Testo Unico Edilizia: criticità e proposte per la rigenerazione urbana
L'intervento di Nicola Durante: la rigenerazione urbana incontra troppi limiti applicativi a causa della mancanza di disposizioni chiare nell'ordinamento attuale
Testo Unico Edilizia, standard urbanistici, normativa statale e regionale, potestà comunale. Sono tanti gli ambiti che coinvolgono la rigenerazione urbana e sui quali Nicola Durante, Presidente di sezione del TAR Salerno, ha invitato a più di una riflessione che porti a una riforma normativa organica e a un consapevole – oltre che univoco – riutilizzo del suolo.
Questo perché la rigenerazione urbana, come ha spiegato in un recente intervento, comprende una molteplicità di interventi, in cui l’obiettivo di sviluppo delle città si realizza in combinazione con l’esigenza di "stimolare una maggiore eco-efficienza ambientale".
Rigenerazione urbana: c'è davvero posto nell'attuale normativa?
Da questo punto di vista, per l’Amministrazione la rigenerazione urbana deve costituire una precisa strategia pubblica o, comunque, un modulo organizzativo d’integrazione tra più settori a cavallo tra le funzioni del governo del territorio e della tutela dell’ambiente.
Di fatto, però, l’ordinamento in vigore presenta delle lacune, senza proporre dispositivi effettivamente idonei al perseguimento della rigenerazione urbana, considerato che il legislatore nazionale, dimostrando un incomprensibile «ritardo concettuale» rispetto al legislatore regionale, ha preferito favorire interventi episodici di rinnovamento edilizio, oltre che ad esempio una non univoca qualificazione degli interventi di demo-ricostruzione del Testo Unico Edilizia e dei titoli abilitativi necessari.
Ne deriva una fragilità normativa in cui la rigenerazione urbana viene realizzata con moduli organizzativi tradizionali ed aspecifici, quali i piani urbanistici attuativi e gli schemi generali di cooperazione istituzionale e sussidiarietà (come l’accordo di programma ed il partenariato pubblico-privato) e, comunque, in assenza di una stabile e mirata cornice legislativa.
Queste le 4 macro-problematiche individuate da Durante:
- il riparto delle competenze legislative;
- l’assenza, nel nostro ordinamento, di una definizione della nozione di rigenerazione urbana;
- la qualificazione degli interventi di demoricostruzione e del titolo edilizio necessario;
- i limiti agli interventi di rigenerazione definiti dagli standard urbanistici.
Ambiente e governo del territorio: il riparto delle competenze legislative
Una prima questione attiene al riparto delle competenze legislative, tra:
- materia dell’ambiente, posta in capo allo Stato, con la prescrizione di standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, anche incidenti sulle competenze legislative regionali;
- materia del governo del territorio, che appartiene alle regioni, la cui azione è strutturalmente più efficace a contrastare il fenomeno del consumo di suolo, perché in grado di porre limiti generali ed ab externo alla pianificazione locale.
Per raccordare i due livelli, sottolinea Durante, è intervenuto l’art. 5 del .D.L. n. 70/2011 (c.d. “decreto sviluppo”), convertito con legge n. 106/2011, che ha autorizzato le regioni ad approvare proprie leggi, per incentivare con misure premiali – quali, espressamente: il riconoscimento di volumetrie aggiuntive, la delocalizzazione, la modifica della sagoma ed il cambio delle destinazione d’uso, purché tra loro compatibili o complementari – le attività edilizie, anche di demolizione e ricostruzione, aventi il “fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili”.
Secondo Durante, questa tecnica legislativa ha talora portato a valorizzare la potestà legislativa delle regioni a discapito di quella amministrativa dei comuni, cui deve riconoscersi un ruolo insostituibile, in virtù del principio di sussidiarietà verticale e stante l’esistenza di un principio fondamentale dell’ordinamento in base al quale sono i comuni, attraverso i consigli comunali, «a dover individuare gli àmbiti urbani che necessitano di razionalizzazioni del patrimonio edilizio esistente o di riqualificazione in quanto ricomprendenti aree urbane degradate».
Sono state dunque dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni comportanti un’eccessiva compressione delle prerogative dei comuni, «per il fatto di dettare una disciplina … idonea, in ragione della sua natura autoapplicativa, a ripercuotersi su scelte attinenti all’uso del territorio».
La rigenerazione urbana nel Testo Unico Edilizia
Altro punto critico, spiega Durante, è l’assenza, nel nostro ordinamento, di una definizione della nozione di rigenerazione urbana.
Il Testo Unico Edilizia la cita quattro volte, allo scopo di prevedere incentivi o deroghe, senza mai chiarirne precisamente i tratti distintivi:
- all’art. 3, comma 1, lett. d), dove si stabilisce che, nei casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, l’intervento di ristrutturazione edilizia può dar luogo ad incrementi di volumetria “anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”;
- all’art. 14, comma 1-bis, dove si stabilisce che il consiglio comunale può attestare l’interesse pubblico di un intervento di ristrutturazione edilizia in deroga allo strumento urbanistico “limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento”;
- all’art. 17, comma 4-bis, dove si consente la riduzione del contributo di costruzione “al fine di agevolare gli interventi di rigenerazione urbana, di decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo, di ristrutturazione, nonché di recupero e riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, rispetto a quello previsto dalle tabelle parametriche regionali”;
- all’art. 23-quater, comma 1, dove si ammette l’utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dallo strumento urbanistico “allo scopo di attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale".
È invece fondamentale stabilire quali siano gli elementi essenziali della rigenerazione urbana, per comprendere se l’intervento proposto è sussumibile, o meno, nel paradigma.
Questo perché con il rilancio delle attività economiche inerenti all’edilizia, il legislatore non ha voluto "liberalizzare” e “generalizzare” ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, ma puntare a un miglioramento del tessuto urbanistico. In altre parole, i meccanismi incentivanti non possono riguardare qualsiasi intervento demo-ricostruttivo su immobili dismessi o in zona degradata, dovendo invece l’intervento possedere le caratteristiche della razionalizzazione e della riqualificazione, proprie della rigenerazione, “tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili” (come recita il d.l. n. 70 del 2011).
In carenza di una normativa nazionale, spetta dunque alle leggi regionali ed ancor più alla pianificazione comunale stabilire per lo meno gli obiettivi della rigenerazione.
Demoricostruzione: qualificazione interventi e titoli necessari
Ricorda Durante che il d.P.R. n. 380/2001 sottopone la demo-ricostruzione a titoli edilizi diversificati, a seconda dell’entità delle modifiche apportate rispetto all’edificio preesistente:
- l’intervento che mantiene inalterati sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche è riconducibile alla ristrutturazione “ricostruttiva” o “leggera” ex art. 3, comma 1, lett. d) e richiede la SCIA;
- l’intervento si qualifica come ristrutturazione edilizia “pesante”, soggetta a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), quando l’organismo ricostruito è in tutto o in parte diverso dal precedente per modifiche sulla volumetria complessiva, sulla sagoma o sui prospetti, purché queste siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente;
- se, invece, le modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti non sono di portata limitata, né sono riconducibili all’organismo preesistente, l’intervento si configura come nuova costruzione.
Il punto è che l’art. 3 comma 1, lett. d), circoscrive ai soli “interventi di ristrutturazione edilizia” la previsione di incrementi planovolumetrici “anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana” con legge regionale o con gli strumenti urbanistici comunali.
Dunque, in via generale, questi incentivi non possono riguardare le ipotesi di demo-ricostruzione configurabili come nuova costruzione. Questo, ovviamente, rende ancora più indispensabile effettuare un chiaro distinguo sul quando l’intervento demo-ricostruttivo costituisca rigenerazione.
Inoltre, si palesa necessario verificare, a livello comunale, quale sia l’organo competente ad effettuare tale valutazione, che va identificato:
- a monte, in via generale ed astratta, nell’organo di indirizzo;
- a valle e nel caso concreto, nel dirigente che rilascia il titolo.
I limiti agli interventi di rigenerazione
Infine, spiega Durante, bisogna prendere atto che nell’ordinamento permangono limiti generali, applicabili agli interventi di rigenerazione, che non risultano superati dalla nuova normativa.
Anzitutto, sussiste l’obbligo del piano attuativo nelle zone centrali e di pregio di cui all’art. 2-bis, comma 1-ter, del T.U., secondo cui: “nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela”.
A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), nelle stesse zone – oltre che per gli immobili vincolati – “gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”.
Pertanto, in dette zone la rigenerazione urbana:
- è subordinata all’approvazione di un piano attuativo, verosimilmente un programma complesso ex artt. 2 e 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (programmi di riqualificazione urbana e programmi integrali d’intervento), o atto similare. Al contrario, il piano di recupero, rivestendo valenza meramente attuativa dello strumento generale, è inidoneo a derogare allo strumento urbanistico generale, neppure quando tale modifica trovi giustificazione in una richiesta del privato;
- può tendenzialmente avvenire solo attraverso interventi di nuova costruzione e non di ristrutturazione “leggera” o “pesante”.
Operano poi:
- l’obbligo di rispetto delle distanze legittime preesistenti di cui all’art. 2-bis, comma 1-ter, del T.U.,;
- le norme sulle altezze massime, di cui all’art. 8 del D.M. 1444/1968;
- l’obbligo di garantire le aree standard e a parcheggio, nei casi sia di premialità volumetrica, sia di mutamento di destinazione d’uso.
Infatti, l’art. 23-ter, comma 1-quater, del T.U. prevede che “il mutamento di destinazione d’uso non è assoggettato all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale previsto dal e dalle disposizioni di legge regionale, né al vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150”, ma ciò nei casi di cui al comma 1-ter, ossia quelli riguardanti “una singola unità immobiliare ubicata in immobili ricompresi nelle zone A), B) e C) o equipollenti”. Per contro, la rigenerazione riguarda concettualmente interi fabbricati e non singole unità immobiliari.
Non si può quindi che sottolineare la “fragilità” del tessuto normativo di riferimento che frena molte spinte propulsive, specie quando l’intervento proposto non sia immediatamente riconducibile entro le griglie normative e pianificatrici esistenti.
Il duplice rischio, conclude Durante è quello di “mettere in allarme” le amministrazioni pubbliche nei riguardi delle soluzioni più innovative e di “allontanare” gli investimenti privati, mentre continua a permanere un approccio di tipo empirico e sperimentalista che non generalizza in nuovi paradigmi normativi le esigenze legate al recupero del territorio.
Documenti Allegati
Relazione