Immobili ante '67: lavori successivi richiedono il titolo edilizio

La preesistenza del manufatto alla legge n. 765/1967, oltre a dovere essere provata, non giustifica eventuali successivi abusi

di Redazione tecnica - 23/02/2025

In caso di ordine di demolizione, grava su chi intende conservare l’opera la dimostrazione della sua legittima esistenza senza concessione edilizia e quindi, la datazione della sua costruzione prima del 1967, essendo in capo al proprietario o al responsabile dell’abuso, l’onere di provare il carattere risalente del manufatto.

La realizzazione ante ’67 di un manufatto va quindi provata da chi ordinariamente dispone di inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di costruzione.

Non solo: interventi successivi a tale data comportano comunque il rilascio del titolo abilitativo richiesto dalla normativa, compresa l’autorizzazione paesaggistica, se è anche sopraggiunto un vincolo.

Ante '67: il Consiglio di Stato sulla datazione dell'opera

A confermarlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 3 febbraio 2025, n. 834, con cui ha respinto il ricorso per l’annullamento dell’ordine di demolizione di opere abusive, consistenti nella realizzazione di una tettoia di oltre 600 mq laddove era presente, originariamente, un manufatto di soli 6 mq.

Nel caso esaminato, il proprietario di un’area contestava l’ordine di demolizione sostenendo che l’intervento non fosse soggetto a titolo edilizio perché realizzato prima del 1967, anno di entrata in vigore della cosiddetta "Legge Ponte" (L. 765/1967), che ha esteso l’obbligo di licenza edilizia anche fuori dai centri abitati.

Tuttavia, i giudici hanno respinto il ricorso, evidenziando come il proprietario non abbia fornito prove documentali certe sulla data di costruzione dell’opera.

Vediamo il perché.

Onere della prova e principio di vicinanza

Il principio cardine ribadito dal Consiglio di Stato è che l’onere di dimostrare la data di realizzazione dell’opera grava esclusivamente sul proprietario o sul soggetto destinatario dell’ingiunzione di demolizione.

In particolare, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che la tettoia:

  • era stata costruita prima del 1° settembre 1967, data di entrata in vigore della L. 765/1967, per poter essere esclusa dall’obbligo di licenza edilizia
  • esisteva già prima del 1977, anno in cui l’area è stata sottoposta a vincolo paesaggistico, evitando così la necessità di autorizzazione paesaggistica.

Secondo il principio della vicinanza della prova, il privato, unico soggetto che dispone (o dovrebbe disporre) della documentazione storica dell’edifico avrebbe dovuto fornire elementi oggettivi e inconfutabili che certificassero la data di realizzazione dell’opera. Da questo punto di vista, dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o testimonianze di terzi non hanno alcun valore probatorio, poiché non garantiscono certezza sulla data di realizzazione del manufatto.

Spiega Palazzo Spada che, da quanto emerso dalla documentazione l’appellante non si è limitato a un intervento di ripristino di un edificio crollato rispettoso del volume preesistente, ma vi è stato un suo rilevante ampliamento, necessitante dunque di un titolo edilizio a prescindere dalla data di realizzazione della precedente costruzione.

Nel dettaglio:

  • dall’aerofotogrammetria del 1954 si riscontra un modestissimo manufatto di circa 6 metri quadrati, corrispondente per altro alla descrizione contenuta nell’atto di compravendita del 2 febbraio 2015;
  • nel 1978 si riscontra una tettoia di medie dimensioni (secondo il ricorrente di 565,70 metri quadrati), poi ricostruita e ulteriormente ampliata nel 2019;
  • la ricostruzione della tettoia nel 2019 senza aumento di superficie avrebbe necessitato di una SCIA, nonché di un’autorizzazione paesaggistica, richiesta per tutti gli interventi superiori al consolidamento statico e al restauro conservativo ai sensi del combinato disposto degli articoli 146 e 149, lettera a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il che tuttavia non è avvenuto;
  • anche a voler considerare soltanto la tettoia originale, essa appare per la prima volta soltanto nell’aerofotogrammetria del 1978, cosicché non vi è prova della sua edificazione anteriormente all’apposizione del vincolo, con conseguente sua abusività.

Nel caso in esame, l’onere di provare che la datazione del manufatto fosse anteriore al 1° settembre 1967 oppure all’apposizione del vincolo nel 1977 non è stato assolto, confermando quindi che per la realizzazione della tettoia era necessaria la SCIA e l’autorizzazione paesaggistica.

 

Ordine di demolizione: atto vincolato e valido anche se emesso dopo anni

Infine, respingendo anche le censure del proprietario sull’affidamento incolpevole in ordine alla legittimità dei manufatti, Palazzo Spada ha richiamato quanto statuito dall’Adunanza plenaria con le sentenze del 17 ottobre 2017, nn. 8 e 9, nelle quali è stato specificato che:

«il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».

In conclusione, ricorda il Consiglio di Stato che l’ordine di demolizione di un’opera abusiva:

  • è un atto vincolato, che non richiede una motivazione specifica in relazione all’interesse pubblico;
  • non necessita di una motivazione rafforzata, anche se viene emesso a distanza di anni dalla realizzazione dell’opera;
  • è valido anche se emesso dopo anni: il trascorrere del tempo non sana l’abuso, per non si può invocare alcun "affidamento legittimo" sulla conservazione di un’opera abusiva.

 

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