Permesso di costruire decaduto e opere incompiute: il Consiglio di Stato sull'ordine di demolizione

La divergenza tra "consentito e realizzato" riguarda anche le opere non completate, non autonome o funzionali, e che non è possibile ultimare

di Redazione tecnica - 04/03/2025

È legittima l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), nei confronti di un’opera edilizia incompiuta, in quanto ritenuta in totale difformità dal permesso di costruire decaduto, nel rispetto dei principi enunciati dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 14/2024.

Questo perché il permesso di costruire decaduto non può essere "riesumato" senza un nuovo titolo, e le opere prive di autonomia e funzionalità non possono rimanere a tempo indeterminato sul territorio.

Opere incompiute e permesso decaduto: l'ordine di demolizione è legittimo?

A chiarirlo è il Consiglio di Stato con la sentenza del 7 febbraio 2025, n. 970, in relazione a una complessa vicenda per la realizzazione (incompiuta) di un complesso immobiliare e di alcuni box sotterranei.

Nel caso in esame, dopo la decadenza del permesso di costruire, il Comune aveva ordinato la demolizione delle opere e successivamente ordinato l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area per inottemperanza alla sanzione demolitoria.

Il privato aveva presentato ricorso contro l’ordinanza, sostenendo che:

  • le opere realizzate erano autonome e funzionali e quindi non rientravano tra i casi di "incompleto architettonico";
  • sarebbe stato possibile completare il manufatto con un nuovo permesso di costruire;
  • il Comune aveva disposto l’acquisizione gratuita di un'area più ampia di quella effettivamente occupata dalle opere, senza un’adeguata motivazione.

Di contro, l’Amministrazione sosteneva che le opere realizzate fossero prive di autonomia e funzionalità e che non esistesse alcun titolo edilizio valido per il loro completamento.

Dagli atti risultava che i lavori si erano interrotti dopo la realizzazione di scavi, pali di fondazione e alcuni pilastri in cemento armato, senza alcuna copertura o chiusura perimetrale, e che il permesso di costruire era decaduto senza che fosse stato richiesto un nuovo titolo edilizio.

 

Divergenza tra consentito e realizzato: i principi dell'Adunanza Plenaria

Il TAR aveva già confermato quanto sostenuto dal Comune e confermato anche dalla Plenaria nella decisione n. 14/2024, con la quale ha chiarito che la "divergenza tra consentito e realizzato" non si verifica solo nei casi di costruzione in eccesso rispetto al titolo edilizio, ma anche quando un’opera non è stata completata e non è possibile proseguirne la realizzazione:

“L’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 trova applicazione quando le opere incomplete non sono autonome, scindibili e funzionali. Quando l’opera incompleta non ha tali caratteristiche e si riduce, ad esempio, alla realizzazione dei soli pali di fondazione, allo scavo del terreno, alla costruzione di pilastri o della struttura in cemento armato senza la tamponatura (c.d. scheletro), si tratta di un’opera riconducibile alla totale difformità dal permesso di costruire, in quanto di certo non può essere rilasciato il titolo abilitativo per la realizzazione di un manufatto privo di una autonoma finalità”.

Questi i criteri da adottare:

  • nel caso di costruzioni prive dei requisiti di autonomia e funzionalità, il Comune deve disporne la demolizione e la riduzione in pristino ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n.380/2001, in quanto eseguite in totale difformità rispetto al permesso di costruire;
  • qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modo frazionato, gli immobili edificati - ferma restando l’esigenza di verificare se siano state realizzate le opere di urbanizzazione e ferma restando la necessità che esse siano comunque realizzate - devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali - necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire;
  • qualora invece, le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art.34 del T.U.;
  • è fatta salva la possibilità, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile - di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica.

Qualora i lavori si fermino prima dell’ultimazione del manufatto e le opere non siano autonome né funzionali, esse sono considerate in totale difformità dal permesso di costruire e devono essere demolite per il ripristino dello stato dei luoghi, come stabilito dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

Tale manufatto, per le proprie caratteristiche di grave incompletezza, non superabile mediante il rilascio di un ulteriore permesso di costruire se richiesto, costituisce anche causa di degrado dell’ambiente circostante.

Sotto questo profilo è l’ordinanza di demolizione è pienamente legittima, in quanto la riduzione in pristino dell’area deturpata dall’intervento edilizio cominciato, che non può essere terminato, è necessaria per ripristinare lo stato dei luoghi: se il proprietario decide di abbandonare i lavori, e comunque quando i lavori rimangono incompiuti, l’ordinamento non consente che vi sia il nocumento alle finalità perseguite in sede di pianificazione territoriale ed esige il rispetto della pianificazione urbanistica e, dunque, del principio per il quale le modifiche dello stato dei luoghi risultano lecite solo se vi è la coincidenza tra quanto è stato assentito e quanto è stato realizzato.

 

 

Acquisizione dell'area di sedime: cosa succede se è più ampia?

Solo su un punto l’attività dell’Amministrazione si è dimostrata non corretta e su questo aspetto il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso: l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di tutta la particella.

Come chiarito dalla sentenza n. 16/2023 dell’Adunanza Plenaria, l’acquisizione gratuita dell’area di sedime è un effetto automatico dell’inottemperanza all’ordine di demolizione. Tuttavia, se il Comune decide di acquisire un’area più ampia, deve fornire una motivazione specifica e dettagliata sulla necessità di estendere il provvedimento.

Nel caso di specie, il Comune non aveva adeguatamente giustificato l’acquisizione di una porzione di terreno oltre la superficie direttamente interessata dall’abuso, rendendo questa parte del provvedimento illegittima.

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