull’equo compenso discorre espressamente di “corrispettivi da porre a base di gara” e quindi da ribassare;
- è dubbio che possa esservi un serio confronto concorrenziale se si limita il confronto all’importo fissato da d.m. per spese e accessori, le quali di contro dovrebbe ricadere nella nozione di equo compenso di cui all’art. 3 l. 49/2023;
- infine, la lex specialis non potrebbe eteroinegrarsi con la disciplina imperativa sull’equo compenso: non vi era alcuna omissione da integrare nella lex specialis di gara, poiché la ridetta lex, lungi dall’omettere indicazioni in ordine alla formulazione del ribasso era inequivoca nel chiedere ai concorrenti di formulare un’offerta strutturata come “percentuale di sconto – ribasso … da applicare al compenso per la propria prestazione professionale per l’incarico oggetto di affidamento, comprensivo di ogni tipo di spese e compensi accessori”;
- l’offerta dell’aggiudicataria, accusata di aver sovrastimato le spese generali e di aver considerato un costo del personale “ampliamente inferiore ai compensi previsti dalla disciplina di gara” ra invece congrua;
- la non ribassabilità del compenso determinato ex d.m. 17.6.2016 è conforme alla disciplina UE in punto di tutela della concorrenza.
In sostanza, per la SA l’esclusione della formulazione di ribassi sui compensi si tradurrebbe nell’imposizione, da parte del legislatore, di tariffe obbligatorie prive di flessibilità, idonee ad ostacolare la libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e la libera concorrenza nel mercato europeo, con particolare riferimento alla peculiare cautela con cui la Direttiva 123/2006/Ce affronta le “tariffe obbligatorie minime o massime” come possibile ostacolo alla libera prestazione dei servizi.
Equo compenso: gli orientamenti giurisprudenziali
Nel valutare la questione, il Consiglio ha ricordato che l’applicazione della disciplina dell’equo compenso di cui alla l. n. 49/2023 alle gare bandite nel vigore del previgente codice dei contratti pubblici dalla pubblica amministrazione per i servizi di ingegneria e architettura (S.I.A.) da affidarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è oggetto di un contrasto giurisprudenziale venutosi a delineare nella giurisprudenza di merito:
- la pronuncia impugnata è stata seguita dalle sentenze conformi del TAR Lazio 30 aprile 2024, n. 8580 e TRGA Bolzano 9 ottobre 2024, n. 230 e n. 231;
- in senso difforme si registrano invece le pronunce del TAR Campania 16 luglio 2024, n. 1494 e del TAR Calabria 25 luglio 2024, n. 483, le quali hanno affermato l’incompatibilità tra i due sistemi normativi con esclusione dell’applicazione delle regole dell’equo compenso alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici. Secondo questa tesi, sarebbe praticabile il ribasso sui corrispettivi professionali, in quanto la loro congruità rimarrebbe, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta, con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione. In tale ottica, la verifica di anomalia delle offerte sarebbe finalizzata ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi.
Altro presupposto di partenza per Palazzo Spada, l’inesistenza di un’antinomia tra la disciplina dei contratti pubblici e la sopravvenuta disciplina sull’equo compenso.
A distinguere le posizioni, sostanzialmente, è il punto di arrivo:
- uno proconcorrenziale per la disciplina sui contratti pubblici;
- l’altro di favor del professionista intellettuale, per la disciplina sull’equo compenso.
Equo compenso: le norme di riferimento
Secondo quando previsto dalla legge n. 49/2023:
- l’art. 1 scolpisce la nozione di “compenso equo” nella “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente: […] per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”;
- l’art. 3 delimita la nozione complementare di “compenso non equo e proporzionato all’opera prestata” o iniquo nella pattuizione di un compenso non “equo e proporzionato all'opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d'opera” e precisa che “sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale”.
Ne deriva che:
- il compenso equo di cui all’art. 1 si àncora, in termini di conformità, ai “compensi previsti dai decreti ministeriali adottati” ai sensi dell’art. 9 del D.L. 1/2012;
- il compenso è invece iniquo – ossia “non…equo e proporzionato all’opera prestata” se risulta inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale.
Per il Consiglio, i due meccanismi di parametrizzazione restano normativamente distinti, tanto che il rinvio all’art. 9 D.L. 1/2012 richiama, rispettivamente, un decreto del Ministro vigilante per la determinazione dei parametri di liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale (il d.m. n. 140/2012), da impiegarsi anche ai fini dell’acclaramento del compenso iniquo, e un decreto interministeriale (del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all'architettura e all'ingegneria (nella specie, D.M. 17 giugno 2016).
Pur condividendo lo stesso meccanismo algoritmico di calcolo secondo la comune formula moltiplicatoria CP=V×G×Q×P, il d.m. n. 140/2012 stabilisce espressamente per le professioni dell’area tecnica un range di flessibilità in ragione della complessità della prestazione (espressa dal parametro G) che tenga conto della natura dell'opera, pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell'eventuale urgenza della prestazione, di tal ché l'organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60% rispetto a quello altrimenti liquidabile (art. 36).
Questo meccanismo rientra a pieno titolo nei “parametri per la liquidazione dei compensi” richiamati dall’art. 3 l. n. 49/2023 e definisce una soglia minima (e massima) del compenso del professionista, al di sotto del quale scatta la qualificazione normativa di “compenso non equo” passibile di nullità di protezione.
Di contro, il D.M. 17 giugno 2016 non contempla alcun meccanismo di flessibilità limitandosi a recepire la formula moltiplicatoria del d.m. n. 140/2012: questo perché il decreto interministeriale mira a definire i corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione utilizzabili dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell'importo dell'affidamento ai sensi dell’art. 24, co. 8 d.lgs. n. 50/2016. Tale impianto è stato poi ripreso e in parte riattualizzato, quanto alle aliquote, dal nuovo codice dei contratti pubblici all’art.41, co. 15 e allegato I.13 d.lgs. n. 36/2023.
In definitiva, i due meccanismi previsti dal d.m. n. 140/2012 e dal D.M. 17 giugno 2016, pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono quanto a:
- natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro interministeriale);
- scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro punta alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara);
- struttura (l’una si contraddistingue per un range di flessibilità, mentre l’altro definisce un importo fisso).
La prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara.
Da equo compenso a equo ribasso
Con questa ricostruzione, per il Consiglio si dissolve ogni dubbio su una possibile antinomia tra la disciplina sui contratti pubblici e quella sopravvenuta sull’equo compenso, la cui sfera di applicabilità è peraltro dichiaratamente estesa alle “prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (art. 2, co. 2 legge n. 49/2023).
Nello specifico, la nozione di equo compenso applicabile alla contrattualistica pubblica deve essere riformulata più perspicuamente in termini di equo ribasso, frutto dell’esegesi coordinata tra corrispettivo equo e proporzionato posto a base di gara e minimum inderogabile evincibile dal range di flessibilità del compenso liquidabile in ragione della complessità della prestazione dedotta nell’affidamento.
Del resto, la contrapposta tesi del valore fisso e inderogabile dell’equo compenso per i professionisti negli appalti per i servizi di architettura e ingegneria incontrerebbe, di contro, una pluralità di rilievi critici:
- anche nell’ordito del nuovo codice dei contratti pubblici il richiamo operato dall’art. 8 d.lgs. 36/2023 evoca solo il “principio” dell’equo compenso, non postulando dunque una individuazione univoca e rigida, tanto da ammettere, sia pur eccezionalmente, ipotesi derogatorie di prestazioni pro bono;
- l’innesto rigido ope legis di un valore univoco e predeterminabile di equo compenso – all’infuori di deliberate opzioni discrezionali della lex specialis volte a circoscrivere la concorrenza su altri aspetti ex art. 108, co. 5 d.lgs. 36/2023 – mortificherebbe la ratio proconcorrenziale che permea la contrattualistica pubblica, relegando il confronto competitivo ad uno spazio sostanzialmente virtuale sulle voci per spese e oneri accessori (che, nel caso di specie, ammontano solo al 14% del valore di ciascun lotto in gara);
- tale rigidità colliderebbe con i canoni di necessità e proporzionalità dettati dalla Direttiva 2006/123/CE (art. 15) per la sottoposizione dell’esercizio di un’attività o servizio a requisiti limitativi tra cui, per l’appunto, “tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare”.
Le previsioni del Correttivo
Oltretutto, evidenza la Sezione, si orienta in questo senso la novella recata dal cd. “correttivo appalti” (d.Lgs. n. 209/2024) all’art. 41 d.lgs. n. 36/2023, cui rinvia anche la novella dell’art. 8 (“la pubblica amministrazione garantisce comunque l'applicazione del principio dell'equo compenso secondo le modalità previste dall'articolo 41, commi 15-bis, 15-ter e 15-quater”).
Essa prevede:
- da un lato, che le tariffe siano considerate per il 65%come un importo “a prezzo fisso”, come tale non ribassabile in sede di gara;
- dall’altro, che rispetto al restante 35%, l’elemento relativo al prezzo possa essere invece oggetto di offerte al ribasso in sede di presentazione delle offerte.
Per mitigare l’impatto di tali ribassi sull’aggiudicazione e valorizzare la componente tecnica della progettazione, si prevede tuttavia che per tale residuo 35%, la stazione appaltante stabilisca un tetto massimo per il punteggio economico, entro il limite del 30%.
Secondo quanto riferito dalla relazione illustrativa, questa soluzione garantirebbe il principio dell’equa remunerazione del progettista, aprendo al contempo ad una valutazione competitiva tra diverse offerte economiche, al fine, in ogni caso, di valorizzare nell’affidamento quegli operatori economici che propongono migliori condizioni di economicità e qualità del servizio.
Si tratta di un approccio sintetizzabile in “equa ribassabilità del compenso dei professionisti nell’ambito degli affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria”, che conduce alla conclusione secondo cui non può configurarsi un contrasto tra la lex specialis e la disciplina imperativa tale da far luogo al meccanismo di eterointegrazione contrattuale ex art. 1376 e 1339 cod. civ. affermato dal giudice di prime cure.
Non solo: la sede naturale della verifica dell’equo ribasso operato dagli offerenti rispetto agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati col d.m. n. 140/2012, unitamente alla verifica di sostenibilità giuridico-economica di tale ribasso va individuata in modo strutturale nel modulo subprocedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta demandata al RUP – come è avvenuto nel caso in esame.
Ne è derivato l’accoglimento dell’appello, con riforma della sentenza di primo grado.
Documenti Allegati
Sentenza